Augusto di Alessandro Sciarroni alla Biennale di Venezia. Una risata vi seppellirà

Augusto (photo: Alice Brazzit)|Il momento della consgena del Leone d'Oro a Sciarroni da parte di Paolo Baratta e Marie Chouinard (photo: Rita Borga)|Augusto (photo: Alice Brazzit)
Augusto (photo: Alice Brazzit)|Il momento della consgena del Leone d'Oro a Sciarroni da parte di Paolo Baratta e Marie Chouinard (photo: Rita Borga)|Augusto (photo: Alice Brazzit)

È la risata il “ready made” su cui Alessandro Sciarroni ha strutturato il suo ultimo lavoro, “Augusto”. Lo spettacolo, prodotto da Marche Teatro, è stato presentato – dopo aver fatto tappa a Parigi – in apertura del Festival Internazionale di Danza della Biennale di Venezia.
Una XIII edizione, questa, che sicuramente resterà nel cuore di Sciarroni.

Il performer, coreografo, regista o solo “creativo” come preferisce definirsi – quando deve – ha infatti ricevuto il Leone d’Oro alla carriera. Un grande riconoscimento a cui non sono mancate le contestazioni di chi da un lato ritiene che la giovane età dell’artista (43 anni tra pochi giorni) renda quasi paradossale la dicitura “premio alla carriera”, e dall’altro da chi – forse qualche purista della danza – ritiene che, dal punto di vista sia della formazione che della ricerca, Sciarroni non possa essere definito coreografo.
Sta di fatto che i suoi lavori sono prodotti e ospitati, ormai da più di un decennio, in diversi festival internazionali di danza contemporanea; la stessa direttrice artistica Marie Chouinard sembra averlo adottato durante questi primi tre anni di mandato – l’artista è stato anche uno dei Maestri di questa edizione di Biennale College – e prima di lei anche Virgilio Sieni aveva messo in programma un suo spettacolo alla Biennale Danza. C’è da dire inoltre che da tempo non si vedeva la Sala delle Colonne – dove si svolge la premiazione dei Leoni – così gremita di operatori, artisti, collaboratori e spettatori entusiasti e commossi, che hanno fatto sentire tutta la loro stima e il loro affetto.
Vi rimandiamo alla fine dell’articolo per il video del momento della consegna e dei ringraziamenti di Sciarroni, per un premio – come sottolinea lui stesso – ad una “carriera in divenire”.

Il momento della consegna del Leone d'Oro a Sciarroni da parte di Paolo Baratta e Marie Chouinard (photo: Rita Borga)
Il momento della consegna del Leone d’Oro a Sciarroni da parte di Paolo Baratta e Marie Chouinard (photo: Rita Borga)

Torniamo ora ad “Augusto”. È sulla risata che Sciarroni ha costruito questo lavoro. Una risata crassa, di quelle che fanno mancare il respiro, fioccare le lacrime sul viso come nei peggiori momenti di tristezza, stringere le mani sul ventre perché dal ridere la pancia duole; la risata che toglie le forze e piega le ginocchia facendoti crollare a terra come un sacco vuoto, o cadere all’indietro come un ubriaco, perché quando si ride tanto la testa si svuota, e pesa.
Qui la ricerca però non ha niente a che vedere con la disciplina olistica dello yoga della risata, oggi tanto sponsorizzata, e nemmeno vuole approfondire le potenzialità terapeutiche del riso.

