A number. La clonazione nel teatro politico di Caryl Churchill

A number
A number

Luca Mazzone dirige Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo, protagonisti sul palco bolognese di Teatri di Vita

A Bologna, Teatri di Vita si contraddistingue per un costante interesse nella drammaturgia contemporanea nazionale ed internazionale; così in questa stagione propone al suo pubblico “A number” di Caryl Churchill, drammaturga inglese ancora poco rappresentata in Italia, nonostante diverse iniziative editoriali abbiano promosso la divulgazione dei suoi scritti negli ultimi anni. Caryl Churchill è difatti tra le autrici contemporanee più riconosciute, sia per l’ingente quantità di produzione scritta, sia per l’originalità e l’inventiva che caratterizza i suoi testi a livello tematico e strutturale.

Il Royal Court Theatre di Londra sostiene e produce ogni lavoro di quest’artista, ormai ultra ottantenne, sin dai suoi esordi negli anni ’70. Il suo è un teatro politico, sociale, che prende spunto dall’attualità (ma anche dalla storia) per analizzare i rapporti di potere che determinano le varie forme di oppressione e discriminazione; un teatro duro, scomodo, tagliente, che ci sbatte in faccia le contraddizioni più infime e buie della nostra società, anche con una certa dose di ironia, costringendoci a riflettere, a pensare, a prendere una posizione.

Il testo, strutturato come un giallo, prende spunto dagli esperimenti genetici all’epoca della pecora Dolly e dal dibattito che ne conseguì a livello internazionale; mentre tutto il mondo vietava di sperimentare la clonazione di embrioni umani, l’Inghilterra fu l’unico Paese ad autorizzarla ai fini della ricerca in ambito medico. “A number” mette dunque in scena gli effetti traumatici dell’evoluzione scientifica, presentandoci come la clonazione, la creazione seriale di più individui identici in laboratorio, possa mettere in crisi l’uomo a livello identitario ed esistenziale, a partire dal concetto stesso di unicità.
Come in una tragedia, “A number” costringe un figlio (e i suoi fratelli clonati) a misurarsi con gli errori del padre, che inevitabilmente ricadono su di lui (o meglio su di loro) causando azioni terribili e violente.

La drammaturgia procede per quadri, facendo incontrare di volta in volta il padre, Salter, con uno dei suoi figli. C’è Bernard 2, il primo figlio clonato che è stato cresciuto amorevolmente dal padre, come se fosse il suo unico figlio naturale. Poi c’è Bernard 1, il figlio vero, quello naturale, che da piccolo è stato maltrattato e poi abbandonato, in seguito al suicidio della madre. E’ lui ad essere stato letteralmente rimpiazzato dal padre, che ha incaricato uno scienziato di creare un suo clone a partire da alcune cellule.
Infine c’è Michael Black, uno dei tanti altri figli clonati, che lo scienziato “pazzo” avrebbe poi duplicato in laboratorio, all’insaputa di tutti.

La trama risulta particolarmente avvincente, nel suo dipanarsi poco alla volta, coinvolgendo il pubblico in un costante lavorio mentale per ricostruire la concatenazione degli eventi. Man mano che i figli prendono consapevolezza delle loro origini, scoprendo di non essere unici al mondo e di essere stati ingannati dal padre, la figura patriarcale inizia a crollare: quell’uomo in apparenza calmo, solido e tranquillo nasconde profonde fragilità e peccati terribili.
Lo spettatore è dunque chiamato a fare delle valutazioni di tipo etico e morale in merito alla paternità e in rapporto alla scienza. Quelle stesse valutazioni che erano state fatte nel corso dei dibattiti sulla clonazione, tra stupore, curiosità, indignazione e dissenso. Il testo però non fornisce risposte in tal senso, ed insinua nel pubblico dubbi a livello esistenziale e filosofico: chi siamo? Cosa ci rende unici? Solo il corredo genetico? Quanto incidono cultura, circostanze, esperienze nel determinare la personalità di un individuo? Qual è il valore di una persona? È possibile quantificarlo? E, in ogni caso, che incidenza avrebbe l’unicità o meno di una persona sul suo valore?

La versione tradotta da Monica Capuani, con la regia di Luca Mazzone (una produzione del Teatro Libero di Palermo che ha debuttato nel 2021), si misura con il linguaggio secco e impersonale adottato dalla Churchill, potendo contare sulla superba recitazione di Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo.

La scena ideata da Mazzone è totalmente asettica, delimitata da un tappeto rettangolare di linoleum bianco. Non c’è niente se non una sedia, anch’essa bianca. Le luci sono abbaglianti, l’atmosfera inquietante. Come nel testo originale l’ambientazione rimane sempre la stessa (ossia la casa del padre), eppure a seconda dell’azione, pur senza cambiare i connotati, la scena sembra evocare luoghi diversi: una sala d’attesa, una stanza per gli interrogatori, un laboratorio, uno studio medico, uno studio legale.

I momenti di transito tra una scena e l’altra, utilizzati per compiere le necessarie azioni tecniche, vengono risolti in maniera un po’ sbrigativa, mentre il padre, bagnato da una luce blu, piomba per qualche istante in una dimensione onirica. Sono gli unici momenti dello spettacolo in assenza di dialogo, ed è un peccato che non abbiano trovato un respiro un po’ più ampio, giacché quando si giunge al finale e il padre si ricongiunge spiritualmente col figlio abbandonato, lo spettatore si ritrova sostanzialmente impreparato dinnanzi all’impiego improvviso di un linguaggio di tipo simbolico, che prima non era apparso.

Massimo Rigo, nel ruolo del padre, interpreta le diverse personalità che lo abitano con il giusto equilibrio, lasciando prevalere ora l’una, ora l’altra, a seconda dell’interlocutore con cui entra in dialogo. Così a tratti lo vediamo amorevole e protettivo, ma anche abbandonico e incurante, egoista e manipolatore.
Giuseppe Pestillo interpreta invece i figli, che essendo uguali geneticamente sono recitati dallo stesso attore. I costumi aiutano nel differenziare le parti, ma il merito va tutto alla sua grande capacità camaleontica, che gli permette di trasformarsi, lavorando sulla qualità dello sguardo, della mimica facciale, della postura e dell’intonazione vocale.

Nell’insieme il godimento da parte del pubblico viene portato a termine grazie alla forte sinergia che si crea fra il testo e gli attori, all’interno di una regia tutto sommato lineare.

A number
Testo di Caryl Churchill
Traduzione Monica Capuani
Scena e regia Luca Mazzone
Con Giuseppe Pestillo, Massimo Rigo
Costumi Lia Chiappara
Disegno luci Mario Villano
Produzione Teatro Libero Palermo

Durata: 1h 15’
Applausi del pubblico: 2’

Visto a Bologna, Teatri di Vita, il 27 gennaio 2024

0 replies on “A number. La clonazione nel teatro politico di Caryl Churchill”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *