L’Armata Brancaleone di Roberto Latini. Il gioco del teatro è fantasia

L'armata Brancaleone (photo: Guido Mencari)|L'Armata Brancaleone (photo: Guido Mencari)|||||||||||||||||||||||||||
L'armata Brancaleone (photo: Guido Mencari)|L'Armata Brancaleone (photo: Guido Mencari)|||||||||||||||||||||||||||

Per chi ricerca nella versione teatrale il film che ha amato, bisogna dichiarare che qualcosa riecheggia dalla pellicola, ma in forma di suggestione, ammiccamento, scherzo. L’operazione che Roberto Latini fa sull’opera “L’Armata Brancaleone” è la messa in scena di un testo – la sceneggiatura del film – usando il linguaggio specifico del teatro, e la sua estetica di riferimento allude alla patafisica.

Sembra esserci una dichiarazione di intenti fin dall’apertura dello spettacolo, per cui siamo visivamente catapultati in una dimensione diametralmente opposta a quella medioevale, mentre un’attrice interpreta l’inizio della sceneggiatura come fosse un monologo comico, di cui enuncia anche didascalie ed effetti sonori.
Il film, per chi se lo chiedesse, non c’è in questo spettacolo, se non in qualche riferimento a movenze, toni di voce, costume e capigliature degli attori cinematografici. Ma è una domanda che ha poco senso di esistere, perché a teatro le possibilità di messa in scena sono altre, con pro e contro, che Latini esplora attraverso la sua regia. A teatro trionfano la sintesi, l’allusione, il simbolo e il “come se”, anche se l’azione non viene eseguita per intero o descritta didascalicamente. Di fronte a un “buon teatro” il senso della scena arriva in maniera immediata e chiara, come fosse un gioco di bambini in cui non c’è bisogno di set, oggettistica e grandi effetti speciali, basta accennare per intendere.
Con questo non vogliamo dire che lo spettacolo teatrale subisca a ribasso il confronto con le possibilità del cinema, ma piuttosto che trova il proprio modo di raccontare la scena sfruttando al massimo le potenzialità espressive dell’arte drammatica.

Sul palco un palloncino bianco diventa quindi ora pergamena, ora spada, ora luna, ora vita che si spegne, e questo è chiaro e credibile per il pubblico, chiamato a partecipare a questo gioco per tutto lo spettacolo e poi anche direttamente, dopo gli applausi finali, con il lancio di questo stesso pallone bianco in platea, dove rimbalza di mano in mano.
Ciò che viene messo in scena in maniera potente della storia dell’Armata Brancaleone è lo spirito di compagnia sgangherata che cerca di compiere una grande impresa. La sensazione è che ci sia però un secondo livello di messa in scena, oltre la combriccola dei personaggi della storia che seguono Brancaleone alla ricerca di fortuna. La stessa compagnia di attori che rappresenta lo spettacolo recita alla maniera degli sgangherati attori girovaghi medioevali, che dichiarano apertamente la finzione, ammiccano al pubblico, rompono la quarta parete e utilizzano gag e lazzi comici. Questo tipo di scelte registiche per l’interpretazione (Latini cura anche l’adattamento drammaturgico) richiama alla mente – nonostante l’assenza di riferimenti iconografici – la compagnia medioevale dei guitti itineranti de “Il Viaggio di Capitan Fracassa” con Massimo Troisi.

Da un punto di vista estetico, le scelte del regista sono orientate dichiaratamente dalla patafisica, che per definizione di Alfred Jarry, lo scrittore e drammaturgo suo creatore, è la scienza delle soluzioni immaginarie. Si tratta di una logica dell’assurdo, dell’eccentrico, del parodistico, che si sofferma sulle eccezioni per spiegare in maniera non tradizionale, con nonsense ed ironia, il mondo. «Per il patafisico – sostiene Enrico Baj – l’idea di verità è la più immaginaria fra tutte le soluzioni».

È così che la storia di Brancaleone viene messa in scena con costumi (di Chiara Lanzillotta) che assomigliano alle tutine di Star Trek, e la scenografia (Luca Baldini) è costituita da una trave versatile di metallo, da cubi appesi rotanti e da una parete su cui vengono proiettate diverse sfumature di luci. Alcune soluzioni estetiche sono estremamente pertinenti, perché riescono a comunicare in maniera chiara e del tutto imprevedibile il contenuto della scena, passando attraverso canali non razionali o didascalici. Altre scelte risultano più oscure, quasi indecifrabili, eppure la sensazione è che in definitiva poco importi di trovare un senso a tutto, quando l’intero spettacolo mantiene con saldezza una coerenza interna, la capacità narrativa e il rapporto con il pubblico.

Il testo, in un idioma immaginario, conferma la sua forza originaria anche con i dovuti adattamenti, e la bravura degli attori (un cast di tutto rispetto composto, oltre che dallo stesso Latini, da Elena Bucci, Ciro Masella, Claudia Marsicano, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Marco Sgrosso e Marco Vergani) sostiene la scena con voce e partiture fisiche. La comicità si regge sul ritmo, sulle battute e sull’attitudine da guitti.
Latini mette in scena un gioco teatrale che destruttura e ammicca, e lo fa con la consapevolezza del mezzo (che tutti gli riconosciamo) e con l’ardire dello sperimentatore.
In sala gli spettatori accettano con divertimento questo gioco e le sue soluzioni. D’altra parte, se il gioco è dichiarato, vale tutto. “Dammiti, prendimi, prendimi e dammiti! Cuccurucù!”.

Vi lasciamo alla fotogallery dello spettacolo realizzata da Guido Mencari.

L’Armata Brancaleone
drammaturgia e regia Roberto Latini
con Elena Bucci, Roberto Latini, Ciro Masella, Claudia Marsicano, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Marco Sgrosso, Marco Vergani
musica e suoni Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
scena Luca Baldini
costumi Chiara Lanzillotta
produzione Teatro Metastasio di Prato, ERT / Teatro Nazionale

durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 5′

Visto a Bologna, Arena del Sole, il 14 novembre 2021

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