All’ImPulsTanz di Vienna l’unicità del sentire di Platel

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Tauberbach
Tauberbach (photo: Bettina Strenske/LNP)

L’ImPulsTanz festeggia con questa edizione trent’anni di attività. Divenuto uno dei più ricchi festival di danza contemporanea europei, è oggi considerato una piattaforma internazionale di scambio per i professionisti del settore.
Il programma, in corso a Vienna fino al 17 agosto, prevede cinque settimane di performance, workshop, residenze, progetti di ricerca e incontri con artisti provenienti da tutto il mondo.

L’intento del festival è quello di dare una visione d’insieme della produzione di danza contemporanea nel mondo, offrendo un gran numero di performance (più di cento) con alcuni tra i nomi più consolidati del panorama mondiale.
In questa edizione, tra gli altri, il Ballet de l‘Opéra National de Paris, Alain Platel / Les ballets C de la B, Jérôme Bel, Compagnie Marie Chouinard, Damaged Goods, La La La Human Steps, Cie Mathilde Monnier, Rosas, Ultima Vez.

Con il sostegno del Museum Quartier – il polmone museale di arte contemporanea della capitale austriaca – e la collaborazione delle tante realtà teatrali presenti sul territorio, come il Vienna State Opera, il Burgtheatre e il Volkstheater, gli spettacoli sono diffusi in vari luoghi della città, con un notevole afflusso, stimato anche per quest’anno intorno alle 30.000 persone. Un pubblico molto variegato – dalle signore vestite di tutto punto a personaggi più alternativi – che riflette un po’ la doppia anima della città, fra tradizione e innovazione.
La Vienna imperiale del Regno Asburgico, di cui ancora sono presenti tutte le tracce negli eleganti caffè e nei palazzi sontuosi, convive oggi con quella più moderna e alternativa, che si riflette nell’avanguardia artistica e in quartieri come il Wuk, grande centro socio-culturale dove più di 130 organizzazioni progettano eventi di ogni tipo.

In una delle prime giornate del festival, dopo aver passato il pomeriggio in compagnia proprio di Alain Platel, abbiamo assistito alla prima austriaca di “Tauberbach” al Volkstheatre (“Teatro del popolo”), adiacente il Museum Quartier, con tanto di aperitivo all’entrata.

“Tauberbach” (che aprirà a settembre Torinodanza), performance per cinque danzatori e un’attrice, significa letteralmente “Bach sordo”. Platel si è ispirato infatti, oltre al documentario di Marco Prado “Estamira” (la storia di una donna schizofrenica che vive in una discarica) all’omonimo esperimento di Artur Zmijewski, che vedeva interpretare un brano di Bach da parte di un coro di ragazzi sordi.
Il titolo prelude quindi già all’attenzione del coreografo belga verso chi è emarginato o diverso, sia per una qualche innata carenza che per circostanze della vita.
Ma c’è anche una similitudine con il tipo di approccio istintivo e personale con cui i personaggi della discarica vivono le loro sensazioni, che possono sembrare distorte, o lontane dalle emozioni più comuni, ma pur sempre umane. Platel riesce quindi a destinare, attraverso i danzatori, un nuovo e personale significato alla parola “sentire”, proprio come fanno i ragazzi del coro di Smijewski.

L’impatto visivo è intenso e potente. Già prima dell’inizio il pubblico è incuriosito dalla parte di palco che resta fuori dalle quinte, da cui spuntano una serie di vestiti ammucchiati. L’inizio della performance, accompagnata dal suono di un ronzio, svelerà una distesa multicolore di vestiti, che restituiscono esattamente l’immagine di una discarica di rifiuti.

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Tauberbach (photo: Chris Van der Burght)

Viene calata un’americana, che resterà sospesa a mezz’aria per tutta la durata della performance, da cui cinque danzatori si lasciano cadere sui mucchi di vestiti. Inizieranno a muoversi disordinatamente, mentre Estamira, la protagonista, entra in scena con il suo monologo fatto di frasi senza senso, in un misto di inglese, tedesco e portoghese, con cui riesce ad offrire stralci di verità sul perché viva lì, in quella scena-derelitto fatta di avanzi e di rimasugli.

