B.Motion e il caso Bassano. Quando un Comune investe nella scena contemporanea

Il Garage Nardini a Bassano del Grappa
Il Garage Nardini a Bassano del Grappa
Il Garage Nardini, tra le location del festival e, durante l’anno, delle residenze
Anche quest’anno, a fine agosto, Bassano del Grappa ha ospitato B.Motion, la sezione di danza e teatro contemporanei di Operaestate Festival Veneto.
Abbiamo chiesto a Carlo Mangolini, attento osservatore della nuova scena italiana e caposettore Spettacolo del Comune di Bassano, che insieme a Rosa Scapin e Roberto Casarotto cura il festival, di parlarci non solo di questa edizione appena passata, ma di offrirci uno sguardo più ampio sulla situazione italiana.

Facci un primo consuntivo sull’edizione di B.Motion quest’anno.
E’ stata un’edizione entusiasmante da tanti punti di vista: per la partecipazione del pubblico, che ha sfiorato le 5.000 presenze in nove giorni di programmazione, superando per l’ennesima volta il record dell’anno precedente; e per la qualità degli spettacoli che, pur con qualificate presenze provenienti da tutta Europa, hanno visto emergere gli artisti italiani, segno di un livello delle proposte nazionali capace di eccellere nella danza e nel teatro contemporaneo. E questo è ancora più rilevante in un Paese come il nostro, che non presta molta attenzione all’investimento sui giovani artisti. Poi, come sempre, il festival è stato occasione per riflettere sul lavoro fatto e per lanciare ponti per il futuro.

Danza e teatro: quali novità in cantiere?
Per quanto riguarda la danza, la presenza di molti operatori internazionali ha visto ancora una volta aprirsi numerosi tavoli per sviluppare le progettualità europee. Infatti il Comune di Bassano/Operaestate, con il suo CSC Centro per la Scena Contemporanea, è l’unico partner italiano associato agli EDN, le case della danza europee, un caso davvero unico con i suoi sette progetti europei finanziati negli ultimi tre anni. Segno di un lavoro di rete reale ed efficace, che ha saputo condividere idee e progetti.
Sul versante teatrale invece si è fatto il punto sul lavoro svolto in questi anni dalla Commissione Zonale del Premio Scenario, composta oltre che da Bassano, dalla Piccionaia di Vicenza e dal CSS di Udine, anche alla luce dei risultati dell’ultima edizione del premio, che ha visto in finale a Santarcangelo ben tre realtà venete.
Ma si è anche parlato di reti e collaborazioni attivate, a partire da Finestate network che ci lega ad altri cinque festival (Castel dei Mondi Andria, Short Theatre, Terni Festival, Contemporanea Festival Prato, Approdi Cagliari) per condividere progettualità e programmi. E poi si è fatto il punto su un progetto di grande importanza proprio per la promozione dei giovani artisti. Si tratta di “Teatri del Tempo Presente”, iniziativa interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo a cura del MIBAC – Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo e di alcune Regioni (Calabria, Campania, Emila Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto). Un segnale importante che arriva dal Ministero e che fornisce strumenti concreti per produrre e far circuitare la creazione artistica contemporanea.

E’ un caso assai raro in Italia che sia un Comune a coprodurre spettacoli. Come è stato possibile?

Quello di Bassano è un caso davvero unico per durata, visto che quella del 2013 è stata la XXXIII edizione di Operaestate, il festival “madre” al cui interno si sviluppano tutte le diverse progettualità (B.motion e CSC nel versante del contemporaneo). Ma anche per la scelta operata fin dall’origine di non affidare la gestione a un terzo soggetto, ma di seguirla direttamente come ente pubblico. Questo ha garantito continuità e affidabilità al progetto, che è cresciuto negli anni mutando la sua natura fino a diventare quello che è oggi.
Certo, continuare a rimanere all’interno della pubblica amministrazione ha i suoi vantaggi ma anche le sue difficoltà, soprattutto per le norme restrittive che sempre più rendono complicata la gestione: dagli acquisti che devono passare per il mercato elettronico, alle difficoltà di incaricare personale temporaneo come quello di supporto necessario per la sola durata del festival. Noi siamo riusciti a risolvere questi aspetti affidando alcuni servizi strategici a una municipalizzata del Comune, che ci dà maggiore libertà di movimento.

