Accabadora a teatro: Veronica Cruciani ribalta il romanzo di Michela Murgia

Accabadora (ph: Marina Alessi)
Accabadora (ph: Marina Alessi)

In scena al Menotti di Milano, Anna Della Rosa narra la storia dal punto di vista di Maria, figlia adottiva della protagonista

È un bel romanzo “Accabadora” di Michela Murgia. È una storia da Sud arcaico e selvaggio, come sa essere arcaico e selvaggio il Sud quando deraglia verso ovest, solca il Mediterraneo e approda in Sardegna, con i suoi paesaggi metamorfici. L’isola dei nuraghi che diede i natali a Grazia Deledda custodisce gelosamente una storia aspra e terrigna, profumi che sanno di porceddu, mirto e miele di corbezzolo, e la memoria di tradizioni ataviche, miti, riti religiosi intrisi di paganesimo.

L’accabadora è una donna mitologica. È una figura legata all’eutanasia, assai prima che questo termine diventasse pietra dello scandalo nei dibattiti di bioetica. Ancora nella prima metà del Novecento, l’accabadora entrava nei casolari di campagna nel cuore della notte, quando c’era una persona gravemente malata e sofferente. Vestita di nero, il volto coperto anch’esso di nero, l’accabadora si avvicinava al moribondo e lo soffocava con un cuscino. Oppure gli dava il colpo di grazia con un bastone, sulla fronte o dietro sulla nuca. Operava su richiesta dei familiari dei malati terminali, in ambienti in cui il medico era una rarità e la morte una compagna di viaggio perennemente alle calcagna.

Storia vera o fantasia? Sta di fatto che questa figura misteriosa identificava un rapporto con la morte improntato alla naturalezza, senza accanimenti o rimozioni, senza la mistificazione della giovinezza e dell’immortalità tipica dall’odierna società edonista.
Vincitore del Premio Campiello 2010, “Accabadora” è il romanzo che ha fatto conoscere al grande pubblico Michela Murgia, scrittrice vivace, femminista lucida, teologa “eretica”, paladina dei diritti arcobaleno, icona di coraggio nell’affrontare il tumore che se l’è portata via in pochi mesi, a soli 51 anni, lo scorso 10 agosto.

“Accabadora” da qualche anno è anche un monologo teatrale con la regia di Veronica Cruciani. Lo spettacolo ha raggiunto Milano, fuori cartellone, in un Teatro Menotti gremito, sulla scia dell’emozione che ha accompagnato le ultime settimane di Michela Murgia, la sua gioia di vivere, la serenità con cui ha accolto il morbo che aveva dentro come “male gentile”, anziché come nemico da abbattere a tutti i costi.

La pièce scritta da Carlotta Corradi e interpretata da Anna Della Rosa, narra la storia di Bonaria Urrai, accabadora di Soreni, dal punto di vista della giovane fill’e anima Maria.
Maria, ultima di quattro sorelle, era stata abbandonata dalla genitrice biologica quando aveva solo sei anni perché figlia della miseria. Derelitta, cenerentola di una donna grossolana e algida, Maria non immaginava di trovare proprio nella benestante sarta Bonaria una Tzia capace di amarla con la devozione di una madre.
Bonaria, una benedizione per Maria. Maria, un’iniezione vitale, un regalo inaspettato per la sterile Bonaria. Proprio lei che viveva in assiduità con la morte. Solo una volta cresciuta, Maria avrebbe scoperto l’anima accabadora di Bonaria, e dato significato alle notti in cui la vedeva uscire di casa in abiti spettrali.
Maria si allontanerà. Raggiungerà sa terramanna, il continente. Rientrerà a Soreni solo quando Bonaria sarà in punto di morte. Che cosa si diranno le due donne?

Veronica Cruciani costituisce la scena come un piedistallo leggero sul palco, una sorta di minipalafitta dove il personaggio di Maria pare elevarsi dentro una dimensione onirica che connette passato e presente. È lo spazio per un soliloquio che è dialogo interiore tra ragazza e Tzia. È un rimbalzo di ricordi fra amore, rimorsi, accuse e anelito al perdono.
Anna Della Rosa si muove con levità giostrando fra una panchina e una sedia nel suo abito carta da zucchero con scarpe rosa, davanti a un cielo pastello. Sguardi forti, occhi coriacei, gesti sobri, puliti, aperti.

Veronica Cruciani ribalta la storia di Murgia e la trasforma in un romanzo di formazione. A mano a mano che procede nella sua educazione sentimentale, Maria si trasforma, anche dialogando con immagini evanescenti proiettate sullo sfondo (di Lorenzo Letizia), versioni alternative del suo essere, controfigure della sua anima e identità.
La narrazione e il percorso di crescita sono accompagnati dalle luci soffuse e variegate di Gianni Staropoli. Il fondale dialoga con la drammaturgia cambiando colore, nel solco di alcune regie di Strehler o Ronconi.
L’impatto con la morte è dato da una musica tenue, sospesa, che a momenti si deforma in rantoli e latrati. Avvertiamo il respiro affannato del trapasso: ne intuiamo persino il tanfo, mentre gli abiti della protagonista si fanno sempre più tetri. È il preludio a una sorta di fusione tra queste due donne, Maria e Bonaria, la giovane e la vecchia, l’innocenza e la colpa, l’anelito alla vita e la rassegnazione alla morte come lento abbandono e deliquio. Ed è qui che la protagonista può finalmente scendere dalla pedana, abbracciare il passato e il destino, forse riconciliarsi con la sua terra, la sua storia, e quella Tzia dalla lunga gonna nera.

È tutto assai lineare in questo spettacolo dalla trama complessa e dal procedere didascalico. Molto precisa Della Rosa, e credibile anche nel suo accento sardo mai portato all’esasperazione.
Manca però la disperazione in quegli occhi. Mancano le assi portanti di una storia maledetta e di un personaggio disgraziato.
La morte bisogna custodirla dentro, in qualche recesso del corpo o dell’anima, per poterla mettere in scena, per conferirvi carne e sangue. Qui ci pare che manchi quell’assiduità, il daimon del racconto, che era la voce segreta di Michela Murgia, capace di oscillare tra verismo e realismo magico, con i fantasmi delle tenebre e il carnevale di personaggi che popolavano la sua narrativa, così limitrofa ai territori di Gabriel Garcia Márquez.
Il misticismo del romanzo lo sfioriamo in più circostanze, senza trovare le profondità che ci attenderemmo. L’indefinitezza suggestiva della sfumatura non ci tocca il cuore. Applaudiamo un lavoro confezionato a regola d’arte, privo tuttavia di quelle emozioni che lo renderebbero memorabile.

ACCABADORA
Dal romanzo di Michela Murgia
Edito da Giulio Einaudi Editore
Drammaturgia Carlotta Corradi
Con Anna Della Rosa
Regia Veronica Cruciani
luci Gianni Staropoli
suono Hurbert Westkemper
Musiche a cura di John Cascone
video Lorenzo Letizia
Produzione Savà Produzioni Creative, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Teatro Menotti, il 20 novembre 2023

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