Bertozzi, Cernický, Panzetti/Ticconi: tre tappe ai Dancing Days di Romaeuropa

Quel che resta (photo: Luca Del Pia)|PLI (photo: romaeuropa.net)|ARA! ARA! (photo: Valerio Figuccio)
Quel che resta (photo: Luca Del Pia)|PLI (photo: romaeuropa.net)|ARA! ARA! (photo: Valerio Figuccio)

Il movimento di Simona Bertozzi, in scena in prima assoluta a Romaeuropa con il suo “Quel che resta”, spiazza lo spettatore: non tanto per originalità, né per una sua particolare riconfigurazione, quanto per una mancanza di mediazioni nei confronti dell’atto del danzare e della presenza del pubblico, davanti al quale si pone in modo così diretto, che parrebbe quasi poter sussistere persino in sua mancanza.

Bertozzi e Marta Ciappina entrano in scena in uno spazio aperto a un’illuminazione diffusa; indossano sandali con paillettes, da negozio di casalinghi, che poi toglieranno.
Il modo in cui i loro corpi vanno sul palco è senza convenevoli, senza infingimenti ma anche estraneo a ogni imposizione spettacolare: procedono inizialmente in coppia imperfetta, senza curarsi di sbavature, imperfezioni, come se corpi diversi incarnassero diversamente una medesima indicazione (come le quattro donne di “Plubel” di Fabritia D’Intino e Clémentine Vanlerberghe), o vi abitassero ciascuna con tempi intimamente propri. O come se il discorso fosse abbastanza “fuori” da non curarsi di simili dettagli.

Il lavoro via via si dipana su una drammaturgia fatta di dialoghi e unisoni dall’allure novecentesco di una danza-liberazione del corpo, che rifiuta il virtuosismo, che fa un uso occasionale della voce, che allude alla tematica centrale del lavoro in un modo angolato (ascoltiamo l’audio di due documentari naturalistici su animali africani) eppur tanto diretto (stiamo davvero parlando di Africa?) da obbligare lo spettatore a costruirsi da sé la propria mediazione, la propria distanza.
Eppure tutto dichiara talmente una delicatezza nell’offerta di sé e un candore di mezzi, da sprigionare fascino persino maggiore di quello verso il risultato per il processo, che si indovina laborioso, per l’intenzione e l’afflato.

Quello di Viktor Cernický è invece un movimento ripetitivo, sofferente di stereotipia. Non fa altro, lui, spilungone vestito di bianco e nero (insieme al grigio sono le tre uniche tonalità ammesse in scena), che aggirarsi con passo zoppicante, producendo un inarrestabile tonfo giambico sul palco, collocando e ricollocando sedie da conferenza, ventidue di numero: ora in fila ordinata, ora in forma di platea capovolta, l’una dopo l’altra, ora in coppie o trii, come disposti dalla combinatoria di un trattato d’arte amatoria. Tutto ha un rigore procedurale affatto gratuito e, proprio per questo, assolutamente inflessibile.

L’unico ostacolo all’impresa pare proprio stare in chi la compie, nel suo trotto ostinatamente sghembo, che non interrompe la sua pulsazione nemmeno quando è costretto a star fermo sul posto. Anzi, essa reagisce alle emozioni derivanti dai rischi statici delle costruzioni inalberate con palpitazioni più frequenti, segnando il polso emotivo dell’umile architetto.

Il comico, elemento non sempre comune nella danza, è l’atmosfera sottile di “PLI”, opera ispirata da “La piega” di Gilles Deleuze. E come la struttura della piega, secondo la lettura deleuziana di Leibniz, è tratto distintivo del Barocco, così questa figura della non-discontinuità, del “gioioso senso di infinto”, pare mettere Cernický al centro di una sua sensatissima, autorganizzata monade, contenente e comprendente l’intero universo nelle aderenze del suo fuori (l’impresa ordinatrice) con il suo dentro. Un dentro che è ansia, paura del crollo, scelta che rivela quasi l’insorgenza di un barlume di libertà, di lasciar fuori un unico e all’apparenza ingiustificabile esemplare di sedia dalla definitiva periclitante catasta. È un clown bianco Cernický, stilizzato tanto nella figura quanto nelle rispondenze somatiche ai semplici ma insopprimibili moti interni, e in quella postura esistenziale grave e desolata nei confronti dell’universo.

