Amore e Carne: il rituale di purificazione di Pippo Delbono

Delbono in Amore e Carne
Delbono in Amore e Carne
Delbono in Amore e Carne (photo: Chiara Ferrin)

“Canta. Canta. E anche il bosco canta, un canto pieno di felicità che sale verso la luce e la redenzione e l’amore”.

Il teatro di Pippo Delbono è una lotta tra carne e tempo, tra vita e morte. È un viaggio in cui l’attore e lo spettatore, messi dinanzi ai capitoli oscuri della storia dell’uomo, soffrono per estremo dolore e orrore e, nel confronto con questa sofferenza, vengono redenti.

“Amore e Carne”, messo in scena al Teatro Era di Pontedera la settimana scorsa, è un connubio tra musica e poesia, un climax ascendente modulato da una frequente alternanza di veemenza e staticità.
Pippo Delbono, attore e regista dello spettacolo, legge su dei fogli alcune poesie di Pasolini, Rimbaud, Whitman ed Eliot che si fondono con le note del violino di Alexander Balanescu.
La scena è priva di qualsiasi altra presenza.

Le parole, con il loro potere incantatorio, possono avere uno spessore, un corpo contundente al pari della lama: si propongono nella loro intensa e tagliente fisicità e si scagliano contro lo spettatore sprigionando tutta la loro carnalità attraverso la voce a tratti sussurrante, a tratti urlata dello stesso Delbono, vibrando all’unisono con la musica di un violino che sfiora le corde dell’anima tra sublimi sentimenti di amore incondizionato e pura disperazione.
Ed è proprio la potenza evocativa delle note di Balanescu a diventare la protagonista assoluta dell’intera performance, eclissando, di fatto, tutto il resto.

Lo spettacolo appare diviso in due momenti, intervallati da una barzelletta in francese sulla crisi raccontata da Balanescu, che Pippo tradurrà estemporaneamente, raccogliendo qualche consenso da parte del pubblico, ma non sortendo forse l’effetto sperato.
Riprende in maniera più dinamica con una poesia dedicata alla madre: “Quest’amore così beffardo, tremante di paura come un bambino al buio. Quest’amore così sicuro di sé. Quest’amore che impoverisce, che fa paura”, dopo la quale l’attore si lascia andare ad una danza ossessiva fatta di balzi e gesti frenetici tra i fogli delle poesie che ricoprono il palcoscenico.
“Non ci sarà mai più perfezione di quanta ce ne sia ora, né paradiso o inferno di quanto ce ne sia ora”. Parole/carne, queste, avvolte dal turbinio del vento musicale originato dalla perfezione del violino/amore.

Lo spettacolo, nel complesso, risulta scarsamente convincente sul piano esecutivo e troppo confuso sul piano della concretizzazione delle intenzioni, che, pure essendo interessanti ma poco originali, non ne permettono la totale riuscita.
L’audio del microfono spesso e volentieri distorce la voce dell’attore, che viene sopraffatta dalla musica. Per questo, sebbene la dialettica tra parola e suono risulti essere di grande importanza, lo spettacolo si rivela impervio e alquanto spigoloso.

Nell’incontro che segue con Pippo Delbono e il direttore artistico del Teatro Era, Roberto Bacci, dopo aver espresso il motivo della scelta del violino, strumento molto amato dal padre, Delbono ripercorre alcune vicende della sua vita lavorativa, in particolare la collaborazione con Bobò, attore sordomuto conosciuto nel manicomio di Aversa, in cui il regista teneva dei seminari per attori e danzatori. E ricorda Bobò per la sua grande capacità di immedesimarsi totalmente in tutto ciò che interpretava: “Non faceva il clown, lui era il clown. Non faceva la scimmia, era la scimmia”, e soprattutto per essere un esempio di umiltà sulla scena, intesa come quel viaggio intrapreso da attore e spettatore.

Ricorda poi l’importanza del training fisico, dopo molti anni di lavoro con l’Odin Teatret di Eugenio Barba (di cui Klp vi ha proposto un’intervista in questi giorni): “Sto cercando la verità con la tecnica e con la vita”, e nei successivi anni in cui quel training divenne il training dell’anima e non più del corpo, data l’impossibilità di camminare, causata dal virus dell’HIV entrato nel midollo, da cui è riuscito a riprendersi dopo molti anni di cure e una forza di volontà sicuramente eccezionale.

Sono tanti gli argomenti che Delbono affronta in poco più di un’ora di chiacchierata: dalla sua concezione del teatro, quella di un rituale in cui “le persone si incontrano e fanno un viaggio insieme”, alla denuncia del patrimonio culturale italiano, con un netto dissenso nei confronti dei teatri all’italiana che, secondo la sua esperienza, non sono funzionali alla comunicazione a causa della presenza dei palchi.

Ma esprime anche la sua immensa stima nei confronti di una grande artista come Pina Bausch, con la quale ha lavorato per diversi anni, esaltando la potenza del corpo: “Per trovare la verità, guardo il corpo. C’è una democrazia nei corpi”. Al contrario, palesa un forte dissenso nei confronti delle scuole drammatiche che “distruggono omologando gli attori ed eliminando ogni loro peculiarità”, e valorizza lo straniamento di Brecht: “Sarò sempre assente anche quando griderò con una voce fortissima”, incappando, forse, in contraddizione dopo aver elogiato le straordinarie capacità di immedesimazione dell’amico Bobò.
“Non è Dio che ha creato l’uomo – conclude – ma è l’uomo che ha creato Dio”.

AMORE E CARNE
di e con Pippo Delbono e Alexander Balanescu
durata: 1h 13′
applausi del pubblico: 1′ 7”

Visto a Pontedera (PI), Teatro Era, il 13 marzo 2013

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