E’ da questi resti di una società votata allo spreco e al consumismo spietato, che si sono generati i personaggi di “Tauberbach”, creature non bene identificabili, sorta di “mostri da spazzatura” che vivono di ciò che trovano e che, svoltolandosi tra i rifiuti, sono riusciti a creare un loro modo istintivo di comunicare. Tutti tranne uno: Estamira, interpretato dalla eccellente Elsie de Brauw.

Estamira è forte e risoluta, e nonostante il suo isolamento ha trovato un proprio modo di sopravvivere. Si è inventata un linguaggio, attraverso il quale parla con se stessa e con la voce che risuona nella sua testa, una sorta di coscienza superiore che la mette di fronte alla realtà con moniti del tipo “Who do you think you are?” e “Stay in control”. Ma lei non si è arresa. “I do not agree with life” ripete più volte, “I will not change my being”.
Estamira non vuole cedere al decadimento umano, alla perdita di dignità. Si ribella, fa finta di essere invulnerabile ma poi confessa: “Did you hear the storm? It was inside me” (Avete sentito la tempesta? Era dentro di me). Raccoglie ora un vestito, ora un altro e lo indossa, a seconda dell’umore. La vita non è qualcosa che accetti o rifiuti, ma una sorta di materiale fluido su cui puoi lavorare per creare un nuovo essere umano, in ogni momento, e in ogni circostanza.

E’ una genesi del divenire la performance di Platel. Una coreografia declinata con feroce acuità in pulsazioni selvagge, che raccontano la distruzione e allo stesso tempo l’esaltazione dell’essere umano.

Da animale isolato, chiusa in stessa e incapace di comunicare, Estamira si inserisce lentamente nel branco, inizia ad entrare in contatto con ognuno di loro, e con ogni forma di linguaggio differente che gli appartiene, e alla fine non sarà più sola. Ma c’è anche uno sviluppo del movimento che avviene durante la coreografia.
Inizialmente tutti gli elementi si muovono poco, con spasmi istintivi, movimenti confusi, tic, una sorta di schizofrenia del corpo che esprime il loro stato confusionale. Poi i personaggi vengono a turno sradicati dal loro tessuto e rivelati secondo ciò che li caratterizza. Caratteristiche che derivano dalle abilità stesse dei performer, ognuno straordinario in modo diverso, dalla fisicità malleabile di Romeo Runa alle abilità (incluse quelle vocali) di Ross McCormack. E’ un mondo che funziona secondo principi propri, e con l’avanzare della performance i movimenti acquistano armonia e ritmo. La danza ha così un effetto catartico e liberatorio e acquista sempre più in significato, diventando danza come dignità dell’essere.

La musica di Bach accompagna tutta la performance riuscendo a sublimare una scena di devastazione umana in qualcosa di altamente lirico.

Platel, con il suo collettivo Les Ballets C de la B, è riuscito perfettamente nell’intento di rimodellare, con i suoi strumenti, una porzione di realtà caratterizzata da un vuoto, aprendone strade impreviste.
Resta la sensazione di averli visti danzare troppo poco, e il desiderio inappagato di vedere il vero risultato di quella comunicazione ritrovata. Ma è già materiale per un’altra performance.

Tauberbach
ideato e diretto da Alain Platel
performers (che hanno contribuito alla realizzazione): Bérengère Bodin, Elie Tass, Elsie de Brauw, Lisi Estaras, Romeu Runa, Ross McCormack
drammaturgia: Koen Tachelet, Hildegard De Vuyst
suono e direzione musicale: Steven Prengels
disegno luci: Carlo Bourguignon
tecnico del suono: Bartold Uyttersprot
costumi: Teresa Vergho

durata: 85′
applausi del pubblico: 3′

Visto a Vienna, Volkstheater, il 19 luglio 2014

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