Benevento Città Spettacolo tra memoria e rischio

Arem
Arem
Arem, con Elena Vanni, Francesca Farcomeni e Noemi Parroni (photo: Ilaria Costanzo)
Per la trentaquattresima volta Benevento è diventata “città spettacolo”, e negli spazi aperti e chiusi della città si sono susseguiti spettacoli di generi assai diversi fra loro, mostre e concerti. A raccontare le “storie amare e d’amore” – così definite dal direttore artistico Giulio Baffi sin dal titolo di questa edizione – artisti locali e nazionali, giovani e affermati in un interessante mélange.
La domenica è quella sonnacchiosa di molte città del sud Italia, e gli spettacoli sono un ottimo diversivo per la popolazione locale, che segue il festival con interesse.

Un progetto realizzato apposta per il territorio è proprio “Raccontami Benevento”, a cura dello stesso Baffi e di Giovanni Petrone: performance di attori e autori ispirate alla storia di Benevento e alle sue architetture. Abbiamo assistito a “Raccontami Pensa” in cui Peppino Mazzotta, nei sotterranei del Duomo, fa rivivere la vita del fotografo Pensa e la sua storia tragica: lui stesso e tutto il suo immenso archivio fotografico sulla storia della città sono stati sepolti dalle bombe americane, sganciate dopo l’armistizio dell’8 settembre.
Mazzotta è perfetto a interpretare quest’uomo semplice, appassionato del suo mestiere, che denuncia l’assurdità della guerra facendo appello all’importanza della memoria.
Anche il Duomo fu distrutto, come la vita di Pensa, e in questo modo la vicenda entra ancora di più sotto la pelle degli spettatori.
Il breve spettacolo precede la visita guidata ai sotterranei della Cattedrale, dove sono stati recentemente ritrovati resti di un macellum romano e di altri edifici di periodi storici diversi: rovine sotto terra che dialogano da secoli con le più recenti lapidi mortuarie.

Una perfetta storia “amara e d’amore” è l’Otello presentato al festival nella riscrittura di Angelo Campolo e diretto dallo stesso Campolo con Annibale Pavone.
“Sogno d’amore ubriaco” (questo il titolo dello spettacolo presentato in prima nazionale dalla compagnia siciliana Daf) tenta un adattamento in chiave moderna, non senza rischi. Il risultato conta alcune sbavature registiche e drammaturgiche, certi movimenti non giustificati ed estremamente esagerati, ma ciò colpisce è l’atteggiamento e l’empatia in scena degli attori, con un Otello (lo stesso Campolo) e una Desdemona (Federica De Cola) davvero in forma: dolci, innamorati, spietati, adirati. Entrano ed escono dal pubblico – Otello all’inizio e Desdemona morta alla fine –, quasi consapevoli della loro bravura, sicuramente immedesimati nell’angoscia. E quando capita di vedere lacrime vere scorrere a teatro, ben volentieri si dimentica di essere “critico” e ci si abbanda all’emozione.

“MatriMORO”, di Manovalanza (regia di Adriana Follieri) allaccia nuovamente il rapporto con il territorio: in scena infatti, oltre ai membri della compagnia, alcuni – giovani e anziani – partecipanti a un laboratorio tenutosi nei giorni prima a Benevento. Il risultato è un teatro-patchwork che avanza per quadri e cerca più dialoghi: quello appunto tra giovani e anziani (tra sceneggiata e disco music, musica anni Ottanta e canzone napoletana, matrimoni e revival) e quello tra bene e male (Caino da una parte, Abele dall’altra, i colori bianco e rosso che dominano tutto il lavoro).
Un teatro con tanti spunti, tanta vitalità, tanta carne al fuoco, forse da limare e asciugare per rendere più fruibile, sicuramente da migliorare nella parte tecnica (le luci sono sbagliate e penalizzanti). Resta un lavoro intenso e conturbante, dove i corpi si arrampicano sulle sedie, si innalzano nei tacchi a spillo, cercano una fuga o un palco da cui parlare, cantare oppure urlare.

Nel buio beneventano il teatro invade anche i siti archeologici: all’Arco del Sacramento va in scena “A. R. E. M. Agenzia Recupero Eventi Mancanti”, da un’idea di Elena Vanni e Raimondo Brandi.
All’entrata lo spettatore è invitato a descrivere su un foglietto un evento che vorrebbe rivivere: i nostri ricordi diventano il canovaccio per le improvvisazioni di Elena Vanni, che fa da capoccia dell’ipotetica agenzia e delle due scatenate attrici Francesca Farcomeni e Noemi Parroni. Teatro d’improvvisazione totale rischiosissima e teatro condito da elementi scarni, come tre pannelli con stoffe staccabili e due proiezioni: una rossa da dietro a creare immagini da teatro di figura; l’altra bianca dal davanti stile TV.
Tra gli eventi sorteggiati: la promozione in serie B della propria squadra del cuore, un bacio lesbo, un abbraccio dopo un incidente sventato. Le attrici vengono messe a dura prova in questo autentico salto nel buio teatrale, ma riescono a cavarsela nelle situazioni difficili, e – anche se poteva durare tranquillamente quindici minuti in meno – il ritmo da cabaret risulta perfetto per la situazione.
Le tre Charlie’s Angels dell’improvvisazione e della nostra effimera soddisfazione, in divisa “patafisica”, si limitano a piccoli gesti evocativi per far apparire questi eventi un po’ più vicini a noi, nel tentativo di far rivivere a ognuno i ricordi degli altri. Mentre la notte beneventana schiamazza fuori dallo spazio teatrale.

Memoria, giovani compagnie e una certa imprudenza: magari non spettacoli memorabili a Benevento Città Spettacolo, ma sicuramente una programmazione coraggiosa e rischiosa, come sempre dovrebbero essere quelle dei festival.
 

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