Ancora dalla strada… con Bruno Furnari, direttore artistico del Festival Internazionale di Strada di Torino

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Alessandra Casali

Chiuderà il 17 settembre dopo nove giorni di arte e spettacolo in giro per Torino: una kermesse multicolore di oltre cento tra clown, musicisti, giocolieri, acrobati e fantasisti, sia italiani che stranieri.
Alla direzione artistica del festival Bruno Furnari: un inizio come animatore e poi tanti spettacoli di cabaret e clownerie nelle scuole, in un circo e in vari teatri. Autore di testi per numerosi comici italiani, ha collaborato alle trasmissioni televisive Zelig Circus, Zelig Off e Comedy Lab2.

Come e quando è nata l’idea del festival?
Tutto è partito dalla nostra associazione, Just for Joy, nata nel ’96. Prima insegnavamo giocoleria e trampoli nelle scuole. Nel ’97 abbiamo portato a Torino la 20ª Convention europea dei giocolieri (European Juggling Convention) e da lì è partita l’idea. In realtà abbiamo iniziato al contrario: prima con esperienze all’estero, che poi abbiamo cercato di trasferire anche qua. Nel 2001 abbiamo proposto alla Circoscrizione 3 il primo festival, e lo abbiamo realizzato sui cantieri di quella che sarebbe diventata la metropolitana. Ci siamo detti: “Perché non andare in una situazione di disagio per far vedere alla gente cosa sta succedendo, e vivere un momento diverso in quello spazio?”. Volevamo sottolineare il fatto che anche la città in trasformazione avesse elementi positivi. Il progetto si è poi consolidato e ora la formula del festival tende a presentare anche l’anima dell’artista di strada, che è una scelta di vita abbastanza dura.

Cos’è cambiato in termini di partecipazione del pubblico dalla prima edizione ad oggi?
In effetti le differenze ci sono. Nelle prime edizioni ci domandavano: “Cos’è?”, “Cosa fate?”. Ora si informano su cosa organizzeremo, quali laboratori prevediamo, chi verrà… In passato, fuori dal festival, organizzavamo laboratori nelle scuole. In quelle occasioni i genitori hanno iniziato a chiederci di idearne alcuni solo per adulti. Da questo è nato, quest’anno, “Clownsalinghe”, un laboratorio di avvicinamento al teatro di strada per adulti tenuto da Rita Pelusio: insegnamenti di livello base per tutti coloro che, pur facendo una “tranquilla vita domestica”, hanno voglia di avvicinarsi al mondo del teatro comico, partendo da se stessi e dalle proprie esperienze. Così, per la prima volta, abbiamo pensato di proporre uno stage rivolto ai non professionisti e che permetta di confrontarsi con l’istinto comico di ognuno di noi.

“Non attori” e “non luoghi”: come il bus colorato Caravan Circus, ideato dall’associazione Il Muretto come spazio d’incontro degli attori della scena sociale. Una sperimentazione di quelli che avete definito “non luoghi”, ma dove spesso i giovani si incontrano: punti di aggregazione da sfruttare a livello comunicativo.
Il nostro è un festival che cresce ascoltando le parole della gente e facendole diventare una risorsa. Per questo ogni anno presentiamo anche esperienze concrete e particolari, come il Caravan Circus o la Compagnia Pulcinella: realtà nate dopo anni di lavoro aggregativo sul territorio, che portano elementi positivi all’interno di ambienti spesso problematici o al margine.

A questa edizione prende parte un gruppo di Indiani d’America, che attraverso la danza dei cerchi narra la storia delle Grandi Pianure del Nord America. Quali sono i presupposti che avvicinano i Buffalo Spirit al teatro di strada?
Dallo scorso anno esiste la sezione “Rituali”, in cui cerchiamo di individuare un aspetto dell’identità culturale attraverso il teatro che nasce dal basso, il teatro con la t minuscola, come viene definito da qualcuno il teatro di strada. Nel 2005, in collaborazione con Jochen Wenz e Maurizio Palmieri, sono intervenuti gli ultimi eredi della tammuriata napoletana: un’antica espressione rituale che si racconta in una sintesi tra voce, percussione di pelli di animali e danza. Portarli a Torino è stato un nostro successo personale, visto che è difficile perfino vederli esibire a Napoli. Il tutto è partito dal voler conoscere un aspetto delle tradizioni italiane per poi, quest’anno, allargare gli orizzonti.

Una contaminazione di espressioni dal significato originario comune?
La danza rituale per me è una performance di strada. Perché non vedere come i nativi americani comunicano la propria cultura nelle piazze, tra la gente? Così ho pensato a questa contaminazione metropolitana, con l’idea di far conoscere i Buffalo Spirit alla gente. Le nostre credenze sugli Indiani d’America spesso sono legate ad immaginari mitici: le mie, ad esempio, si fermavano ai fumetti di Tex. Per questo abbiamo voluto creare uno scambio, che si è concretizzato anche attraverso i laboratori: abbiamo messo a confronto due tipi di arte, per trovare – magari – nuove forme.

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Chi volesse cominciare ad apprendere le tecniche del teatro di strada (dal mimo alla tradizione circense) a chi si può rivolgere?
Noi, come associazione, facciamo dei corsi, ma esistono parecchie realtà che propongono delle attività. Ormai è abbastanza semplice. Fino a quindici anni fa era tutto molto più complicato: esistevano solo le scuole circensi, che erano mondi un po’ chiusi. Ora è tutto più ‘liberalizzato’.

La cultura di questo tipo di teatro si fonda sulla recita “a cappello”. Quali sono le difficoltà, soprattutto dal punto di vista legislativo, nel lavorare così?
È proprio il punto di vista legislativo il più problematico. In Italia vige un antico codice, non ancora modificato, che equipara le esibizioni in strada all’accattonaggio. Negli ultimi anni la Regione Piemonte ha dichiarato che ci si può esibire liberamente a cappello, ma dipende poi dalle forze dell’ordine che passano per la strada e dalla norma a cui fanno riferimento. Rispetto all’estero siamo ancora indietro, anche se è vero che la mentalità si sta aprendo. Questo non esula, tuttavia, dal fatto che i vigili talvolta sequestrino tutto il materiale. Un minimo di rischio c’è sempre. E poi c’è la questione che con il cappello non si può fare lo scontrino…

Esistono organizzazioni che tutelano o a cui ci si può rivolgere nel caso in cui un artista voglia esibirsi liberamente per strada?
Ci sono associazioni di artisti di strada che si battono per migliorare la situazione. Ma chi fa questa scelta la fa perché ama stare nelle piazze, avere il contatto diretto con la gente. Tutto il resto passa in secondo piano.

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