Cambiale di matrimonio e Petite Messe al ROF 20: l’esordiente sfiduciato e il vecchio geniale

Photo: Studio Amati Bacciardi|Photo: Studio Amati Bacciardi
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Per quanto magari un po’ generica, non può che suonare più unica che rara la dichiarazione del sindaco di Pesaro nella piazza del Popolo della sua città: afferma, più o meno, che hanno deciso di far ripartire la città, dopo la pandemia, dalla cultura. Proprio così. Da far sgranare gli occhi. È una dichiarazione che ha, se non il crisma, almeno la faccia dell’ufficialità, fascia tricolore, piazza piena (ma purtroppo solo a metà) a far da testimone.

Siamo qui per il concerto della “Petite Messe Solennelle” rossiniana dedicata alle vittime del virus e di ringraziamento a sanitari e Protezione Civile.
In effetti al Rossini Opera Festival, nonostante la decisa riduzione del programma (sono state eliminate le produzioni più “ciccione”, “Elisabetta Regina d’Inghilterra” e “Moïse et Pharaon”, rimandate all’anno prossimo), rimangono in cartellone il tradizionale “Viaggio a Reims” con la rituale regia di Emilio Sagi (ripresa dal 2001), quest’anno interpretato da ex allievi dell’Accademia, e la farsa “La Cambiale di Matrimonio”, in coproduzione con la Royal Opera House di Muscat, con qualche riposizionamento rispetto al cast previsto.
Resta programmata anche la “misteriosa” Giovanna D’Arco, cantata recante nel frontespizio autografo l’anno 1832 ma che, con un’appassionante ricostruzione, Marco Beghelli consegna a un’età più tarda, dopo il 1850, quando Rossini già da tempo si era ritirato dalle scene musicali.
In un’unica serata, dunque, la prima delle opere del Pesarese, “La Cambiale”, e l’ultima “grande scena” d’opera.

Emerge, in cambio delle opere rimandate, la “Petite Messe” nella versione originale per due pianoforti, harmonium, soli e coro, lavoro anch’esso tardo, che Rossini orchestrò quasi a forza.
Diretta da Alessandro Bonato, dopo un inizio un po’ ingessato, la Messa decolla in momenti di struggente bellezza, come il “Qui tollis” e il “Tu solus sanctus”, cesellato in un’agogica variabilissima e sensibile, in cui il basso Mirco Palazzi si produce addirittura in qualche composta variazione alle riprese del tema, e ancora un “Crucifixus” reso tagliente e doloroso dall’interpretazione lucidamente passionale, parola per parola, nota per nota, persino fiato per fiato, della voce schietta di Mariangela Sicilia, e da un “Preludio religioso” finalmente sciolto in un’interpretazione (di Ludovico Bramanti) che sembra suggerire Chopin nella generosa rinuncia agli spunti tematici e nei rubati, e persino certo Debussy, liquefatto com’è nelle continue misteriose modulazioni.

Ma torniamo in teatro, un Teatro Rossini ridisegnato per soddisfare le norme di sicurezza: platea a livello-palco a sostenere l’orchestra e pubblico nei palchetti. Purtroppo, per un’indisposizione della protagonista Marianna Pizzolato, alla generale del 6 agosto, a cui abbiamo assistito, “Giovanna D’Arco”, prevista con l’orchestrazione che ne ha dato Salvatore Sciarrino nell’89, non è andata in scena.

Passiamo dunque a “La Cambiale di Matrimonio”, per la prima volta in scena nel 1810 al teatro di San Moisè a Venezia, il primo lavoro di teatro messo in scena da Rossini. Si tratta di una farsa di circa di un’ora e mezza di durata, di cui l’edizione critica è in via di completamento per opera di Eleonora di Cintio.
Si tratta dell’opera di un Rossini appena diciottenne, quindi di un esordiente che, per quanto geniale, aveva ancora davanti a sé tutto il suo futuro e il proprio “sé stesso”.
Ecco dunque che i motivi di interesse musicale non sono proprio moltissimi. Rimangono notevoli un certo brio della sinfonia, con la bella parte cantante del corno nel tempo primo e in battibecco col flauto nell’allegro vivace seguente. Tra i pezzi solistici rimane in repertorio l’aria di Fannì, “Vorrei spiegarvi il giubilo”, godibile e impegnativa.

Il libretto di Gaetano Rossi, presto detto, è privo di qualsivoglia spunto personale: per curiosità, confrontando le parole-rima, ci si accorge che in tre occasioni slegate fra loro “mondo” non trova di meglio che far rima con “fondo”.
La trama si basa sui caratteri fissi del genere: c’è un barbogio (Tobia Mill) che vuole dar sua figlia a un ricco sconosciuto (Slook) per mero lucro, ma la ragazza (Fannì) è già innamorata di uno spiantato (Edoardo). Per uscire dall’inghippo la fanciulla si vale della sua astuzia e di un servo, l’intrigante ma ancora poco fattivo Norton, affiancato dalla giovane servetta Clarina.
Il terzo incomodo in questo caso è un avventuriero proveniente dalle colonie, con tutto il suo carico di dollari, rozzezza e disabitudine agli usi civili – caratteristiche che si prestano a qualche trovata nel testo – ma fornito di tanto buon cuore da decidere, nel finale, per la rinuncia al matrimonio e per l’elezione a erede del rivale.