PLI (photo: romaeuropa.net)
PLI (photo: romaeuropa.net)

Il movimento di Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi ha cittadinanza nell’altro emisfero di quello di Simona Bertozzi. Se questo poteva dare l’impressione di understatement, quello del duo inchioda sul palco la sua presenza e dichiara di essere “cosa da guardare”, impensabile fuori da questa condizione. Ha dalla sua una solidità di intenti: è disinteressato a mostrare il processo, è diretto al risultato, pieno di “argomenti” – che non significa di tematiche. È la fusione tra la chiarezza e la presenza ritmica castellucciana (Claudia, nella cui Stoa i due coreografi e danzatori sono stati allievi) e un’impostazione radicale e priva di introflessioni, esibita in senso nobilmente spettacolare, teatrale.

È curioso come con Panzetti e Ticconi il teatro sappia rientrare in teatro sotto forma di archeologia critica, restaurazione plastica di un repertorio storico, calcificato in una gipsoteca di modelli.
Nel loro percorso di ricerca, dalla “Institutio oratoria” quintilianea (esplicitamente citata nell’installazione “Cardine”) si è passato negli anni per una sorta di reenactment gestuale, come quello della Callas, nel penetrante e per molti versi commovente “Juliet Juliet Juliet”.

Qui, “Ara! Ara!” è una drammaturgia che riflette, o per meglio dire produce forme attorno alla questione del potere, della bellezza, dell’immagine e dunque del simbolo in relazione al potere: una restaurazione plastica che non è mai mera citazione, e che affonda nel preciso dato storico-geografico italiano e rinascimentale.
La scena stessa è immediatamente eloquente: il pavimento verso il fondo si impenna e si rastrema fino a una punta, dichiarando senza possibilità di malintesi uno scudo araldico – a tratti le intelligenti luci di Annegret Schalke ne dichiarano la suddivisione nelle canoniche partizioni o pezze. Così altri minuti ma studiatissimi dettagli indirizzano verso quel contesto: la maglia di Ginevra Tacconi ha un orlo merlato, come di torre castellana; i suoi calzoni attillati hanno le gambe di due colori diversi; le calzature sono di pelle morbida e separano l’alluce dal resto delle dita.

ARA! ARA! (photo: Valerio Figuccio)
ARA! ARA! (photo: Valerio Figuccio)

Ciò che vediamo in scena è una rappresentazione di vincitore e vinto, di ribaltamento di ruoli, di alleanze e società, di tradimenti, di umiliazioni, ma non solo: è soprattutto evocazione di una violenza tutt’altro che scriteriata o selvaggia, anzi politica e civilissima, incanalata, razionalizzata, distillata e celebrata in arte e figura dal (e del) potere occidentale. Il pensiero non può che correre alla trattatistica rinascimentale sul regnum, alla freddezza machiavelliana nell’anatomia delle convenienze e delle necessità del principe, che trovano un loro corrispettivo nell’analitica lentezza di certi movimenti che il corpo di un danzatore produce contro quello dell’altro, nell’assestargli un colpo, nel porlo sotto il tallone, nel complice passaggio di una bandiera.
La bandiera, il simbolo appunto razionalizzante dell’appartenenza e della sopraffazione (il colore, la parte, la schiera) è il centro del discorso quanto a presenza scenica e a dispendio di virtuosismo, come nel precedente “AEREA”: i vessilli volteggiano, si traducono di mano in mano, mutano di colore, mimano sudari e spade, garriscono. Urlano infine potenti e terribili contro la platea, accompagnati da suoni di tamburi (Demetrio Castellucci) e volatili furenti, arruffati, dispensando un alito palpabile di puro terrore e dinamica bellezza, al quale la platea non può che concordemente rabbrividire, fino all’ultima fila.

