Al Pacino, la tigre e Dragone. Da Napoli con furore

Al Pacino
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Trama 1: 1779. Li Mu Bai, grande guerriero e maestro wudang, torna a Pechino dopo alcune settimane di meditazione per informare Shu Lien (un’amica, anche lei maestra di arti marziali) di voler smettere di combattere e di voler regalare la sua spada, la leggendaria e micidiale “Destino Verde” forgiata quattrocento anni prima con un metallo praticamente indistruttibile, al signor Tie, un ricco abitante di Pechino, conoscente del governatore Yu.
Shu Lien è dapprima sconcertata dalla decisione di Mu Bai sapendo che egli non ha ancora vendicato il suo vecchio maestro di arti marziali “Gru del Sud”, ucciso anni prima da una famigerata assassina, “Volpe di Giada”, ma Mu Bai le risponde che ha già trovato pace, perciò non vuole più combattere.

Trama 2: 2016. Franco Dragone, grande guerriero e direttore del Napoli Teatro Festival dopo l’addio di Luca De Fusco, torna a Napoli dopo aver passato alcune settimane in giro a vedere spettacoli, e informa Luigi Grispello (presidente di Fondazione Campania dei Festival) di voler far svolgere la battaglia campale della prossima edizione del festival ‘regalando’ alla città di Napoli, nelle magiche notti del 13 e 14 giugno, la leggendaria e micidiale presenza di Al Pacino, che da anni viene invitato nel capoluogo campano ma, per via di una sfiga praticamente indistruttibile, non riesce a metter piede all’ombra del Vesuvio.
Grispello è dapprima sconcertato dalla decisione di Dragone, sapendo che ancora non sono finiti i guai economici lasciati al Napoli Teatro Festival del vecchio maestro De Fusco, ucciso nel ruolo di direttore artistico del NTFI e al contempo dalla nuova legge sui teatri nazionali, e quindi dal divieto di doppi incarichi (oltre che dal cambio di amministrazione alla Regione Campania). Dragone gli risponde che solo così potranno far arrivare Pacino, perciò vuole combattere fino in fondo. A quel punto Dragone guarda Grispello e ammette: “Ci sarebbe solo un piccolo conticino… una robetta da 700 mila euro da tirar fuori…”.

…Che poi piacerebbe fosse solo questione di Napoli. Piacerebbe a molti pensare che è la solita solfa un po’ meridionale dello spreco in grande. Ma è successo uguale uguale qualche mese fa a Milano. Già l’abbiamo rimosso, visto che il blob delle notizie che tutto fagocita fa apparire lontanissime anche le cose di ieri, e pèrdono tutte subito di importanza. Ma face scandalo allo stesso modo. Allora si parlava addirittura di 8 milioni e mezzo di euro (con poltrone da 35 euro in su).
E’ stato lo spettacolo del Cinque du Soleil pensato apposta per Expo. Chiuso in anticipo per mancanza di pubblico, con meno di 200 mila spettatori paganti contro il mezzo milione previsto.

Diverso sarebbe a Napoli, dove non ci sono dubbi sul fatto che l’Arena Flegrea potrebbe riempirsi per quell’incontro sempre rimandato fra Pacino e la città. Diecimila spettatori possibili (anche se si parla di poltrone a 200 euro!). Ma chissà, pare che a Napoli la battaglia sul buonsenso possa concludersi diversamente.

Questo tipo di articoli di solito continua con il teorema delle equivalenze, dimostrando come 700 mila euro per due serate di metà giugno con la stella del cinema corrispondano a un tot di residenze artistiche pagate in città, a decine e decine di operatori che lavorano sul territorio per diffondere cultura, ad una certa percentuale del debito che gli enti pubblici hanno verso il sistema dei teatri etc. etc.

Oppure con l’altro argomento, del sistema di subcultura dei decisori e manager che spesso preferiscono il grande nome della tv o del cinema per salvare stagioni ed eventi e dargli parvenza di colossalità, lasciando poi le briciole e i pagamenti mai fatti alle compagnie assoldate per cachet miserabili, realtà che spesso nemmeno conoscono, affidandosi a qualche conoscitore del teatro dei poveracci. Con qualche spruzzata di registi borderline ed una impepata di tematica gender. E poi un po’ di fringe per le giovani realtà emergenti.

Invece stavolta vogliamo finire con la riflessione che Al Pacino stesso lasciò in un’intervista al Guardian l’anno scorso:

I’ve never been materialistic. Except that I am, of course, because my lifestyle makes me a spender!

Cosa, se non “Le Voci di Dentro”, spingono l’artista a porre il grande tema del dilemma morale fra essere e avere. L’artista si dichiara sofisticatamente sconnesso dal denaro e da ciò che rappresenta. Salvo averne bisogno per il suo stile di vita.
E qui andiamo a capire: ma che bisogno ha il direttore del Napoli Teatro Festival (in scena dal 3 al 28 giugno) di andare a chiamare uno dall’altra parte del mondo per dargli 350 mila euro a sera per il suo one-man-show? Il sospetto è anche in questo caso quello del lifestyle. Vuoi mettere invitare Latella e andare a finire a cena da Nennella ai Quartieri Spagnoli, o Al Pacino e finirla magari in un 3 stelle Michelin, con imperitura foto sulla scrivania a ricordarlo a sé e al mondo, con paginoni sui giornali di mezzo mondo, ma senza nessuna ricaduta di medio lungo termine sulla città e il Sistema Cultura (uà, k’pall!)?

It’s all a matter of lifestyle.

“La tigre e il dragone” finisce con il protagonista che si lancia nel vuoto, scomparendo tra le nuvole, lasciando l’amante a guardarla.
Ma a Napoli è difficile che qualcuno si getti nel vuoto. A maggior ragione con uno stipendio di 200 mila euro all’anno come quello che percepisce – così si dice – il Dragone. Che equivale a duecentomila caffè, 20 residenze, 40 attori…
E questo, scommettiamo, anche se a vincer la battaglia stavolta dovesse essere Shu Lien Groppello e finisse con Latella da Nennella. Ma lo sapremo presto.

Intanto infuria la polemica. Uà-tà!!

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