Una macchina scenica ingegnosa e ben funzionante, quella realizzata per la messa in scena dell’”Avaro” di Molière per la regia di Arturo Cirillo.
La scenografia è costituita da uno spazio chiuso e scarno che, grazie ad una fuga prospettica di quadrati mobili, diventa una sorta di scatola magica in cui i personaggi, figurine leggere e ben dipinte, entrano ed escono come in sogno. Questa sensazione di realtà sospesa e quasi addormentata è resa anche grazie all’aiuto di una musica dolce, che accompagna e scandisce ogni cambio di scena e ci rinchiude in una sorta di incantato carillon.
Il ritmo serrato e ben tenuto per tutta la durata della rappresentazione, la recitazione degli attori, di un uniforme buon livello, pur senza grandi picchi interpretativi, i cambi di scena, che scivolano così bene gli uni sugli altri, ci danno l’impressione di trovarci di fronte ad un marchingegno perfettamente strutturato, in cui l’artificio non distoglie dall’incanto, ma ne costituisce al contrario parte integrante.
Anche in questo senso si può dire che la messa in scena sia fedele alla commedia di Molière, non solo perché fedelmente ne riproduce il testo (nella bella traduzione di Cesare Garboli) ma perché sfrutta e rispecchia quel felice gioco di incastri di cui questo classico è costituito. La fedeltà insomma è teatrale oltre che letteraria, e in questo spettacolo nulla si perde dei sedimenti della Commedia dell’Arte, né della tradizione colta che su questa si è innestata, resa classica anche grazie al genio di Molière.
L’aderenza alla tradizione non impedisce però a Cirillo di regalarci delle interessanti trovate registiche, dei momenti particolarmente felici in cui il senso del ritmo pare perfettamente sposarsi con un’improvvisa immobilità plastica. Molto bello è ad esempio il momento in cui Arpagone, ben interpretato dallo stesso Cirillo, dopo esser stato derubato del suo tesoro, dà vita ad un delirio ridicolo e disperato, che termina con l’ingresso in scena di tutti gli altri attori, fermi sul piano mobile del quadrato, che lo guardano in una posa statuaria da giudicante coro greco.
Interessante e molto intenso è anche un cambio di scena in cui Arpagone cammina su uno di questi quadrati, mentre intorno tutto si muove e muta, rendendo appieno l’essenza della ripetizione ossessiva del suo meditare sempre sullo stesso tema, il denaro nella sua cassetta nascosta.
Di fronte a tante riscritture sbarazzine dei nostri classici, di tragedie universali che vengono rese quotidiane e piccole per puro gusto della contingenza, questa regia di Cirillo dimostra come in fondo un classico ci sia sempre contemporaneo, e senza sforzo. Insieme contemporaneo e inattuale.
I difficili amori dei giovani ostacolati dai vecchi, le ruffiane con il loro fascino un po’ maleodorante, la rappresentazione esasperata e sopra le righe dei vizi (dell’avarizia, ovviamente, in questo caso), nonché i felici e scontati scioglimenti finali, paiono ancora perfettamente in grado di dare vita ad un puro e sano ‘divertissement’, lasciando che il pubblico possa godere di una leggerezza raffinata e mai superficiale.
L’AVARO
di Molière
traduzione di Cesare Garboli
regia: Arturo Cirillo
con: Arturo Cirillo, Michelangelo Dalisi Monica Piseddu, Luciano Saltarelli, Antonella Romano, Salvatore Caruso, Sabrina Scuccimarra, Vincenzo Nemolato, Rosario Giglio
scene: Dario Gessati
costumi: Gianluca Falaschi
disegno luci: Badar Farok
musiche: Francesco De Melis
regista assistente: Roberto Capasso
assistente costumista: Gian Maria Sposito
costumi dipinti da Silvia Fantini
produzione: Teatro Stabile di Napoli, Teatro Stabile delle Marche
durata: 1h 50′
applausi del pubblico: 3′ 10”
Visto a Roma, Teatro India, il 17 marzo 2012