Come avvengono le scelte?

Al di là degli aspetti puramente tecnici, essere “il festival della città”, in senso letterale, ha creato un forte processo di identificazione e appartenenza da parte dell’intera comunità, che continua a sostenerci permettendoci di esistere. Questo anche grazie alla diversificazione della proposta, che abbiamo attuato proprio per incontrare le più ampie tipologie di pubblico. Del resto, confronto e condivisione sono parole chiave che stanno alla base di una struttura che prova fortemente ad essere collegiale in tutte le sue scelte, anche quelle artistiche, convinti che dal confronto tra diversi punti di vista possano nascere visioni veramente plurali.

Importanti sono anche le residenze che offrite, un concetto che ormai si estende in tutta Italia. Cosa ne pensi?
Le residenze sono per noi un tema importante, che ci impegna stabilmente 365 giorni l’anno. Per svolgere questa funzione Operaestate ha filiato il CSC nelle sue due declinazioni di Casa della Danze e Officina Teatro. Gli artisti che accogliamo nelle nostre sedi principali, CSC Garage Nardini e CSC San Bonaventura, sviluppano la loro ricerca per periodi variabili, da una a tre settimane, e alla fine della residenza aprono l’esito del lavoro a uno sharing pubblico. E’ questa un’occasione importantissima per gli artisti di verificare l’impatto del loro lavoro, e per gli spettatori di seguire un processo creativo nel suo divenire.
Credo che la centralità della residenza, per come la vedo io, sia soprattutto la dimensione di ricerca che ogni artista va a sviluppare proprio in un determinato luogo. Il valore aggiunto può venire dalla sua capacità di lavorare sul tessuto urbano, di entrare in relazione con le diverse comunità che lo abitano quotidianamente, di stimolare la curiosità e il dialogo tra i cittadini. In questo senso i progetti europei che abbiamo vinto danno ancora più senso, oltre a renderle maggiormente sostenibili, le diverse esperienze residenziali. Solo a titolo di esempio, “Act Your Age”, il progetto europeo sull’invecchiamento attivo, ha generato una serie di esperienza artistiche tra 2012 e 2013 le cui restituzioni sono state presentate nel cartellone del festival, coinvolgendo diversi anziani del territorio.

Il panorama della danza in Italia in pochi anni si è notevolmente trasformato, sono sorte diverse realtà che ora hanno molte più possibilità. E’ un reale cambiamento o ci sono ancora parecchie difficoltà?
Più che di cambiamento vero e proprio parlerei di intensificazione delle occasioni che negli ultimi anni network come Anticorpi XL, festival dedicati e operatori illuminati hanno creato. Senza voler peccare di presunzione, credo che in questo il ruolo siamo stati da stimolo per le realtà nazionali e osservatorio privilegiato sul panorama europeo e internazionale. Il merito va indubbiamente a Roberto Casarotto, incaricato dal Comune di Bassano di seguire la danza internazionale e i diversi progetti europei. La presenza nello staff del festival di una persona con le sue competenze e la sua professionalità, che gira tutto l’anno festival e teatri in tutto il mondo, creando reti di condivisione e relazioni istituzionali, è stato per noi fondamentale.
Grazie al suo lavoro artisti come Silvia Gribaudi, Chiara Frigo, Marco D’Agostin, Francesca Foscarini e Giorgia Nardin, per parlare solo dei veneti, ma anche Alessandro Sciarroni, Francesca Pennini e Giulio D’Anna non avrebbero avuto la possibilità di essere inseriti all’interno di importanti programmazioni, ma soprattutto di partecipare a vario titolo ai diversi progetti europei, occasioni rare di formazione, studio, ricerca e crescita professionale.
Sul piano nazionale resta un problema istituzionale rispetto a ruoli e funzioni. Il nostro lavoro intensivo come Casa della Danza non ha un finanziamento dedicato, se non un intervento di supporto dalla Regione, e riesce ad esistere solo grazie ai progetti europei. La necessità di fare più chiarezza e sistematizzare il comparto della danza credo sia sotto gli occhi di tutti, soprattutto perché questa intensificazione di occasioni sta maturando una generazione di artisti di altissimo livello che meritano spazi e finanziamenti adeguati per riuscire a sviluppare il loro enorme potenziale.

