A Romaeuropa Festival alla scoperta della danza di Faso Danse Théâtre
Contemplare le rovine dei templi visibili nel sito archeologico di largo Argentina a Roma è sempre piacevole; sensazione confermata nell’attesa di entrare a teatro per “C la vie” del coreografo Serge Aimé Coulibaly, presentato il 13 e 14 ottobre all’interno del Romaeuropa Festival 2023.
Ad accoglierci, un rideau dorato disegna un fondale a semicerchio, sul quale sono proiettate le immagini del regista video John Pirard e la musica di Doogo D, a cui è impossibile non rispondere, in attesa dell’inizio dello spettacolo, con un movimento di qualche parte del corpo che si trova a seguirne il ritmo. Un’accoglienza che fa da preludio e predispone i corpi del pubblico a ricevere e ad essere attraversati dalla danza.
Accompagnata dalla drammaturgia di Sara Vanderieck, la danza di Coulibaly si rivelerà generosa: i nove interpreti (sette danzatori, una cantante e un percussionista) faranno vibrare di energia lo spazio scenico e con esso quello in sala. Un’energia contagiosa: difficilmente si riuscirà a restare fermi seduti sulla poltrona, a non seguire il ritmo percussivo che accompagnerà l’intera pièce (75 minuti) e a non lasciarsi trasportare dai movimenti dei danzatori.
La musica ha un ruolo importante; la composizione musicale di Doogo D si basa su una commistione di elettronica e musica live (batteria e percussioni). Come nei riti dei villaggi africani, ai quali Coulibaly si ispira, la relazione tra musica e danza è forte. La dimensione rituale viene evocata anche dalla presenza, a inizio spettacolo, della maschera, che tornerà, in secondo piano, più avanti.
Man mano che i danzatori entrano nello spazio performativo il percussionista, così come la cantante, diventano elementi nevralgici. La relazione si materializza in un’interazione e in un contatto fisico, e nella musicalità dei movimenti. Una delle prime danzatrici ad entrare in scena inizia la sua danza rivolta al musicista e la gestualità che la colora ci fa pensare ad un ringraziamento, ad una sorta di “stretta di mano” tra danza e musica prima dell’inizio del rito scenico. Il ritmo pulsivo delle percussioni scolpisce i movimenti, che a loro volta diventano l’incarnazione delle variazioni musicali; la musica è al centro di una drammaturgia corporale propria a ciascuno dei danzatori.
A rinviarci alla dimensione rituale è la coreografia: il disegno spaziale è il cerchio, forma rafforzata da una delimitazione del perimetro performativo, che vede un tappeto rosso circolare a terra. I danzatori si muovono all’interno di questo spazio e il disegno coreografico attorno a cui si sviluppa lo spettacolo è il cerchio.
Solo in un momento la circolarità viene abbandonata a favore di un’avanzata verso il pubblico, in linea frontale, e qui i danzatori creano una sorta di carovana grottesca che ironizza sui discorsi, la formalità senza contenuto e la rigidità che spesso caratterizza le nostre società, mentre immagini di défilé militari vengono proiettate sul fondale.
All’interno del cerchio è la vita che si manifesta, piena di incontri, scontri, gioia, rabbia, passato e presente, amore e avversione, costruzione e decostruzione, attrazione, repulsione. Un movimento che attraversa la comunità in scena, che si trova a celebrare l’insieme nella sua diversità. La dimensione corale del gruppo emerge anche nei momenti che lasciano spazio alla diversità, alla peculiarità di ogni performer. Il movimento ci mostra un corpo in frammentazione, decomposto, instabile, proprio come la realtà nella quale viviamo, e di cui questa danza fa emergere una gestualità appartenente alla quotidianità. Dal rito antico, a cui si fa riferimento in apertura, si passa alla perdita di una tradizione per approdare, forse, ad un nuovo rito contemporaneo.
Il rideau dorato durante lo spettacolo si deforma, fino a toccare il suolo, per poi ricostituirsi e tornare alla posizione iniziale. Un ulteriore rinvio al cerchio. Al suo interno è la vita in tutta la sua potenza, le sue possibilità e la sua follia. Questo dialogo immediato – la relazione corporale che passa per il movimento, la musica e il canto – si instaura tra gli interpreti e fra loro e il pubblico. Siamo tutti partecipi di una celebrazione della forza vitale, di un’unione vibrante della vita.
Lo spettacolo, proprio come le manifestazioni carnevalesche, ci invita, nel ribaltamento di regole ed ordini prestabiliti, a uno stare insieme gioioso e sincero. E’ forse questo l’auspicio della performance: la possibilità ancora presente di vivere insieme, l’augurio di essere capaci di creare ancora comunità, anche all’interno di un mondo che incoraggia sempre più la separazione, la divisione e la solitudine.
C LA VIE
Produzione Faso Danse Théâtre
Concetto coregrafia Serge Aimé Coulibaly
Assistente coreografia Sigué Sayouba
Creazione e performance Jean Robert Koudogbo-Kiki, Ida Faho, Angela Rabaglio, Guilhem Chatir, Djibril Ouattara, Arsène Etaba, Bibata Maiga, Dobet Gnahoré e Yvan Talbot
Canto Dobet Gnahoré
Musica Yvan Talbot conosciuto sul nome di Doogoo D
Drammaturgia Sara Vanderieck
Assistente artistica Hanna El Fakir
Creeazione Luci Emily Brassier
Direzione artistica sceenografia, costumi e video Eve Martin
Regista video John Pirard
Costumi Mira Van den Neste
Maschera Stephan Goldrajch
Durata: 1h 15’
Visto a Roma, Teatro Argentina, il 13 ottobre 2023