Eugenio Barba al Quirino ammazza il tempo con Mr. Peanut

Julia Varley e Mr. Peanut
Julia Varley e Mr. Peanut
Julia Varley e Mister Peanut in The Castle of Holstebro II (photo: Jan Rusz)

In sala c’è il silenzio degli avvenimenti attesi. La platea è dimezzata, questa la trovata con cui Lorenzo Gleijeses immagina lo spazio adatto a una rivoluzione. Le pareti di quel teatro antico, che si apprestano ad ospitare una stagione sicuramente ricca eppure senza rischi di sorta, offrono per adesso uno specchio deformante del nuovo teatro, quello che deriva dai maestri dell’avaguardia. Allora nel programma della serata c’è l’Odin Teatret, ci sono nomi come quello di Eugenio Barba e di Julia Varley, che arrivano a presentare “Ammazzando il tempo”, tre momenti della giornata di Mr. Peanut. Personaggio enigmatico, emblema di quella drammaturgia visiva che ha reso grande l’Odin, Mr. Peanut è un golem semi-umano, una creatura gigantesca che ha corpo umano deformato e volto di teschio. Puppet montato sulle spalle di una leggiadra Varley, straniante imponenza e passo sbilenco, un foulard vermiglio gli avvolge la gola, spiegato sul viso il ghigno tipico della morte.

Divisa in tre momenti, la giornata di Mr.Peanut ha le sembianze inesorabili di un’allegoria crudele.Tre cambi d’abito, tre sotto-personaggi, in una struttura scenica che brilla per fluidità, aiutata da musiche giuste, che incorniciano il cambiamento di ritmo. Allora su un malinconico jazz per contrabbasso, spazzole e pianoforte, Mr.Peanut entra indossando il frac delle grandi occasioni. Incede solenne, come un pezzo grosso della corte del re. Una solennità stemperata con grande ironia, quando dalla sporta tira fuori un pugno di indumenti intimi che stenderà al sole dei riflettori. Boxer neri con fantasie a teschi e reggiseni e mutandine rosso vivo, come se stesse mostrando ciò che compone la sua propria essenza, e cioè indumenti avanzati, involucri vuoti, come scheletri senza carne. Il colpo di pistola non lo ucciderà, sarà solo fumo e odore di zolfo di un giocattolo per bambini cresciuti, la sua mascella scheletrica sputerà foglie, le stesse che, da sotto il vestito, gli gonfiano la pancia. E sono foglie morte anche quelle.
Per il secondo movimento giunge una musica come di danza gitana. Mr. Peanut diventa una dama in rosso, una madre che accudisce un bambolotto, per poi chiuderlo, fasciato di viola, in una minuscola bara di legno. L’epilogo sarà segnato da un ulteriore cambio d’abito. Il completo da sposa rinascimentale è freddo e terribile, il teschio incorniciato dal velo color perla e la ghirlanda di fiori appassiti.
Alla fine della giornata Mr. Peanut ci regala un’ultima speranza mancata: come in uno spettacolo di prestidigitazione, un filo – che ci piace far somigliare alla linea della vita – scappa da un calice e si srotola a terra con inquietante urgenza. E, andando a riabbracciarlo, a riprenderlo in braccio, il figlio così teneramente coccolato è già uno scheletro: inesorabile ciclo delle cose che, appena nate, già camminano, corrono anzi verso la fine.

“Ammazzando il tempo” è una sorta di apologo amaro, nel quale Barba condensa gran parte della mitologia del suo teatro, quell’energia primordiale che veniva da analisi antropologiche, da intuizioni limpide. Ci ricorda molto teatro degli anni ’70 questo spettacolo, che pure ha, contemporaneamente, il ritmo nuovo di una riflessione astratta.
In mezzo a tanti esperimenti che, in questi ultimi e ultimissimi tempi, il fantomatico “teatro contemporaneo” va realizzando spingendosi sempre più nella direzione di un annullamento dell'”accadere in scena”, il sorriso consapevole scambiato tra Barba e Varley vale come una boccata d’aria fresca.
Per quanto la si possa tacciare di evanescenza, forse anche di un po’ di supponenza, quest’operazione si inserisce alla perfezione nel programma di MAD Revolution: c’è l’ombra del maestro, l’avanguardia marcia a pieno regime e viene regalata al pubblico la possibilità di individuare una deriva di tutto questo. Se andare molto a teatro, tentando di averne una visione completa, viene vissuto come un mestiere, insieme al materiale cognitivo si accumula il rischio di abbandonare il proprio senso critico al vizio dell’abitudine, invece di nutrirlo con quella che in fondo non sarebbe che esperienza, potenzialmente utile proprio a formare quella visione completa. E tutto, a volte, assume il gusto stantio di qualcosa di già visto. È di certo un’opinione personale, ma anche un tentativo di capire, pensare che la soluzione non sia necessariamente in qualcosa di nuovo, ma piuttosto di fresco, di sincero, di limpido. Anche considerata l’aura di evento che circonda uno spettacolo di un grande come Eugenio Barba, bisogna riconoscere che resiste in scena una forza genuina. L’abbandono a qualche piaceria stilistica è perdonato, se in cambio si dona una grazia come quella dispensata da questa mezz’ora di spettacolo. E senza bisogno alcuno di una drammaturgia di testo. Chapeau.


AMMAZZANDO IL TEMPO – 17 minuti nella vita di Mr. Peanut

di e con Julia Varley
regia: Eugenio Barba
produzione: Odin Teatret
durata: 21′
applausi del pubblico: 2′ 12”

Visto a Roma, Teatro Quirino, il 20 settembre 2010

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