Bardha Mimòs festeggia le 10mila presenze: “Orgogliosi d’aver creato un evento diffuso”

Marta Bulgherini in “Generazione Pasolini”
Marta Bulgherini in “Generazione Pasolini”

Dalla compagnia Banicolà a Marta Bulgherini, da Luca Oldani a Stalker Teatro, al FringeMi Festival la scoperta di un’insolita Milano teatrale

Lo sapevate che, in posizione centrale a Milano, vicinissimo a Porta Romana, c’è una cascina in cui si mangia bene e con una piccola ma fornitissima libreria? Mentre a Città Studi esiste un piccolo mercato, proprio come quelli di una volta, in cui si può comprare frutta, pesce, verdura e anche mangiare, perché no, vedendo al contempo del buon teatro?

Eccoci qua, benvenuti al FringeMi Festival, ancora una volta invitati a scorrazzare per il capoluogo lombardo scoprendo luoghi che altrimenti magari non avremmo potuto conoscere.
Il Fringe milanese ci ha invece costretto ad avventurarci attraverso tredici quartieri, in contesti bellissimi e davvero particolari.
L’inizio del nostro peregrinare è stato alla Cascina Cuccagna, un’oasi di verde e benessere, seppur ubicata tra grandi palazzoni, con la compagnia Banicolà che, in un piccolo spazio del tutto singolare, ci ha accompagnato in “Due. Canto di balene per pinguini soli” a fare una specie di commovente radiografia di un abbandono, quello tra due trentenni, Dalila e Umberto, che, pur consumato tra ripicche reciproche e momenti di forte nostalgia, appare frutto di un rapporto davvero importante.
In scena, tra presente e passato, la memoria scorre nel tempo, dal loro primo incontro in un museo di storia naturale (ecco il perché dei pinguini del titolo), in cui lei lavorava, alle belle e radiose giornate passate insieme, sino al desiderio di avere un figlio, respinto prima da lui, ma poi pervicacemente voluto.

La drammaturgia di Antonio Basile e Mattia Lauro, anche in scena con Claudia Nicolazzo, ci spinge sino al nodo che farà in qualche modo deflagrare la loro unione: la sterilità di lei, sottaciuta per il troppo amore verso il compagno. Lui vorrebbe ricominciare, accompagnandola in Norvegia, dove lei ha scelto di andare a lavorare, ma pur restando indelebile l’affetto trascorso, ciò non sarà possibile.
Nella creazione tutto questo viene espresso dai due attori con accurata sincerità e verosimiglianza, e anche con punte di ironia, sorretto da parole che riescono in modo congruo a restituire i sentimenti che via via si affastellano sul palco.

Di tutt’altra forma e sostanza lo spettacolo che, dopo una fugace corsa in taxi nella Milano crepuscolare, abbiamo visto al mercato di via Fusina, “Dandy Alighieri”, dove Filippo Capparella e Giacomo Tamburini, due giovani artisti che abbiamo già amato per precedenti lavori, imbastiscono, acconciati improbabilmente come Virgilio e Dante, una specie di cabaret infernale, in cui i personaggi (non solo della Divina Commedia) vengono musicati, cantati, stravolti e rivisti con la lente della dissacrazione.
Veniamo dunque in contatto con Ulisse e la sua Itaca, con un Don Giovanni che si esprime in un divertentissimo e personale catalogo delle donne che ha inutilmente amato, sino a Gesù, che viene rifiutato come commensale all’Ultima Cena, e al povero Leopardi, tanto infelice per i suoi amori inesorabilmente perduti.
L’esilarante performance di teatro cabaret, divertente e mai banale, anche perché costellata da momenti melanconici, è composta da canzoni originali che rimandano al repertorio popolare, messe in scena con i modi del circo, dove il clown bianco (Tamburini), che lo deve accompagnare con la chitarra, sottostà sempre all’Augusto (Capparella), pronto ogni volta, con piacere esuberante, a strabordare con il suo irriverente sarcasmo.

