Le Bestie di Emma Dante, a zonzo per la scena

Bestie di Scena (photo: ©Masiar Pasquali)
Bestie di Scena (photo: ©Masiar Pasquali)

Un’umanità in disarmo che ha perduto l’Eden. Un linguaggio polisemico nelle intenzioni, ermetico e nichilista nella sostanza.
Dopo gli straordinari successi delle “Sorelle Macaluso” e di “Operetta burlesca”, Emma Dante torna al Piccolo Teatro di Milano con una nuova produzione site specific per lo spazio scenico del Teatro Strehler, che mette in scena un’umanità in fuga.

Il tema di partenza era, a detta dell’autrice, uno studio sul lavoro dell’attore, le sue fatiche e necessità, l’urgenza di comunicare un messaggio con l’unico strumento a disposizione: il corpo, la nudità inevitabile, la vergogna. Tutto quello che un attore vive nel momento stesso in cui mette piede su un palcoscenico. “Bestie di Scena”, però, ha assunto il suo reale significato nel momento in cui la sua autrice ha deciso di abbandonare l’idea primigenia per arrivare ad un esito non calcolato. Lo spettacolo è diventato la rappresentazione di una piccola comunità d’individui informi, inermi, ignudi, dove il palcoscenico è luogo di perdizione e tentazione.

La prima impressione che si ha è proprio di veder rappresentata una sessione di training teatrale, realizzata magistralmente da attori che, immediatamente, trasmettono l’energia e la fisicità dello stare in scena: la fatica del corpo, l’investimento emotivo che si realizza ogni volta che si sale sul palcoscenico.
Lo spettacolo si vivacizza, diventa performance. È tutto un fragore di passi. Il ritmo si addensa. Gli attori rinunciano alla libera volontà, a se stessi in definitiva. Consegnano i vestiti sudati agli spettatori e si mettono a disposizione per ascoltarsi, relazionarsi e capire dove l’ascolto possa portare. Esposti alle intemperie e alla vergogna, fragili, si raggrumano in un’intesa solidale ed empatica.

Brandelli di storie si susseguono evocando il gioco, la follia, l’animalità cui un servo di scena deve sottostare. Non vi è sosta sul palco, percosso in lungo e in largo da quest’umanità lacerata e reietta. È una ripetuta trasformazione senza involucri, un travestimento senza vestiti. È un continuo modificarsi o regredire secondo oggetti anche banali che compaiono e scompaiono lateralmente dalle quinte, o calano dall’alto come epifanie: una tanica d’acqua, dei palloni, lenzuola come nastri adesivi, bamboline parlanti tanto piccole quanto assertive, cascate di noccioline, scope, drappi.

Nessuna parola. Solo frammenti di grammelot multicaotico. Si dialoga con gli oggetti. Si reagisce al loro impatto in maniera sottile e artefatta, oppure grossolana e belluina. C’è il carillon e c’è lo scimpanzé. Una creatività di facciata coesiste con le funzioni primarie più viscerali. I corpi si animano, si confondono con gli stimoli. Cercano un senso al loro agire che si realizza solo quando il “qui e ora” diventa effettivo e i quattordici corpi diventano un unico organismo in movimento. Un sistema di parti a volte concordi, a volte in dissonanza, che capiscono alla fine del loro viaggio che la fuga non è permessa. La nudità, prima svelata e temuta, non è altro che una parte di sé, una dimensione con cui fare i conti.

Il pubblico, in quest’allegoria di sguardi catalizzata da ombre e coni di luce, non ha che da contemplare e vivere senza giudizio quel che accade, senza pretendere una spiegazione. Lo spettacolo fa arrivare immediatamente le sfaccettature del mestiere dell’attore. O l’arte del sopravvivere.

Il lavoro è realizzato con maestria. Gli attori, di diversa estrazione e molto eterogenei fra loro, riescono a tramutare l’ordinario in spettacolo, con meticolosità e un allenamento quasi marziale.
La performance, pur accolta con entusiasmo, sembra però la rappresentazione di una sequenza di esercizi già visti. Alcune punte d’ironia e momenti di fisicità virtuosa non riescono a smuovere le corde emotive. Emma Dante, in definitiva, resta in superficie. Non va oltre la riproduzione incolore di un’umanità meschina, senza peccato e senza redenzione.
In scena fino al 19 marzo.

BESTIE DI SCENA
ideato e diretto da Emma Dante
con Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alessandra Fazzino, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli, Daniela Macaluso, Gabriele Gugliara
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
direttore di palcoscenico Gabriele Gugliara
assistente di produzione Daniela Gusmano
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo, Festival d’Avignon

durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 3’30”

Visto a Milano, Piccolo Teatro Strehler, il 27 febbraio 2017

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