Dal tuo particolare punto di vista come si sta evolvendo la scena teatrale italiana contemporanea?
Quello che posso dire, anche attraverso l’osservatorio privilegiato del Premio Scenario che dà a noi soci l’occasione rara di osservare i primi vagiti di un percorso artistico, è l’estrema varietà di linguaggi e proposte. Certo, alcuni riferimenti, alcuni “maestri ingombranti” che condizionano le estetiche restano, ma noto da parte dei giovani talenti un impegno concreto nel cercare la propria strada, la propria unicità. Personalmente il lavoro che faccio con gli artisti va sempre in questa direzione: provare a stimolare il proprio segno, la propria cifra stilistica, invitarli ad andare fino in fondo, ad essere coraggiosi, a prendersi dei rischi.

Quali sono gli artisti che ti coinvolgono di più?
Negli anni ho maturato rapporti non solo professionali ma anche umani importanti, che mi hanno fatto crescere come persona prima ancora che come operatore. Non ci sono linguaggi o estetiche che privilegio, piuttosto devo innamorarmi di un’idea, di un modo di stare sul palco unico, inimitabile.
Tra tutti, i miei due innamoramenti più grandi sono stati senza dubbio Babilonia Teatri e Anagoor che, pur nella totale diversità di linguaggi, ma anche di approccio al lavoro, sono stati uno stimolo costante e un’autentica fonte di ispirazione, pur nelle difficoltà, pur nell’errore in cui un artista nel suo percorso può incappare. Anzi, è soprattutto lì che si cresce, si impara, si matura.
Altri nomi a cui sono particolarmente legato, pur se per ragioni molto diverse, sono Teatro Sotterraneo, Inquanto Teatro, Santasangre e Marta Cuscunà. Infine l’ultimo innamoramento è avvenuto proprio durante l’ultimo B.motion, grazie al bellissimo progetto dell’olandese Lotte Van Den Berg “Agoraphobia”. Vedere Daria Deflorian dare corpo a una senzatetto che si aggira nella piazza principale della città, vedere la sua sconfinata carica di umanità dare senso alle parole, spiare il suo modo delicato di intercettare passanti casuali in un sovrapporsi incredibile di autenticità e finzione è una di quelle rare esperienze che danno senso a ciò che fai, e per questo colgo l’occasione di questa intervista per ringraziarla di cuore.

Gli artisti veneti si stanno facendo molto onore. Come vi muovete in tal senso?

E’ vero; quello che è successo in Veneto dal 2007 a oggi è abbastanza insolito in termini sia quantitativi che qualitativi. Siamo una regione che, sul piano della ricerca dei linguaggi, non ha maturato molte esperienze rilevanti dagli anni ’80 in poi, se si escludono due compagnie che hanno fatto storia come TAM Teatro Musica e Teatro del Lemming. Altri territori hanno avuto un’intensità creativa notevole, quindi questo exploit appare ancora più impressionante.
Tali risultati rappresentano per chi opera sul territorio uno stimolo ulteriore a portare avanti con impegno e determinazione il proprio lavoro. Per quanto ci riguarda, nel prossimo futuro, cercheremo di seguire i tre finalisti del Premio Scenario a partire dai vincitori Fratelli Dalla Via e poi Ilaria Dalle Donne e Silvia Costa. Con ognuno di loro abbiamo già analizzato possibili collaborazioni e progetti da condividere. L’importante è individuare il percorso giusto per ognuno, offrendo occasioni concrete per mettersi alla prova, ma anche rispettando i diversi tempi di maturazione che necessitano. L’augurio, per loro tre come per gli altri, è che non restino in eterno dei giovani emergenti, ma che si creino le condizioni per cui questo straordinario patrimonio possa essere valorizzato, alimentato e potenziato. Non farlo sarebbe un vero delitto, oltre che un’occasione mancata per lo sviluppo di un territorio che ha tanto bisogno di arte e cultura.
 

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