“Box life”, la vita in scatola. Ossia: come sopravvivere ai tempi del confezionamento di massa, dove tutto è impacchettato, inscatolato e dominato dalle leggi del packaging (così vende meglio). Una vita dove è essenziale “contenere” e dove tutto ciò che conta davvero è sigillato.
E’ questo il presupposto dell’interessante percorso di ricerca compiuto dalla compagnia marchigiana Vicolo Corto che, per questa produzione, finalmente sperimenta alla regia un membro storico del gruppo, Stefano Tosoni, anziché ingaggiare un artista esterno.
É una storia decennale quella dei Vicolo Corto, e conclamata nel territorio, dove sono considerati un riferimento culturale in virtù del loro impegno a 360° a favore del teatro: non solo come artisti, ma anche come esploratori del contemporaneo, promotori di un vitale circuito off, preziosi organizzatori di rassegne aperte a compagnie emergenti.
Dieci anni non sono pochi. A loro, prima di tutto, il merito di “resistere” nonostante quest’anno la storia della compagnia sia stata segnata da una perdita che va raccontata: la chiusura di un fondamentale spazio teatrale, l’Hangar CultLab, da cui tutti noi, teatranti della provincia di Ancona, siamo passati: per assistere a uno spettacolo o una proiezione, partecipare a un laboratorio, fare prove su prove o, semplicemente, ballare tutta la notte gomito a gomito con gli artisti che lì si erano appena esibiti.
Chiuso. Impossibilità, per Vicolo Corto – che quello spazio lo aveva tirato su da un capannone industriale – di continuare a far fronte a un mutuo troppo gravoso senza l’appoggio materiale (perché purtroppo quello morale spesso non basta, lo sappiamo bene) di alcuna istituzione.
L’Hangar continua però a vivere come un ideale e astratto spazio creativo nella mente di quanti lo hanno conosciuto. Per questo figura nei credits di “Box Life”, non solo come padre putativo della compagnia, ma anche perché lo spettacolo è inserito nell’ambito della stagione “OFF/side – teatro del presente”, una vetrina sul contemporaneo qual è stato fino ad ora lo spazio dell’Hangar CultLab, appunto.
Torniamo a “Box Life”. La vita in scatola. Rubo dall’incipit delle note di regia: “Una scatola è un contenitore chiuso […] Contenere significa tenere insieme, racchiudere, accogliere, ma anche reprimere, trattenere, frenare, immobilizzare. Scatole e contenitori sono i luoghi fisici in cui l’uomo moderno si muove e trascorre la sua esistenza, sono le confezioni che governano qualsiasi sua necessità”.
Provare per credere: osserviamo il mondo da una scatola con l’antenna chiamata tv. Ci spostiamo dentro una scatola di metallo con le ruote. Viviamo dentro scatole di cemento dette salotto, ufficio o palestra. Il cielo azzurro lo percepiamo attraverso un vetro, quello della finestra.
Anche nutrirsi non presuppone più nulla di… “sconfezionato”: l’insalata? È lavata, mondata e imbustata. Il prosciutto? È pronto in vaschetta. Il pane? Quello in cassetta rimane più fresco.
Anche la nostra immagine – che sollazziamo a suon di depilazioni, diete e lampade, fino magari a botulino e liposuzione – ha delle precise responsabilità. Non è forse il nostro packaging?
“Box life” racconta tutto questo, e lo fa con una commistione di generi e linguaggi (tutti funzionali e possibili grazie ai diversi ambiti di competenza degli attori in scena) che contempla simboliche performance danzate e sketch onirici e grotteschi, in uno spettacolo corale e coreografato che procede per quadri in cui si amalgamano cinismo, intensità, ironia e dissacrazione.
In scena solo l’essenziale, ossia qualche sedia e una scatola-tormentone che si muove da sola ed è un po’ una mascotte. Pochi elementi con i quali viene costruito, di volta in volta, l’ogni-cosa da attori in look “Iene” e dal cravattino colorato.
Come racconta il regista, anche autore della drammaturgia, sia il testo che il corpo visivo dello spettacolo sono stati influenzati dall’opera surrealista dell’artista giapponese Tetsuo Ishida, morto sotto un treno (probabilmente suicida) a soli 32 anni. Nei suoi folgoranti dipinti l’artista reitera la sua immagine, come tanti autoritratti, ma la fonde di volta in volta con architetture, arredi e oggetti di uso quotidiano come vaschette alimentari e toilette, buste, vasche, palazzi, come fosse sempre oppresso, imprigionato e ridotto a oggetto inanimato, privato di ogni identità.
Accade proprio questo in “Box life”: lo spettatore è come inglobato in un blob di grigia quotidianità, raccontata però in modo ironico e cinico attraverso citazioni pop, slogan pubblicitari, nomination e televoto.
Lo spettatore non smette di sorridere, godendo sia della freschezza di certe trovate, sia della semplicità della messa in scena, priva di fronzoli ma funzionale.
Al contempo, monta un senso di disagio e di ridicolo man mano che ci si riconosce parte attiva di certi meccanismi quotidiani degenerati e deprimenti, perché dopo tutto siamo tutti complici di questa realtà che ci vuole confezionati a dovere.
Un plauso anche al finale, intenso e poetico.
BOX LIFE
con: Loretta Antonella, Tommaso Benvenuti, Francesco Giarlo, Rebecca Murgi
regia: Stefano Tosoni
consulenza musicale: Luca Losacco
produzione Compagnia Vicolo Corto/Hangar CultLab
nell’ambito della stagione OFF/side – teatro del presente, curata dalla Compagnia Vicolo Corto di Ancona in collaborazione con il Teatro Stabile delle Marche – Fondazione Le Città del Teatro e AMAT – Associazione Marchigiana Attività Teatrali, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura del Comune e della Provincia di Ancona
durata: 60′
applausi del pubblico: 2’ 49’’
Visto ad Ancona, Teatro Studio alla Mole Vanvitelliana, il 19 dicembre 2010