In “Augusto” il ridere goliardico si nutre avidamente di sé stesso, rigenerandosi in modo ossessivo; la gioia, al contempo, è imbevuta di cattiveria, e non priva di quella crudeltà tipica del pagliaccio, da cui deriva l’Augusto di stampo felliniano del titolo.
Qui “la maschera più piccola del mondo” non è visibile ma agisce come potente strumento di sdoppiamento, nasconde e svela allo stesso tempo, oltre a essere un efficace strumento empatico.
Anche in questo lavoro è possibile rintracciare alcune delle caratteristiche a cui l’autore ci ha abituato nei precedenti: la ripetizione di movimenti e azioni comuni (in questo caso, la camminata, la corsa e il ridere; in “Folk-s” era la percussione delle mani sulle gambe e sui “tacchi” tipico dello Schuhplatter; in “Untitled – I will be there when you die” il lancio dei birilli, tipico dei giocolieri del circo; in “Turning” – che avevamo visto alla Biennale College Danza 2015 – il girare sul proprio asse, come gli ipnotici dervisci rotanti); l’elasticità del limite della resistenza fisica che, attraverso lo sviluppo graduale dell’azione, in cui si inseriscono le variazioni coreografiche, e una ritmica rigorosa, va ad allargare le maglie della fragilità e della vulnerabilità fisica ed emotiva del performer e dello spettatore.

Oltre al grande allenamento fisico e psicofisico necessari per sostenere la serrata ripetizione di movimenti e la vertiginosa risata, ai nove performer in scena, in questo lavoro più che in altri, si richiede una grande prova di interpretazione ed espressività (e forse per alcuni di loro necessita ancora di un po’ di allenamento). I risvolti emozionali che per pochi istanti si accendono nei volti e negli sguardi degli interpreti, amplificano incredibilmente l’effetto di una vocalità talora ingannatrice e di cui non è sempre facile intuire i significati più profondi. Per questo uno spettatore troppo distante dalla scena potrebbe non riuscire a cogliere la forza delle sfumature espressive, e il lavoro perdere, nella relazione con lo spettatore, parte di questa preziosa intensità.

Nella penombra della sala, i nove protagonisti – tra danzatori, performer e cantanti – entrano in scena vestiti in abiti comodi (grandi camicioni, jeans, t-shirt) dai colori tenui, quasi anonimi. Si siedono a terra, uno accanto all’altro lungo il bordo dello spazio scenico. Danno le spalle al pubblico, e rivolgono lo sguardo al palco tirato a bianco come il fondale. Le luci di Sébastien Lefèvre sono soffuse, morbide, crepuscolari, e si levano man mano che avanza la performance.
Uno dei performer si alza e inizia a camminare nello spazio, disegnando col suo percorso un cerchio. La camminata sostenuta dà il ritmo. Man mano che gli altri interpreti entrano nello spazio unendosi al passo, il suono felpato della camminata lascia il passo a quello di una marcia ammorbidita da scarpe da ginnastica.

Lo scambio di sguardi che i performer si rivolgono è dapprima serio, pensieroso; ma quando i loro visi, lungo il cammino, si sciolgono in sorrisi e poi in risa, viene alla mente quando da bambini ci si metteva faccia a faccia e si giocava a chi rideva per primo, e il bello era perdere. Poi i passi cedono alla corsa. Il cerchio respira, perdendo o acquistando misura, svuotando o riempiendo il proprio centro attraverso scanzonate catene, girotondi, corse per mano. I performer in scena alzano e abbassano le spalle nel classico sussulto provocato dalla risate, le braccia prime quasi dritte e rigide lungo i fianchi abbracciano la pancia, le mani toccano il petto, arrivano alla bocca cercando di soffocare il riso irruente o coprono gli occhi per il nonsense di cui è fatto quel ridere.
Per tutta la prima metà della pièce, lungo un crescendo continuo, i performer ridono tra loro, di sé stessi, dell’altro, degli altri, e forse anche di noi spettatori. Per chi o per che cosa li si vede ridere non si sa, ma quel che si respira sembra un gioco gioviale, e contagioso, che evoca bande di ragazzini, giochi all’aria aperta, scanzonate gincane, corse a perdifiato, quella tipica euforia del bambino che vive anche la guerra come un gioco.

