Un grande cast in scena al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 21 gennaio
Assai raro è, in questi tempi difficili, gustare in modo appagante, per quasi tre ore, uno spettacolo con un vasto stuolo di attori eccellenti, diretti in modo naturale e con sapienza, che ci possa immergere nel sentire contemporaneo attraverso una drammaturgia compatta ma nello stesso tempo ramificata, che accolga dentro di sé anche i riverberi emotivi dei classici del passato, da Strindberg a O’Neill.
Tutto questo piacere ce lo ha offerto “Agosto a Osage County”, del drammaturgo e attore americano Tracy Letts, Premio Pulitzer 2008, tradotto da Monica Capuani, testo che debuttò all’Imperial Theatre di Broadway nel 2007 per poi, nel 2013, diventare anche un film diretto da John Wells, con Meryl Streep, Julia Roberts ed Ewan McGregor.
Lo spettacolo, che abbiamo visto al Franco Parenti di Milano, è diretto da Filippo Dini, recentemente nominato direttore dello Stabile del Veneto, da tempo concentrato sulla drammaturgia anglo-statunitense (ricordiamo tra le altre le sue ottime rivisitazioni del “Crogiuolo” di Arthur Miller, del romanzo di Stephen King “Misery non deve morire” e di “Locke”, sceneggiatura di Steven Knight per il suo omonimo film), qui coadiuvato da Carlo Orlando in veste di dramaturg e aiuto regista.
Il plot narrato, peraltro, parte da una situazione già altre volte sperimentata con successo, soprattutto al cinema, per indagare la molteplicità dei sentimenti umani: il raduno, dopo tanto tempo, di un nucleo familiare per un’occasione del tutto particolare, e il conseguente deflagarsi dei sentimenti dei suoi componenti. In questo caso il nucleo familiare è quello dei Weston, che si ritrova nella casa del capostipite, situata in un luogo in qualche modo simbolico: Osage, in Oklahoma, ai margini del deserto.
L’occasione è data della misteriosa sparizione di Beverly Weston (Fabrizio Contri), il capofamiglia, da tempo in preda alla depressione e ai fumi dell’alcool. Solo più tardi uno sceriffo avviserà che Beverly non è sparito ma è morto, forse suicida.
Piano piano l’accorta drammaturgia dello spettacolo ci mostra, uno ad uno, tutti i personaggi del dramma, in cui gli uomini sono spesso sottomessi alla forza propulsiva delle donne.
Al suo centro una coppia ormai consunta dal tempo e dalla noia, formata da Bill (lo stesso Filippo Dini), professore universitario refrattario ad ogni tipo responsabilità, e Barbara, la figlia di Beverly (Manuela Mandracchia), appena abbandonata da lui per una donna più giovane. Con loro gli altri figli di Weston: Ivy (Stefania Medri), l’unica rimasta con i genitori ad Osage, docente anch’essa all’università e innamorata del cugino (Edoardo Sorgente), e la superficialmente invasiva e petulante Karen (Valeria Angelozzi), il cui compagno, interpretato con giusta viscida baldanza da Fulvio Pepe, proverà a violentare la figlia adolescente di Barbara e Bill.
Ma altri personaggi ruotano intorno a loro; su di essi capeggia Violet, vedova di Beverly e madre di Barbara, una intensa e bravissima, nella sua crudezza, Anna Bonaiuto, malata di cancro e sempre impasticcata. Insieme a lei conosceremo la sorella, Mattie Fae (Orietta Notari) con il marito Charlie (Andrea Di Casa), fra tutti i personaggi il più dotato di sensibilità.
La famiglia, luogo deputato per gli affetti più speciali, nido in cui rifugiarsi contro i mali del mondo, nel corso dello spettacolo verrà scandagliata come una sorta di ring di tutti contro tutti, in cui la resa dei conti è sempre dietro l’angolo.
Sarà il pranzo nel giorno del funerale di Beverly a scatenare questo dramma dei rapporti consunti, con la vedova che metterà tutti davanti alla loro misera realtà, mascherata da consuetudine, dove è persino vietato l’amore, dato che quello vero è disinteressato.
Con fine accortezza il testo, senza alcuna retorica, mescola la crudeltà dell’assunto con frequenti momenti ironici, di grottesca valenza, che ne fanno risultare ancor più la contemporanea profondità. Vi è anche l’occasione di una specie di canto liberatorio, a mo’ di musical, che dura però solo pochi istanti. Vi è poi il bellissimo finale, in cui ci accorgeremo che l’unica a risultare vincitrice in questo stuolo di perdenti è colei che è nata in quel deserto, la governante Johnna (Valentina Spaletta Tavella), discendente del popolo Cheyenne. Sarà proprio lei che, andati via tutti, accoglierà nella casa ormai vuota, tra le sue braccia, la tremante Violet con una dolce ninna nanna: Violet, rimasta sola in un luogo svuotato di gente e di quel senso profondo di umanità che non ha mai fatto la sua comparsa.
La scenografia di Gregorio Zurla ci immerge nella casa di impianto tradizionale dei Weston, dividendola su due livelli, con sopra le camere da letto dove nascono le scaramucce tra i coniugi e dove le tre sorelle si risolveranno a sbranarsi tra loro, mentre sotto le altre stanze si scompongono e ricompongono, facendole partecipare come se fossero vive ai drammi che vi si svolgono. E della partita saranno anche Thomas Eliot ed Emily Dickinson a dare un poco di luce a questo inferno dei sentimenti.
In scena fino al 21 gennaio. E poi a Napoli, al Teatro Bellini, dal 25 gennaio al 4 febbraio.
Agosto a Osage County
di Tracy Letts
traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella
dramaturg e aiuto regia Carlo Orlando
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
suono Claudio Tortorici
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
durata: 2h 45’
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 16 gennaio 2024