Ascanio Celestini cammina in fila indiana. Contro il razzismo

Celestini In fila indiana
Celestini In fila indiana
Celestini In fila indiana (photo: ascaniocelestini.it)

“Non sta succedendo niente, rilassati, distenditi, è la tua immaginazione. Il mondo è una leggerissima bolla. No, quel negro non è morto, fa il morto a galla. Ma tanto l’Africa è piena di morti. È il paese dell’eterno presente o del passato remoto. Fatti venire il dubbio che sia solo una brutta storia che ti hanno raccontato. Bella la realtà, peccato che esista davvero”.

È con un mantra che inizia lo spettacolo di Ascanio Celestini. E’ eco di un tempo, quello che è in corso d’opera, narcotizzato: al telegiornale continuano a dar notizie di violenze su donne e su di un popolo, quello italiano, da questa settimana di nuovo in conclamata crisi internazionale per la reazione dei mercati, che non tarderà a farsi sentire, con l’annuncio delle dimissioni prossime del professor Monti, post violenza politica e verbale di sfiducia (av)venuta alla Camera per voce di Angelino Alfano, segretario del Pdl. Dietro, a muovere i fili, di nuovo Berlusconi…

“La fila indiana – Il razzismo è una brutta storia” viene prima del recentissimo “Pro Patria”, sempre di Celestini, sempre libro e spettacolo a dare forma e sostanza alle vibrazioni di parola e (in)azione narrata sul palco dal suo corpo che freme, capace, involucro da cuntista e voce da cantastorie di moderne e popolari vicende, di illuminare la scena, il colore nero, sia interiore che esteriore, a tinteggiare e parlare della gabbia più o meno visibile per i più, volontariamente coscienti del proprio stato di “prigionieri”, a cui si è (auto)sottoposti.

Citando il libro, raccolta di racconti, “Io cammino in fila indiana”: “Fatto sta che siamo immobili, ognuno nel suo buco. In un milione di anni nemmeno la mosca ha imparato a salvarsi dal ragno”. Come scrive sul suo sito web lo stesso regista, attore, scrittore romano: “A voler smettere di camminare in fila indiana, bisogna cominciare a ragionare in cerchio”.

E incolonnati camminano i personaggi delle storie che riempiono queste due ore di razzismo contemporaneo, che ha il sapore del senza tempo, perché della ricerca dell’untore e del capro espiatorio da sempre si è fatta incetta.
Con il collante delle musiche dal vivo di Matteo D’Agostino e i suoni di Andrea Pesce, Celestini ha falcidiato dal palco del Teatro Vittoria di Roma il pubblico intervenuto nella bella rassegna a lui dedicata, delineando in quelle storie, che già nei luoghi televisivi di “Parla con me”, e in altri ancora, si erano fatti ascoltare, l’immagine di quella società da borghesi piccoli piccoli in cui il tempo, nostrano, si è congelato.

Continua il regista del mai sufficientemente lodato, libro-spettacolo e film, “La pecora nera”: “Quando l’Arci mi ha chiesto di partecipare a questo progetto contro il razzismo ho risposto che l’avrei fatto volentieri, ma che non sarei riuscito a scrivere un nuovo spettacolo. Mi hanno detto che le avevano già sentite alcune storie mie sul razzismo, che potevo ripartire da quelle. Così ho fatto. Ho ripescato in un repertorio fatto di racconti detti fuori dai miei spettacoli. Racconti scritti in fretta dopo l’incendio di un campo nomadi, dopo il naufragio di una barca di emigranti in fuga o dopo la dichiarazione folle e calcolata di qualche politico. Intorno a questi frammenti ne ho messi altri e ho cucito una serie di storie vecchie e nuove alle quali se ne aggiungeranno altre nel corso della breve tournée”.

Come lo spettacolo, si aggiorna lo stesso libro edito da Einaudi, in questa osservazione attenta e puntuale del malcostume di un popolo che spesso e volentieri si dimostra, alla bisogna, vigliacco e provinciale anche e non solo sul tema dell’altro da sé, che sia “negro, frocio o puttana”. E in che altro modo poterci definire – mettendo in questa categoria allargata e allargabile chi qui scrive – quando si è permesso, e ancora si permette, di governare e avere voce in capitolo a personaggi simili a Giancarlo Gentilini, che – si può leggere ancora nel sito e si potrà sentire nei comizi fuori onda durante lo spettacolo – “è riuscito a dichiararsi contrario anche ai cani immigrati quando l’anno scorso ha detto “noi non vogliamo le razze straniere, noi vogliamo quegli amici dell’uomo che accompagnavano i nostri agricoltori […] sulle montagne”? Uomini che si comprano la casa con giardino, che come l’Africa, è bella, certo, ma dopo un po’ stufa, è un bel documentario, ed è meglio vedersela dalla finestra, lontana; uomini che invece di accusare i diretti interessati, se stessi, colpevoli, un giorno dopo l’altro, di palpare il culo di una donna su un bus, accettano di scaricare la propria vergogna e rabbia su un povero immigrato, magari muratore, meglio se distrutto di stanchezza, brutalizzato, perché così deve essere.

“L’autunno è caldo, e c’è tensione” è il mantra della storia che qui si invita a vedere, se non dal vivo, almeno su piattaforme come youtube per goderne tutta la capacità suggestiva, nel vortice in grado di prenderti e farti correre e rallentare nella sua narrazione, presa da caduta libera in sapore di knock-out sul tappeto dell’incontro a più riprese che è la vita, nella speranza che al risveglio si sia vigili e capaci di non non-agire.

Intanto, tra il pubblico, le risate si trasformano in sorriso amarissimo sotto il flusso di parole di Celestini, che, indosso anche degli occhiali enormi, luci colorate a effetto psichedelico, rimanda la brutta copia del copione televisivo in cui si è trasformato, spesso e volentieri, il vocabolario di gesti, opere, omissioni dell’uomo comune, a scimmiottare il potere presunto e l’ambizione verso di esso. Un’ennesima opera necessaria, nella sua carica poetica, affabulatoria, politica, e soprattutto umana, come sempre in nuce l’ambizione, si spera per degli esseri umani finalmente consapevoli, di essere utile al cambiamento.

La fila indiana – Il razzismo è una brutta storia
racconti: Ascanio Celestini
musiche: Matteo D’Agostino
suono: Andrea Pesce
durata: 2h

Visto a Roma, Teatro Vittoria, il 19 ottobre 2012

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