Ora: come cavarsela in scena? Sembra, a dirla un po’ provocatoriamente, di poter leggere nella mente del regista Laurence Dale, messo di fronte al compito di cavare qualcosa di efficace ed interessante da un testo simile. La lampadina che dev’esserglisi accesa è: se tante sono le mancanze a cui sopperire, perché non inzeppare e rimpinzare la scena?
E così tutto è traboccante, a partire dalla scenografia: una facciata di palazzo cittadino in mattoncini grigi, con tre ordini di finestre, riempie il boccascena, poi si apre e mostra diversi ambienti, riconfigurabili grazie a quinte mobili e alla praticabilità di un secondo piano; nel finale, poi, l’interno diviene addirittura un boschetto. Le carte da parati e l’arredamento sono sciccosissimi, l’illuminazione di Ralph Kopp è semplicemente perfetta, distribuita tra luci interne (lampadari, applique) e proiettori; i costumi (opera di Gary McCann, come le scene) risultano vari, eloquenti e spesso comici.

Ma non basta: sono presenti sul palco anche cinque mimi, che sciamano tra i cantanti. Uno è vestito da grizzly e compare in scena in almeno tre occasioni, e così un marinaio con movenze da danzatore, una sorta di cercatore d’oro rissoso e mezzo ubriaco, e altri due servitori di casa Mill.
In generale, tutto sembra tradire un febbricitante horror vacui. Ma mentre luci, quinte e costumi sono gradevoli da vedere, la presenza dei mimi non raggiunge mai l’equilibrio: non con la musica, né nel “dialogo” muto con i cantanti, né nelle azioni o nelle gag.
In particolare, l’arte della controscena, difficilissima e preziosa, è sì essenziale per accompagnare l’azione principale, ma non per coprirne eventuali buchi.
Nella regia della “Cambiale”, invece, è proprio la scena secondaria non solo a emergere, ma addirittura a disturbare continuamente quella principale, con l’aggravante di non apportare nemmeno un senso alternativo. I cantanti, peraltro, già castrati dalle regole di distanziamento anti-Covid, si trovano impiccati in movimenti eterodiretti e meccanici (come il cadere sul letto a gambe levate di Mill al termine dell’aria del mappamondo) a cui aderiscono poco, finendo spesso preda di facili cliché.

Photo: Studio Amati Bacciardi
Photo: Studio Amati Bacciardi

I pochi “suggerimenti” del pur esile libretto, distratto il regista da quel lavorio “contro” il testo, scorrono senza esser notati – il “bel fondo” di Fannì, l’insistere dell’avversativa «ma», quasi un topos del lavoro, e tutte quelle didascalie interne che illustrano le posizioni dei personaggi.

È un peccato, perché solo dando fiducia a priori al testo (anche a un testo che non la merita, e che alla fine costringesse alla parodia) si potrebbe dare senso a una simile operazione e a qualsiasi altra. Sarebbe bello se questo fosse ciò a cui si riferiscono quelli che sbandierano il rispetto del cosiddetto “volere del compositore”, e in suo nome respingono ogni regia sperimentale.

Peccato anche perché alcuni dei protagonisti meritano l’ascolto: la Fannì di Giuliana Gianfaldoni è agile e precisa, mattatrice nella sua aria ed efficace nel duetto con il giovane amante; Davide Giusti conferisce ad Edoardo un bel timbro morbido e un volume di rispetto; Carlo Lepore mostra tutta la sua esperienza nella caratterizzazione del vecchio tutore, specie nell’aria di entrata; Martiniana Antonie strappa un meritato applauso nell’aria di Clarina, e fa venir voglia di ascoltarla in un ruolo più ampio, magari con una direzione un po’ più dettagliata, duttile, brillante e varia di quella di Dmitri Korchak.
In scena l’8, 11, 13, 17 e 20 agosto.

LA CAMBIALE DI MATRIMONIO
Direttore DMITRY KORCHAK
Regia LAURENCE DALE
Scene e Costumi GARY Mccann
Interpreti:
Tobia Mill CARLO LEPORE
Fannì GIULIANA GIANFALDONI
Edoardo Milfort DAVIDE GIUSTI
Slook IURII SAMOILOV
Norton PABLO GÁLVEZ
Clarina MARTINIANA ANTONIE

ORCHESTRA SINFONICA G. ROSSINI
Nuova coproduzione con Royal Opera House Muscat
Farsa comica in un atto di Gaetano Rossi
Edizioni Casa Ricordi

Durata: 1 h 30′
Applausi del pubblico: 5′

Visto a Pesaro, Teatro Rossini, il 6 agosto 2020

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