Augusto (photo: Alice Brazzit)
Augusto (photo: Alice Brazzit)

Senza soluzione di continuità il registro acquisisce pian piano delle sfumature più inquietanti.
È la risata dell “ipòcrita”- la danzatrice Roberta Racis è superlativa in questo passaggio – a determinare, nel silenzio generale, il momento di crisi, con un protratto virtuosismo in cui si innesta il preludio di un pianto doloroso.
Se la risata fino a quel momento aveva tessuto insieme il corpo della performance, ora ne rompe piano piano l’involucro. Ora sembrano dannati quelli che vediamo danzare, condannati senza sosta a seppellire con la risata ogni altra loro emozione.
Tra un’azione e l’altra si inseriscono brevi silenzi che sembrano barlumi di lucidità o degli attimi di fuga: quando tra le risate si eleva uno struggente madrigale, per un attimo il silenzio sembra accendere un barlume di speranza, ma poi eccoli tutti giù a ridere di nuovo a più non posso; quando all’improvviso qualcuno urla – è un dolore straziante – di nuovo il silenzio sembra rendere più compassionevole l’ascolto, ma poi eccoli di nuovo tutti giù a ridere senza se e senza ma.
A un certo punto è uno schiaffo a marcare il silenzio, poi il secondo, una performer cade a terra una, due volte; qui il silenzio potrebbe portare un po’ di benevolenza, ma ancora le risa incalzanti rispediscono tutto nell’oblio. È nel silenzio che circonda il pianto finale, disperato e liberatorio in cui si scioglie uno dei performer che finalmente si riesce a percepire (o almeno è consolatorio pensarlo) quella piccola e grande forma di resilienza che è un sentimento d’amore.

“Augusto” potrebbe essere quella terra di mezzo dove “il mascheramento opera nella dimensione tra il corporeo e l’incorporeo, tra l’immagine e l’essenza, tra il dentro e il fuori” tra noi spettatori e il mondo. Dove la risata si imbeve dei colori più fragili, inquietanti, dolorosi, strazianti e tremendi del nostro essere. Di quel riso che non ha pietà, né empatia, né rispetto, né memoria di se stesso. Di quell’isteria collettiva che prende a schiaffi chi chiede aiuto, irride chi dice non ci sta, piglia a calci e pugni in faccia chi non ce la fa. Un mondo in cui l’augusto che è in noi deride e sbeffeggia chi nella fuga verso un destino migliore finisce in fondo al mare. Un mondo in cui il disumano veste i panni dell’eroe.

Augusto
Invenzione: Alessandro Sciarroni
Performers: Massimiliano Balduzzi, Gianmaria Borzillo, Marta Ciappina, Pere Jou, Benjamin Kahn, Leon Maric, Francesco Marilungo, Roberta Racis, Matteo Ramponi
Musica: Yes Soeur!
Design luci: Sébastien Lefèvre
Movement coaching, collaborazione drammaturgica: Elena Giannotti
Styling: Ettore Lombardi
Consulenza drammaturgica: Chiara Bersani, Peggy Olislaegers, Sergio Lo Gatto
Preparatore yoga della risata: Monica Gentile
Preparatore vocale: Sandra Soncini
Collaborazione artistica: Erna Ómarsdóttir, Valdimar Jóhannsson
Direzione tecnica: Valeria Foti
Tecnico di tournée: Cosimo Maggini
Assistenza, ricerca: Damien Modolo
Promozione, consiglio, sviluppo: Lisa Gilardino
Amministrazione, produzione esecutiva: Chiara Fava
Ufficio stampa: Beatrice Giongo
Video, foto: Alice Brazzit
Produzione: MARCHE TEATRO Teatro di Rilevante Interesse Culturale, CorpocelestC.00#, European Creative Hub – French Minister of Culture/Maison
de la Danse grant for Biennale de la danse de Lyon 2018, Festival GREC Barcelona, Théâtre de Liège, Teatro Municipal do Porto, CENTQUATRE-PARIS, apap – Performing Europe 2020, progetto co-fondato da Creative Europe Programme of the European Union, Snaporazverein, Theaterfestival Boulevard, Theater Freiburg (Germany)
Coproduzione: Tanzfabrik Berlin, Centrale Fies L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino

durata: 60′

Visto a Venezia, Teatro alle Tese dell’Arsenale, il 21 giugno 2019
Biennale Danza 2019 – Prima nazionale

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