Amleta mappa la disparità di genere nel teatro italiano

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Quando si sono incontrate via Zoom durante il lockdown, la scorsa primavera, erano poco più di venti. Oggi il gruppo conta centocinquanta adesioni. Sono attrici e attiviste, e, forse, sono riuscite ad affievolire quella voce che le vuole eternamente in competizione, l’una contro l’altra, amiche e nemiche. Sono il collettivo Amleta, un gruppo di attrici professioniste che durante l’estate, in forma del tutto volontaria, ha lavorato per mettere nero su bianco i numeri della disparità di genere all’interno del settore dello spettacolo dal vivo. Ne è venuta fuori un’importante mappatura i cui dati sono poco confortanti, e la cosa purtroppo non ci sorprende. L’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro sembra ancora lontana da raggiungere in tutta l’Unione Europea, e l’Italia è tra i paesi con il divario occupazionale più ampio. Nessuno finora si era preso la briga di capire quale fosse la situazione all’interno del settore teatro, e in particolare sui palchi dei maggiori teatri italiani.
Prima la minor presenza femminile era solo un sentore, oggi i dati raccolti parlano chiaro, come ci racconta Eleonora Giovanardi in questa intervista.

Come è nato il collettivo?
Nasciamo come tavolo di genere del gruppo Attrici e Attori Uniti, che si è costituito durante il lockdown per fare fronte alla difficoltà del nostro settore. In seguito, in modo molto naturale, abbiamo capito che le nostre istanze, le nostre battaglie andavano anche oltre le problematiche legate al lockdown, e abbiamo deciso di creare questo gruppo che porta avanti dei percorsi che sono più a lungo termine, legati principalmente alla condizione femminile, o comunque legati alle problematiche di genere. Dopo un lungo e bellissimo processo di votazione, in cui sono state coinvolte le volontarie del gruppo, gli abbiamo dato un nome, Amleta.

Per quale motivo avete scelto questo nome?
Dare un nome vuol dire battezzare, nascere, e da tutte noi è nata l’esigenza di farlo. Scegliere insieme, in modo aperto e democratico, il nome da dare al gruppo è stato sicuramente un bel modo per conoscerci, ma è stato soprattutto un processo che ha posto le basi per il nostro modo di procedere lavorativo, e che ha dato il via anche al “tono” che ci piace tenere anche nei social, che è quello dell’ironia.
Amleta nasce dalla domanda: come sarebbero il mondo e la storia se l’emblema del teatro fosse stato al femminile? E poi è un nome che un po’ stride, come quando si dice avvocata, assessora, sindaca, all’inizio si fa un po’ fatica a portarlo nel linguaggio comune. Ecco, Amleta vuole fare questo, vuole essere una spia quasi cacofonica che riporta l’attenzione a una parità di genere che noi, ovviamente, cerchiamo.

Avete appena pubblicato i dati di un’importante mappatura che mette in evidenza una grande disparità di genere all’interno dei principali teatri italiani. Come ci siete arrivate e come avete lavorato per realizzarla?
La mappatura è stata per noi fondamentale, è stato il primo lavoro che abbiamo iniziato e portato a termine, quindi un risultato molto importante. E’ un lavoro che, nuovamente, ci ha unito molto come gruppo perché abbiamo lavorato tutte alacremente nei mesi estivi, e completamente in forma di volontariato. L’idea è nata attorno a Zoom, dove ci si incontrava durante il lockdown; avevamo tutte il sentore che le presenze femminili fossero basse nei teatri italiani, ma sappiamo bene che con i sentori non si fa niente e quindi abbiamo deciso di concretizzarli. Ci siamo dette andiamo a vedere davvero, con numeri e percentuali, con la concretezza di un calcolo matematico se questo sentore è corretto o meno. Per noi era importante capire le presenze femminili nel teatro italiano, ma anche dove vengono collocate, cioè: siamo presenti nei teatri principali?
Ci siamo avvalse di un consulente esterno che ha creato delle tabelle excel, che noi abbiamo compilato in modo amanuense, andando a contare le presenze femminili negli spettacoli di prosa nei Teatri Nazionali, Teatri di rilevante interesse culturale – Tric e Fondazione Piccolo Teatro di Milano (le strutture maggiormente sostenute dal FUS), negli anni che vanno dal 2017 al 2020, le tabelle poi sono state lette dal consulente.

E, ahinoi, i risultati vi hanno dato ragione. Proviamo a leggerla insieme questa mappatura.
Purtroppo è così. E’ risultato che la presenza femminile nei teatri italiani è del 32,4%, a fronte del 67,6% di quella maschile, ma i dati diventano molto interessanti quando si va a spaccare questa percentuale in base ai ruoli. I ruoli che abbiamo preso in considerazione non sono solo quelli delle attrici, ma anche di tutte quelle figure che lavorano per portare un punto di vista femminile all’interno dello spettacolo, e che possono incidere sul prodotto finale, quindi parliamo di registe, drammaturghe e curatrici dell’adattamento. Le drammaturghe sono quelle che hanno la percentuale in assoluto più bassa, in totale nei teatri sono pari a 20,7% che scende al 14,6% nelle sale principali. Se rovesciamo il punto di vista, questo vuol dire che l’80% della narrazione viene fatta da un punto di vista maschile su un pubblico che sappiamo essere -anzi mettiamolo ancora in forse dato che non l’abbiamo mappato- in prevalenza femminile, come quello delle lettrici. E questo per noi è un dato molto importante perché vuol dire non solo che le presenze femminili sono decisamente meno della metà rispetto a quelle maschili, ma quando si va nelle sale principali il dato si abbassa ancora di più, quindi vuol dire che le donne calcano meno i palcoscenici più prestigiosi. E questo si ritrova anche se guardiamo la presenza di direttrici di teatro, nei Teatri Nazionali non ce ne sono, nel Piccolo nemmeno, e nei Tric ce ne sono sei, questo la dice lunga sulla parità di genere.