QUEL CHE RESTA
Concept e coreografia: Simona Bertozzi
Danza: Marta Ciappina, Simona Bertozzi
Musica: Stravinsky: Diversions, Ray Chen, Timothy Young
Divertimento: IV. Pas de deux, Coda. Presto
Soundscape: Roberto Passuti
Light design: Giuseppe Filipponio
Organizzazione: Monica Aranzi, Chiara Boscariol
Stampa: Michele Pascarella
Foto e video: Luca Del Pia
Produzione Nexus 2021
Con il contributo di Mic, Regione Emilia Romagna, Comune di Bologna
Con il sostegno di Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e di Fondazione CR Firenze
Residenze creative nell’ambito di Residenze per artisti nei Territori a cura di Masque teatro, Artists in ResidenSì Bologna, in collaborazione con Dialoghi – Residenze delle Arti Performative a Villa Manin 2021, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, AlmaStudios Bologna

durata: 50′
applausi del pubblico: 2′

 


PLI

Di Viktor Černický
Concept / coreografia / performance Viktor Černický
Lighting design Zuzana Režná
Drammaturgia Lukáš Karásek
Realizzazione tecnica Drahomír Stulír
Co-produzione PONEC – dance venue
In collaborazione con PONEC – dance venue (CZ), BuranTeatr Brno (CZ), CNK Záhrada Banská Bystrica (SK), Théâtre De L’arsenal Val-de-Reuil (FR), CIRQUEON Praha (CZ), Alfréd ve dvoře Theatre (CZ), Studio Alta and Festival Bazaar (CZ), Pôtoň Theatre (SK), Festival Kiosk (SK), CSC – Centro per la Scena Contemporanea Bassano del Grappa (IT)
Con il supporto finanziario del Ministro della Cultura della Repubblica Ceca e della Città di Brno
Photo © Vojtech Brtnicky
durata: 40′
applausi del pubblico: 3’30”

 


ARA! ARA!

Choreography, performance, visual conception – Ginevra Panzetti / Enrico Ticconi
Sound design, composition – Demetrio Castellucci
Snare, percussions, recording – Michele Scotti
Light design – Annegret Schalke
Set design realization – Laila Rosato
Flag design – Ginevra Panzetti
Costume realization – Julia Didier
Flag-waving coach – Carlo Lobina / Flag-wavers of Arezzo
Technical care – Paolo Tizianel
Touring / distribution – Aurélie Martin
Italian production management – VAN (Federica Giuliano, Eleonora Cavallo)
German production management – Monica Ferrari
Production : Ginevra Panzetti / Enrico Ticconi; Associazione Culturale VAN
Funded by : Hauptstadtkulturfonds (German Cultural Capital Fund)
Supported by : the Fondation d’entreprise Hermès within the framework of the New Settings Program
Co-produced by : PACT Zollverein; La Briqueterie CDCN du Val-de-Marne within the framework of accueil-studio funded by the Ministry of culture / DRAC IDF; KLAP Maison pour la Danse (Residency 2021); Théâtre de Vanves / Scène conventionnée d’intérêt national « Art et création » pour la danse et les écritures contemporaines à travers les arts; Triennale Milano Teatro.
Supported through : Programme Etape Danse, sustained by Institut français d’Allemagne – Bureau du Théâtre et de la Danse, in partnership with Maison CDCN Uzès Gard Occitanie, théâtre de Nîmes-scène conventionnée d’intérêt national – Art et Création – danse contemporaine, Fabrik Potsdam, with the help of DGCA – ministère de la Culture et de la Communication, and the city of Potsdam, Mosaico Danza / Interplay Festival of Turin in partnership with Lavanderia a Vapore of Collegno; Radialstiftung.
Artistic residency program : NAOcrea – Ariella Vidach AiEP; Teatro Félix Guattari – Masque Teatro; CSC Bassano del Grappa; PACT Zollverein; Armunia; Schaubühne Lindenfels; Sosta Palmizi.
Thanks to : Teatro Comandini – Societas; Anghiari Dance Hub.
Ginevra Panzetti / Enrico Ticconi are supported by DIEHL+RITTER/TANZPAKT RECONNECT, which is funded by the Federal Government Commissioner for Culture and the Media as part of the NEUSTART KULTUR initiative

durata: 50′
applausi del pubblico: 3′

 

 

Visti a Roma, Romaeuropa Festival, il 15 e 17 ottobre 2021

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