Dandy Alighieri
Dandy Alighieri

Eccoci poi, il giorno successivo, a consegnare il nostro sguardo in un’altra parte di Milano: le vie e i quartieri che si affiancano a viale Monza, verso Sesto San Giovanni, luoghi anche qua percorsi da locali assai particolari come Alibi, in via Aristotele, un confortevole locale in cui si mangia e si beve bene.
Qui la giovane Marta Bulgherini, in “Generazione Pasolini”, si confronta con il grande intellettuale, iniziando a sostenere a gran voce di non comprenderlo, sfottendolo anche un po’ attraverso le sue poesie e i suoi scritti, troppe volte di difficile lettura, finché non sarà lo stesso poeta friulano/bolognese a farsi presente (Nicolas Zappa) e a dialogare con lei – visibilmente in difficoltà – per poi infonderle il coraggio, spronandola a vivere apertamente le proprie idee come ha fatto lui, contro tutto e tutti. Un mondo, quello di Marta, per certi versi ancor più insostenibile di quello che Pasolini aveva preconizzato.
Così PPP rivive in scena anche con le sue contraddizioni, attraverso sprazzi di sarcasmo mescolati all’adesione al suo fecondo pensiero, capaci di trasportare il pubblico oltre il mito, e riuscendo anche a parlare delle asperità del mondo e della società in cui viviamo.
Uno spettacolo importante, che merita il premio della redazione di Stratagemmi.

Assistiamo un’ora dopo, poco più in là, ad “Assenza sparsa” in un locale gremito di clienti che divengono all’istante spettatori: è Radici, che si autodefinisce “bottega di quartiere”.
Lo spettacolo, scritto e interpretato da Luca Oldani, con la collaborazione drammaturgica di Jacopo Bottani, traendo spunto da un atroce fatto realmente accaduto a un suo collega, tocca in modo profondo, con punte anche di sofferta ironia, il tema del coma, quel luogo indefinito tra la vita e la morte che non si sa mai come poter interpretare.
In una sala d’attesa piena di gente in grande apprensione, l’amico di un paziente che sta vivendo in questa condizione inganna il tempo, attendendo il responso finale e intanto intrattenendosi con il pubblico, mentre la voce di alcuni luminari medici cerca inutilmente di spiegare la sostanza di quella strana forma di vita, così vicina alla condizione del sonno. Lo intrattiene cercando di consolare soprattutto sé stesso, cercando di trovare degli escamotage soffusi di speranza, perché tutto possa concludersi felicemente.
“Assenza sparsa”, come nel caso del coma, riesce efficacemente a parlarci di vita, senza sottrarsi nel medesimo tempo a soffermarsi sul senso di morte che inevitabilmente aleggia sulla sala di attesa dove si finge che si svolga lo spettacolo.

Nel pomeriggio, al Parco Trotter, tra anziani che leggono il giornale e famiglie che si godono sprazzi di sole, inframmezzati da momenti di leggera pioggia, siamo anche coinvolti in “Steli”, una performance dei torinesi di Stalker Teatro, che propongono un intervento urbano interattivo in cui grandi e piccini costruiscono un percorso gaio e vivace, formato da semplici steli, creando così un’originale costruzione scenica, un’architettura ambientale di essenza giocosa.

“Il FringeMI 24 è stato un vero successo, superando le nostre aspettative sia in termini di partecipazione del pubblico, 10mila spettatori, che di coinvolgimento dei quartieri – ci ha raccontato a fine festival Giulia Brescia, tra gli organizzatori – Grazie al lavoro con le associazioni del territorio, abbiamo portato performance in 13 quartieri diversi della città, utilizzando, come nel nostro stile dal principio, spazi non teatrali, creando un forte senso di comunità e partecipazione. Ogni quartiere ha organizzato l’iniziativa dal basso, prendendo accordi con vari palchi locali e mobilitando le risorse del territorio. Questo approccio ha generato una massa critica di partecipazione che ha reso ogni evento un momento speciale, unico e profondamente radicato nel contesto locale, mostrando come le periferie possano diventare incubatrici di cultura e innovazione artistica. Il festival ha anche avuto un grande impatto artistico. Abbiamo presentato nuovi spettacoli, con diverse prime nazionali – anche a livello di format, penso alla collaborazione con il Menù della poesia -, dando visibilità a nuovi talenti che ora avranno l’opportunità di esibirsi in cartelloni teatrali il prossimo anno. Siamo orgogliosi di aver creato un evento diffuso, che non solo ha divertito e ispirato il pubblico, ma che ha anche contribuito a sostenere la vitalità creativa della scena contemporanea”.

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