Anche se andiamo a guardare la percentuale occupazionale calcolata sui giorni di replica di attori e attrici nel triennio c’è una grande disparità.
Qui la percentuale è del 36,8% contro il 63,2%, ed è stata calcolata facendo una media ponderata del numero di attori e attrici all’interno delle stagioni dei vari spettacoli, moltiplicata per i giorni di replica, e mostra che non solo le attrici sono meno ma circuitano anche meno, e questo va a incidere nei dati occupazionali. Voglio precisare che noi stiamo parlando di figure femminili, i nostri dati non riguardano dei nomi e cognomi, quindi non sono dati occupazionali come quelli che possono fornire i sindacati o le casse previdenziali. I nostri sono legati alle figure femminili.

Questi dati sembrano disegnare anche un rapporto di potere.
Ci tengo a dire che i dati non sono e non vogliono essere polemici, non è polemica perché nel nostro gruppo ci sono anche degli Amleta, e sappiamo che ci sono degli uomini che combattono le nostre stesse battaglie. Ma sappiamo anche che una minor presenza di registe e di drammaturghe poi a cascata incide anche sul nostro ruolo di attrici, non solo dal punto di vista numerico ma anche dal punto di vista della qualità dei ruoli che vengono rappresentati. Questa mappatura semplicemente stabilisce una realtà di fatto, una realtà che pone delle domande, perché là dove non ci sono le donne, dobbiamo capire perché le donne non ci sono. Il problema è spesso quello di confondere la causa con l’effetto… cioè le donne sono meno perché sono meno? Invece il punto è: dove c’è lo sbarramento in accesso? La nostra domanda si vuole concentrare su questo. Qual è il problema dell’accesso ai ruoli? E’ lì che dobbiamo spostarla, senza polemiche; invertiamo la rotta tutti insieme, cooperiamo per invertire questa rotta, perché manca una fetta di narrazione.

Come pensate di utilizzare questa mappatura?
Intanto siamo andate a coprire un buco, perché questa mappatura non era mai stata fatta. E noi di Amleta con risorse personali, perché ripeto siamo volontarie, ci siamo autotassate e abbiamo portato a termine questa mappatura, abbiamo portato luce dove prima c’era il buio. Con questi dati noi vorremmo essere interlocutrici dirette dei teatri, della politica, per esempio perché non fare della parità di genere un parametro per l’attribuzione del Fus? Oppure potremmo essere le interlocutrici dirette negli osservatori regionali del Consiglio superiore dello spettacolo per portare la parità di genere là dove è possibile. Nel nostro report finale c’è un asterisco che ricorda anche la presenza di persone transgender, è una percentuale bassa, lo 0,2%, ma per me è importante ricordare che c’è. E’ importante che ci sia, perché questo è il femminismo che abbracciamo, quello che vuole dare voce alle minoranze, e generare inclusione. Molte di noi erano attiviste prima di Amleta altre lo stanno diventando. All’inizio c’è stato uno scarto di linguaggio perché non parlavano tutte la stessa “lingua”, la mappatura ci ha aiutato a conoscerci e a creare un linguaggio familiare, e il femminismo in questo canale è quello che ci ha unite.

Avete in cantiere altre mappature? Ho visto che siete già molto attive nei social, e state proponendo diverse iniziative…
Da poco abbiamo deciso di costituirci come associazione, anche questo sarà un passaggio importante, stiamo iniziando ad avere delle collaborazioni con l’università, stiamo pensando all’idea di copiare dai nostri colleghi inglesi un codice etico da portare nei teatri. Stiamo analizzando la drammaturgia contemporanea per capire anche la qualità dei ruoli, è un lavoro molto lungo, dobbiamo creare dei parametri stringenti, ed è molto difficile quando si va sul campo prettamente artistico. E poi sono già in atto altre attività, abbiamo creato il nostro Decalogo, nato sulla scorta del caso Marini, che parla di come va condotto bene un casting, con Osservatoria portiamo avanti l’attenzione sulla violenza sulle donne, abbiamo attivato una mail osservatoria.amleta@gmail.com dove le colleghe posso scriverci là dove si sentono in difficoltà, e tutto viene trattato con il massimo rispetto. Per noi il contrasto alla violenza è molto importante, collaboriamo con una avvocata – Teresa Manente – che è una grande esperta di contrasto alla violenza femminile. Abbiamo attivato anche la challenge sul “teatro ragazze” e poi abbiamo i nostri mercoledì di genere, in cui incontriamo delle professioniste, filosofe, scrittrici, casting director, per aumentare la nostra consapevolezza e le nostre conoscenze, e da cui realizziamo delle pillole che condividiamo sui social. La mappatura ha coperto un buco, ma per me la parte più rivoluzionaria è il fatto di esserci, le donne, le attrici vengono sempre viste come un insieme che non può essere insieme, perché in competizione l’una con l’altra, e la parte più rivoluzionaria è proprio questa, il fatto che noi ci siamo, siamo attrici e stiamo lavorando bene insieme.

Per chi vuole far parte del gruppo Amleta, o chiedere informazioni, può scrivere a amleta.info@gmail.com

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