Adriana Asti nella solitudine di Cocteau

Adriana Asti ne Il bell'indifferente
Adriana Asti ne Il bell'indifferente
Adriana Asti ne Il bell’indifferente (photo: ©Maria Laura Antonelli – Agf)

Partecipare ad un festival non significa soltanto sperimentare una specie di «Super size me» del teatro, testando su sé stessi gli effetti psicomotori di un Ronconi e uno Stein visti a distanza di poche ore.
Significa anche potersi sedere nella piazza del mercato di Spoleto e, bevendo un patriottico sagrantino, avere l’opportunità di parlare con alcuni di quelli che, con la propria schiena, provano a tenere vivo il formicaio del teatro italiano: artisti celebri e meno celebri; tecnici luci in grado di dirti quanti fari ha montato Bob Wilson nell’ultimo spettacolo o chi è il maestro più rompiballe; ragazzi dello staff che lavorano all’estero per guadagnare i soldi con cui provano poi a mantenersi in Italia, affrontando la giungla dell’organizzazione di eventi culturali.

Ma può capitare, anche, d’incontrare qualcuno che – con grande serenità – a un certo punto decide di cambiare vita.
Vicino al paese di Citerna, dove l’associazione E20Umbria e il nostro accompagnatore Gigi Bettin ci hanno permesso di visitare una bellissima Madonna da poco attribuita a Donatello, Mauro Tosti gestisce la sua Country house “Le rasse”.
Mentre ci pasce di bontà umbre, scopriamo che Mauro ha vissuto a Roma ed è stato tra i gestori e gli animatori del teatro L’Abaco, in zona Prati, uno degli spazi più attivi negli anni del fermento delle cantine romane. Insieme al suo gruppo di amici sperimentava già allora tutti quegli stratagemmi con cui ancora oggi i piccoli teatri provano a sbarcare il lunario senza rinunciare alla progettualità artistica: dj set, cineforum, concerti. Viveva insomma in quel «carpe diem» che è fatica e benedizione di tanti artisti.

Un giorno arriva un signore con un gran mucchio di soldi, per acquistare il teatro. Insieme ai collaboratori decidono di accettare. Ed ora eccolo qua: un uomo allampanato, dallo sguardo cordiale e la voce potente. Ama Parigi e il suo teatro vivace perché quotidiano, smitizzato, privo dei riti sociali che avvinghiano i pubblici compiaciuti di sentirsi minoranza.
Anche se i tempi stretti non ci permettono di approfondire il racconto, non mi sembra di scorgere in lui chissà quale nostalgia. Rimbaud, a poco più di vent’anni, disse addio alla poesia e divenne un trafficante, senza più scrivere un rigo: è passato comunque alla storia. Forse spesso servirebbe un pizzico di fatalismo in più: accettare che sia la vita a scriverci, senza per questo rinunciare alla propria inclinazione, mi è sempre sembrata una condizione dell’animo senza cui arte sincera non potrebbe esistere.

Ma al Festival dei 2Mondi s’incontrano ovviamente anche attori che nei teatri vivono da sempre, e per cui ormai l’odore del legno del palco è come ossigeno: è il caso di Adriana Asti, per cui davvero non servono presentazioni; diretta dal cineasta francese Benoit Jacquot, affronta Jean Cocteau in un dittico composto dai monologhi “La voce umana” e “Il bell’indifferente”. Siamo al Teatro Caio Melisso – Spazio Carla Fendi.

I due monologhi (nel secondo c’è in scena anche Mauro Conte, che però rimane presenza muta, come da titolo) dipingono due prospettive della stessa solitudine: entrambe le protagoniste, infatti, vivono con il compagno un rapporto morboso, da dipendenza chimica, un amore farmacologico.

Nel primo testo la Asti è al telefono con l’uomo che l’ha lasciata dopo una lunga storia: in vestaglia bianca, pencolando fra un tavolino con un’abat-jour sulla destra della scena e il letto matrimoniale sulla sinistra, fuma nervosamente una sigaretta, prendendosela con le interferenze della linea.
Cocteau ci guida alla ricostruzione della parabola amorosa soltanto da uno dei capi del telefono, sfruttando dunque come fuoco della drammaturgia i sommovimenti interiori della donna, le sue menzogne (fuma e nega di fumare; tiene una pistola in mano mentre dice di non aver mai pensato al suicidio), il suo terrore del silenzio, che qui è sempre sinonimo di annullamento e di morte. I suoi disperati «Pronto?» diventano ben più di un segnale fatidico, perché la Asti li utilizza come fossero delle boe, facendo da essi partire i cambiamenti di ritmo e d’intensità.

Dopo un rapido spostamento di scenografia, che avviene a sipario alzato mentre la Asti si siede in platea (una scelta non particolarmente efficace), con “Il bell’indifferente” i toni si fanno più parodici: stavolta siamo di fronte a una donna in preda a una sorta di Sindrome di Stoccolma, incapace di separarsi da un uomo che non le rivolge nemmeno la parola, spostandola come un birillo se la trova di fronte alla porta, che si addormenta dietro la paratia di un giornale mentre lei cerca disperatamente la sua attenzione, e che le impedisce di uscire dalla stanza d’albergo.

Il clima autoironico (l’ottantenne Asti accusa il giovane Conte e la sua amante: «Stai con una puttana che ha il doppio della tua età!») apre ampi spazi per il virtuosismo d’attore, di cui la Asti ovviamente approfitta; la recitazione si fa più allocutiva, la voce più dura e la gestualità più netta. Si passa da un dolore «in absentia» ad uno «in praesentia»: all’estroflessione corrisponde un minore psicologismo, che per come era sviluppato nella prima parte risultava fin troppo cechoviano; la seconda messa in scena, insomma, sembra ben più efficace della prima.

Chiudiamo con una curiosità, raccolta dal traduttore René de Ceccatty. Il testo di Cocteau è in realtà la trasfigurazione del suo amore infelice per il giovane poeta Jean Desbordes: «Un giorno, il poeta surrealista Paul Eluard, che assisteva alle “prove” assieme al regista russo Sergej Ejzenstejn, protestò rumorosamente: “Basta! Basta! È a Desbordes che lei sta telefonando!”».

LA VOCE UMANA / IL BELL’INDIFFERENTE
di Jean Cocteau
traduzione René de Ceccatty
con Mauro Conte
regia Benoît Jacquot
scene Roberto Platé
costumi Nicoletta Ercole e Christian Gasc
luci Daniele Nannuzzi e Jacques Rouveyrollis
assistente alla regia Geneviève Dufour
assistente alle scene Luisa Paglialunga
assistente alle luci Jessica Duclos
assistente Adriana Asti Chiara Mogavero
costumi realizzati da fbg 22-11 studio de costumes, D’Inzillo Sweet Mode s.r.l., Agnès Dominique Dit Cabannes
scene realizzate dal laboratorio di scenotecnica e pittura del Festival dei 2Mondi di Spoleto
un progetto di Spoleto56 Festival dei 2Mondi
coproduzione Spoleto56 Festival dei 2Mondi, Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Mittelfest

Visto a Spoleto, Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi, il 7 luglio 2013
Prima nazionale

0 replies on “Adriana Asti nella solitudine di Cocteau”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *