A Lucca il teatro è Sacro – 2^ parte

Teatri del sacro 2013
Teatri del sacro 2013
Teatri del sacro 2013 (photo: Guido Mencari)
Mentre nella prima parte de I Teatri del Sacro, festival che si è tenuto a Lucca dal 10 al 16 giugno, al centro di molti spettacoli vi erano state domande, richieste di speranza, dubbi sul proprio essere e sul proprio divenire, il leitmotiv di diversi spettacoli della seconda parte di questa bella manifestazione, che ha avuto sempre un crescente successo di pubblico, sono state l’elaborazione del lutto, la mancanza e la presenza dell’invisibile.

A cominciare da “Un po’ di Eternità”, l’intensa creazione dedicata a “Osip Mandel’štam” da Celesterosa.
Qua Silvio Castiglioni e Silvia Pasello, con la regia di Giovanni Guerrieri, sulla drammaturgia di Andrea Nanni, che già lo aveva visitato qualche anno fa, rendono omaggio al grande poeta russo, mettendo in scena “un amoroso dialogo con l’invisibile” tra il poeta e sua moglie Nadežda, “l’amica mendicante” custode dei versi del marito, mandati a memoria per eludere la censura sovietica.
In verità lo spettacolo consta di due bellissimi sommessi monologhi, recitati in mezzo a una selva di valigie-lapidi, a testimoniare il continuo errare del poeta, costretto per il suo anelito di libertà ad essere recluso agli occhi del mondo.

Una storia di mancanza e dolore è anche quella raccontata  in “Stava la madre” di Sandro Mabellini, dove Angela Demattè e Giulia Zeeti, su un testo della stessa Demattè, sono le pie donne, due semplici comparse di un film hollywoodiano, sotto una finta croce, che si contrappongono e uniscono in un apparente banale dialogo quotidiano (contrappuntato dalle canzoni di Ambrogio Sparagna, mescolate a canti popolari) che si fa sempre più serrato, pregnante di tragico e corrisposto senso del dolore.

In “Chi resta” di Proxima Rex invece il tema della mancanza è riferito alla perdita di un familiare dovuto ad una strage o a un delitto di mafia, e si innesta in un interessante progetto drammaturgico di Carmelo Rifici, partito da reali testimonianze sul campo, in cui Roberto Cavosi, Angela Demattè, Renato Gabrielli e lo stesso Rifici mettono in scena il medesimo sentimento, coniugato con accenti  diversi. In questo modo tutti i temi ad esso collegati, divisi in vero e proprio catalogo di approccio, ben espresso da un gruppo di eccellenti attori e dalla presenza muta e significante di una telecamera, si riversano sulla coscienza degli spettatori: la ricerca di giustizia, l’impossibilità della riconciliazione ma allo stesso modo la necessità del perdono, soprattutto, sempre però connessi con il bisogno assoluto della memoria. Tutto questo sino al bellissimo finale, dove su una danza colma di asperità fanno da cornice le parole di quelli  che sono rimasti.

In “Memorare”, di e con Ilaria Drago su drammaturgia e regia Tiziano Panici e della stessa Drago, è la mancanza della figura del Cristo a farsi presente sulla scena nella vicenda di Maddalena, metà santa e metà puttana.
Lo spettacolo è anch’esso davvero diviso a metà, dove nella prima parte, la narrazione dell’incontro con il Cristo è rappresentato attraverso una banalità di accenti e di parole davvero sconcertante, mentre nella seconda parte, per fortuna, quando Ilaria Drago-Maddalena si sente defraudata dell’amato, si colora di momenti di grandissimo teatro, uno dei vertici da ricordare del festival.
Allora sì Maddalena che pulisce la croce del suo Gesù, appena crocefisso in una luce livida, cercando il suo amato in un dialogo disarmato e disarmante tra il pubblico e forse trovandolo, diventa figura che si nobilita con un senso di pietà finalmente condivisa.

Diverse le grandi prove di attrice viste a Lucca.
In “In canto e in veglia” Elena Bucci si fa splendida interprete, accompagnata dai sommessi quanto bellissimi suoni miscelati con interventi elettronici dal vivo di Raffaele Bassetti, del sentire e della compassione dei presenti davanti alla morte.
Lo spettacolo presenta una drammaturgia composita, fatta di ricordi personali, di racconti registrati ed elaborati, di brani di testi sacri e letterari, nel “tentativo di risentire l’emozione e il senso di riti collettivi perduti davanti al mistero della morte”.
Sempre più brava Elena Bucci, ai limiti qualche volta di un esercizio di stile, che si conferma attrice di primaria grandezza nel panorama italiano.

Altra straordinaria prova di attrice l’abbiamo avuta in “Passione” di Tib Teatro, in cui Daniela Nicosia dirige, sotto il segno della croce, nella rilettura teatrale di “Passio Laetitiae et Felicitatis”, romanzo di Giovanni Testori, una grande Maddalena Crippa, qui con il fratello Giovanni.
Ambientato in una cupa Brianza, narrata con il linguaggio tutto reinventato tipico di Testori, porta in scena la scandalosa vicenda umana di Felicita ed del suo disperato bisogno di amore.
Un linguaggio così poeticamente forte che rende le situazioni, anche le più indicibili, pervase da un alone di santità.

“Una parola che comprende e abbraccia il dolore, una parola che è passio, passione nel suo significato originario di travaglio, pena, sofferenza, sia nell’atto dell’essere scritta che in quello dell’essere proferito con l’inscindibile rapporto tra colui che scrive e colei che è scritta” sottolinea Daniela Nicosa, che riesce benissimo ad adattare il testo per la scena,  conferendogli dignità con una regia nel medesimo tempo discreta ed accorta.

Mentre molto diverse tra loro sono state le ultime due proposte del festival,
“Genesi”, liberamente tratto da “Io ti domando” di Giusi Quarenghi, dove il nascere del mondo attraverso le domande di un bambino è narrato compiutamente dalla voce di Ferruccio Filipazzi, dal violoncello di Walter Prati e dalle immagini create con potente fantasia sulla sabbia da Massimo Ottoni, e “Croce e fisarmonica” di Carlo Bruni e Enrico Messina, dove quest’ultimo, complici la fisarmonica ed il contrappunto di Mirko Lodedo, rende un intenso omaggio a don Tonino Bello, pastore salentino, vescovo di Molfetta, irriducibile difensore della pace e degli ultimi.

Tra gli spettacoli delle compagnie amatoriali ci piace segnalare “Guasco”, in cui i bravi e volonterosi attori del Franco Agostino Festival, sotto la guida di Marcello Chiarenza e dei suoi prodigi scenici, narrano i guasti compiuti dall’uomo per distruggere il creato, ispirandosi ad un romanzo di Christa Wolf.

Chiudiamo il resoconto di questo festival così particolare sottolineando la performance di un’altra attrice straordinaria (nel vero senso della parola), l’asina Geraldina, protagonista dello spettacolo del Teatro degli Acerbi “Dio e la manutenzione dell’anima”, che con il suo accompagnatore Claudio Zanotto Contino prende per mano il pubblico per condurlo in viaggio lungo la Via Francigena,  ripercorrendo idealmente 900 chilometri dal Monginevro a Roma.
Sulle mura di Lucca, il diario di questo viaggio immaginario, concepito dal maestro Luciano Nattino, prende vita attraverso il resoconto immaginifico di alcune delle sue tappe, e così anche gli spettatori compiono una esperienza formativa di gioiosa e ricca condivisione.
 
Vi lasciamo alla photogallery del festival con le immagini realizzate da Guido Mencari.

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