Il Caravaggio di Luigi D’Elia, inebriato di chiaroscuri

Luigi D'Elia in Caravaggio (ph: Michela Cerini)
Luigi D'Elia in Caravaggio (ph: Michela Cerini)

Il testo di Francesco Niccolini, animato dalla regia di Vetrano e Randisi, narra tormento ed estasi di Michelangelo Merisi

Un pittore malato di tenebre e assetato di luce, Michelangelo Merisi (Milano 1571 – Porto Ercole 1610). Luigi D’Elia gli dedica il suo “Caravaggio di chiaro e di oscuro”. Lo porta a Milano, al Teatro Oscar, zona Porta Romana, quartier generale di Giacomo Poretti del trio “Aldo Giovanni e Giacomo”.
Il nome completo della sala, “deSidera – Teatro Oscar”, ben si adatta alla poetica chiaroscurale di Caravaggio. Desiderare in latino significa infatti “togliere lo sguardo dalle stelle”, quindi “non vedere”, infine “volere a tutti i costi vedere”.

Caravaggio, pittore italiano padre dello stile barocco (che declinò in modo personalissimo) condusse una vita tumultuosa tra lotte, risse e prostitute, tra coltelli e giovani inclini all’eros. La sua rivoluzione, tuttavia, la realizzò con i pennelli.
Caravaggio si formò a Milano e si affermò in una Roma in grande espansione. Nella Città Eterna le numerose chiese e i palazzi in costruzione necessitavano di dipinti per decorare le pareti. Erano gli anni successivi alla Controriforma. La curia romana, ancora impegnata ad arginare la dilagante ondata del protestantesimo, commissionò molte opere per consolidare la propria credibilità.

“Caravaggio di chiaro e di oscuro” scritto da Francesco Niccolini, regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, disegno luci di Francesco Dignitoso, traccia la parabola del pittore lombardo dall’infanzia alla morte. Ne rappresenta la fama, gli appetiti e l’indigenza. Ne evoca il tormento e l’estasi. È una trama finissima. La biografia non è mai sganciata dalle opere. L’arte si dipana dal personaggio.
È la consueta maestria narrativa di Niccolini. La regia di Vetrano e Randisi riempie la scena con la stessa spregiudicatezza della pittura di Caravaggio. Le luci di Dignitoso disegnano la luminosità irreale dei quadri dell’autore lombardo.
Il resto lo fa D’Elia, attore viscerale dalla vena naif refrattaria agli accademismi. Una passione per le arti figurative che nasce da consuetudini familiari: il padre è pittore; lui stesso si è cimentato con pennelli e tavolozza, e spesso plasma con le proprie mani gli evocativi oggetti scenici dei propri spettacoli.

“Caravaggio” si apre con una scena barocca avvolta dal buio. Luci insolite evidenziano una pedana lignea su cui sono accatastati costumi e stoffe.
Bellezza e disordine. Un drappo rosso pende dall’alto. Il bianco e il rosso dominano quest’ambiente stile impero in dissoluzione.
D’Elia si presenta a piedi nudi, con camicia bianca larga, gilet e calzoni di cenci. Dà vita a un racconto potente. Un mix di miseria umana e nobiltà artistica. Il buio ci catapulta in un’epoca remota, in cui i lumi nelle strade erano una rarità.
D’Elia rovista nei bassifondi. Ci restituisce perle di narrazione icastica. Dà consistenza corporea a ogni parola bisbigliata, pronunciata, a tratti dirompente, a volte urlata. Dà forza a ogni singolo gesto. Gli occhi sono raggi fulminanti. Le mani, le braccia, si agitano a disegnare pennellate, ma anche a evocare l’abilità da spadaccino di Caravaggio. Movimenti rapidi come battiti d’ali, volteggi da direttore d’orchestra.
Quegli occhi, quelle braccia, quei movimenti mai forzati ma a volte frenetici sulla scena, rievocano l’attaccabrighe di strada, i procedimenti giudiziari subiti, il girovagare tormentato alla ricerca di improbabili spiragli di felicità. Sempre in fuga, da qualcuno o da qualcosa.
Soprattutto, l’attore rievoca opere che sono nella nostra coscienza collettiva. Bastano drammaturgia e prossemica, senza nessun supporto visivo, a raffigurarle con vivida icasticità.

La storia dell’arte si materializza attraverso i gesti, il racconto, le luci. D’Elia dà carne a quelle opere descrivendone con realismo i dettagli, anche quelli più crudi. I dipinti si materializzano. È una carrellata di donne vecchie dalla pelle avvizzita, di prostitute dal seno florido, di ragazzini nudi dai piedi sporchi, di lestofanti dalle unghie annerite. E visi smorti, di peste o di malaria.
Caravaggio ha accentuato la povertà e la comune umanità di Cristo e degli apostoli. Il dosaggio accurato di luci e ombre, il senso drammatico delle scene bibliche con quelle facce cariche di storia, li ritroveremo in Scorsese e Pasolini.
Se lo storico dell’arte Ernst Gombrich diceva di Caravaggio che vedeva «gli eventi sacri davanti ai propri occhi come se accadessero nella casa di un vicino» anche noi entriamo nelle camere oscure del personaggio. Ne esploriamo l’arte, sbalzati in un’epoca limitrofa ai territori sgualciti della coscienza. Nondimeno, con questo riuscitissimo lavoro, afferriamo il senso del sacro, perché ne lambiamo fragilità e mistero.

CARAVAGGIO DI CHIARO E DI OSCURO
scritto da Francesco Niccolini
con Luigi D’Elia
regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi
disegno luci Francesco Dignitoso
una produzione:
Città di Mesagne Capitale Cultura di Puglia 2023 – Umana Meraviglia
Compagnia INTI di Luigi D’Elia
Le Tre Corde – Compagnia Vetrano Randisi
Teatri di Bari
con il sostegno di Teatro Cristallo e PASSO NORD

durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, deSidera Teatro Oscar, il 6 aprile 2024

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