Si parte da un titolo volutamente ingannevole per proseguire poi nelle volute di un tranello ordito con abilità, capace di continue sorprese per lo spettatore, appoggiandosi a tutte le potenzialità offerte dalla scelta di una forte interazione col pubblico e dall’uso della multimedialità.
Gli attori dialogano con gli spettatori, lasciano le scene nelle loro mani, quindi si muovono attraverso tutto lo spazio offerto dalla struttura del teatro, dalla platea alla cabina di regia, entrando e uscendo da tracce audio e proiezioni video.
Un teatro che svela tutto se stesso, quindi, che non mostra più illusioni fabbricate ad arte, ma piuttosto si mostra come fabbrica di illusioni: e queste sono piccoli quadri che vivono come idee e man mano prendono forma. E lo spettatore è chiamato a vederle crescere e a crescerle egli stesso.
Diversamente da quanto spesso accade, però, la riflessione meta-teatrale qui non si appoggia su una materia che si presti ad esasperare ulteriormente il tema della dimensione fittizia; al contrario si sviluppa intorno a temi e situazioni fortemente realistici, recitati secondo un codice naturalistico.
Scene di verità in un contenitore che palesa la sua natura fittizia.
E se il tono della cornice è molto leggero, la materia narrativa, ispirata al testo “Hamelin” di Mayorga, in cui una tranquilla cittadina si ritrova d’improvviso sconvolta dall’irruzione della pedofilia, si rivela man mano fortemente drammatica e impegnata. Ed ecco crearsi in sala un’atmosfera densa di emozioni.
Quel che all’inizio sembra solo un gioco teatrale, assume infine un significato inaspettato. Quasi senza rendersene conto gli spettatori, esclusi dall’illusione, ma non dalla rappresentazione, cominciano a sentirsi la comunità stessa scossa dal fatto di cronaca narrato; la vicenda osservata non è più un fatto lontano, distante dallo spettatore, ma qualcosa che sta realmente impregnando la propria esistenza; e allora sembrano concretizzarsi le idee di Brecht: paradossalmente, proprio il rifiuto dell’immedesimazione inconsapevole, proprio la visione distaccata e quindi lucida e critica della realtà rappresentata, fa sentire molto più vicino, molto più forte, il grido di denuncia lanciato dagli attori.
Un esperimento riuscito, quindi, quello di Campo Teatrale, che con questo lavoro realizza senz’altro la ricerca maggiore mai condotta dalla compagnia sul linguaggio teatrale, col pregio non indifferente di non annoiare mai, né risultare oscura anche allo spettatore comune.
La mia bara compratela all’Ikea
una creazione collettiva di: Caterina Scalenghe, Donato Nubile, Lia Gallo e Marco Colombo Bolla
contributi video: Filippo Pascuzzi e Chiara Mironici
un ringraziamento speciale a: Alessandro Dell’Orto, Giacomo Migliarini e Michele Molinari
produzione: Compagnia Campo Teatrale
durata: 1h 10′
applausi del pubblico: 2′
Visto a Milano, Campo Teatrale, il 27 ottobre 2013