In scena Alessandro Mor e Gabriele Graham Gasco, in un confronto generazionale tra eros, memoria e identità. Con il fantasma dell’HIV
La fantasia e il ricordo come luoghi per modificare il reale: vie di fuga da un presente segnato da rischi, paure, malattie, con quel sottile fatalismo che basta ad alleggerire rimpianti e sensi di colpa non dichiarati. È ancora la parola, con i suoi retroscena lividi e immaginifici, a permeare il teatro di Nicola Russo, autore, regista, attore e fondatore della compagnia Monstera.
Dopo “Anatomia comparata” e “Christophe o il posto dell’elemosina”, Russo propone con “Acanto”, un dialogo di finissima introspezione, in cui la narrazione si mescola a simbolismi potenti e riflessioni su dolore, memoria e identità.
Al centro di “Acanto”, nell’intima Sala Tre del Teatro Franco Parenti di Milano, emergono temi universali come la solitudine, la speranza e il conflitto interiore. Il contesto surreale dello spettacolo si sviluppa in una scenografia minimalista progettata da Giovanni De Francesco, che ricrea un ambiente ospedaliero asettico e quasi claustrofobico. Due file di sedie e un monitor che segna i turni. Un limbo esistenziale. La luce, quella algida dei neon, non permette alla natura di invadere lo spazio. A umanizzarlo sono i due protagonisti, in attesa di un referto ospedaliero.
Il primo è un uomo di cinquant’anni in camicia bianca (Alessandro Mor), che esorcizza l’ansia chiudendo gli occhi e tentando di ricostruire con la memoria i dettagli dello spazio che lo circonda; il secondo è un giovane in maglietta (Gabriele Graham Gasco), che risponde in modo scanzonato alle domande, forse troppo personali, del maturo antagonista. Gli spazi mentali esplorati dai due uomini suggeriscono un contrasto tra la freddezza del mondo esterno e la ricerca di calore umano.
La scrittura di Russo è intrisa di simbolismi, con immagini potenti che stimolano la riflessione e aprono a più livelli di lettura. Il titolo dello spettacolo, “Acanto”, fa riferimento alla pianta dalle foglie spinose, simbolo di un percorso doloroso che può tuttavia portare a una crescita. Questa tematica è esplorata attraverso il contrasto tra il presente, segnato dalla malattia e dalla paura, e il ricordo di esperienze vissute, in particolare quelle legate al mondo LGBTQIA+ e alle prime esperienze amorose e sessuali, all’eco di un’innocenza smarrita, ma anche alla ricerca di una salvezza difficile da definire.
Il contrasto tra l’uomo legato alla poesia dell’incontro notturno e il giovane cresciuto nell’era delle app di incontri invita a riflettere sul cambiamento dei tempi e sulla diversa percezione dell’intimità. L’ironia, che spesso emerge nel loro scambio, aiuta a sdrammatizzare una situazione che potrebbe sembrare tragica, ma che è anche una testimonianza di resilienza, di ricerca di luce anche nei momenti più oscuri. Sguardi curiosi, a tratti indagatori. Sorrisi, silenzi e un’intesa che prelude alla complicità.
L’interpretazione degli attori è uno degli aspetti più riusciti dello spettacolo. Alessandro Mor, nel ruolo dell’uomo maturo, trasmette una profondità emotiva fatta di fragilità e nostalgie non disilluse, con una tenerezza nascosta. La sua voce è calma e suadente, gli sguardi leggeri, a tratti trasognati. L’esperienza lo aiuta a esorcizzare la malattia e a comprendere che non può essere un virus o un rimpianto a modificare la nostra percezione del mondo e di noi stessi.
Gabriele Graham Gasco, nel ruolo del ragazzo, porta in scena un’energia contrastante di sguardi dinamici, una freschezza sorniona e a tratti impertinente. La loro sincronia è palpabile. Il contrasto aiuta a esplorare i meandri di un mondo in cui i ricordi si inseguono e si confondono con i sogni. I due personaggi si prendono idealmente per mano, fondono le loro storie e le proiettano in paradisi onirici, dilatati attraverso le immagini video di Matteo Tora Cellini, che evocano i luoghi dei racconti amorosi dei protagonisti, aggiungendo una quarta dimensione alla rappresentazione. Queste immagini alimentano un’atmosfera sospesa che si fonde perfettamente con la drammaturgia, esaltandone la dimensione emotiva.
La regia di Nicola Russo è raffinata e pulita. Riesce a trasformare una semplice attesa in un viaggio emozionale. La sua attenzione ai dettagli, il ritmo cadenzato dei dialoghi e la cura nella gestione degli spazi e dei silenzi rendono “Acanto” un lavoro complesso, che parla in maniera universale di temi attuali come l’HIV, la malattia e l’identità. La poesia è nella natura di un parco, teatro dei primi incontri erotici, nelle atmosfere ovattate di un cinema d’essai, ma anche negli amori torbidi intrisi di disordine, droghe e alcol, nello sguardo stranito di un uomo sgraziato. La commistione di dramma e ironia crea un equilibrio morbido, che rende il pubblico partecipe e pronto a riflettere, pur sorridendo di tenerezza.
Gli elementi visivi e sonori contribuiscono a costruire l’atmosfera. Le luci di Giacomo Marettelli Priorelli marcano i passaggi emotivi dei personaggi, mentre i suoni levigati di Andrea Cocco rafforzano i momenti di riflessione. La qualità del lavoro audio-visivo è un altro elemento che rende “Acanto” un’esperienza immersiva e sensoriale.
Ancora una volta, il teatro di Nicola Russo è un’occasione per andare oltre la superficie. Il lavoro invita a riflettere sulla condizione umana, sulla fragilità, sulla speranza e sulla ricerca di sé in un mondo che spesso sembra privo di risposte. Su un bisogno d’amore e solidarietà che, proprio nell’atto in cui esplora esperienze ed emozioni, invita lo spettatore a incontrare i propri demoni interiori.
In scena fino al 19 gennaio.
ACANTO
testo e regia Nicola Russo
con Alessandro Mor e Gabriele Graham Gasco
scene e costumi Giovanni De Francesco
luci Giacomo Marettelli Priorelli
suono Andrea Cocco
video Matteo Tora Cellini
assistente alla regia Isabella Saliceti
produzione MONSTERA
in collaborazione con Alchemico Tre
durata: 1 h e 15’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, l’11 gennaio 2025