Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, tutti i pregi del web

Marco e Chiara
Marco e Chiara

Il teatro che non si ferma. E prova a non farsi spiazzare dalla data che il premier Conte ha fissato per la riapertura dei teatri: un 15 giugno che cade nel periodo in cui i cancelli delle sale sono da sempre serrati, e partono invece i festival estivi. La sola certezza è che le partite Iva, da quel giorno, perderanno anche il paracadute dei 600 euro.
In tutti i casi, c’è un teatro che non si commisera, e non limita allo streaming il dibattito sull’accessibilità e sulla digitalizzazione dell’arte.

Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, drammaturga e regista della compagnia La Confraternita del Chianti, voi avete scelto in questi mesi di quarantena un profilo basso, evitando la sovraesposizione con social e tweet.
Stiamo vivendo un tempo eccezionale. Soprattutto in Lombardia, stiamo assistendo a una tragedia che avrà conseguenze difficili da quantificare. Il distanziamento sociale, l’isolamento degli anziani, i bambini chiusi in casa, la didattica online, le videochiamate, lo smart working, la caccia al runner: tutto questo ci impone un silenzio rispettoso.

Silenzio che non può diventare assenza.
Certo che no. Siamo presenti per la nostra comunità con quello che sappiamo fare. I teatri dei territori, di cui si parla pochissimo, non fanno solo spettacoli. Si occupano di laboratori, progetti sociali, singoli spettatori. Noi siamo al centro di una rete umana fragilissima, costruita negli anni, che non possiamo far saltare.

Fate parte di soggetti come “Etre” e “Artepassante”.
“Etre” (rete delle residenze teatrali lombarde) e “Artepassante” (rete di soggetti artistici e culturali che abitano spazi nei passanti ferroviari) sono luoghi d’incontro e formazione anche dello spettatore. Sono residenze artistiche, realtà di produzione e programmazione culturale, fucine che consentono uno scambio soprattutto umano. La nostra nuova sede milanese a Porta Vittoria è lì che aspetta il termine dei lavori, interrotti dall’emergenza Coronavirus.

Nel frattempo state rimediando con il digitale. Come vi trovate?
Nell’ottica del mantenimento o della creazione di una comunità, ben vengano le sperimentazioni sul digitale. Intorno a noi i teatranti si sono rimboccati le maniche e hanno trasformato progetti preesistenti o se ne sono inventati di nuovi. Personalmente stiamo mantenendo i contatti con tutti i nostri allievi, e anzi abbiamo avviato un nuovo laboratorio online di scrittura, con partecipanti da tutta Italia, cosa prima impensabile. Abbiamo allievi da Reggio Calabria e Genova, da Milano e Treviglio. Sono attori amatoriali e professionisti, insegnanti e registi, che cercano di affinare le proprie competenze, a volte con lo scopo di trasformare questa passione in mestiere vero e proprio. Ma la cosa che ci interessa di più in questo momento è il contatto umano, il rapporto personale con chi si è misurato direttamente con il Covid, o semplicemente condivide un bisogno di relazione. Chiedere «come stai, come ti senti» vale più della riuscita di uno spettacolo.

State approfittando di questo momento anche per fare altro?
Guardiamo molto teatro. La disponibilità di spettacoli in streaming di grandi realtà internazionali permette di mostrare alla comunità degli spettatori moltissime proposte, altrimenti inaccessibili.

Per esempio?
A Londra il National Theatre propone ogni settimana uno spettacolo di prosa; il Globe Theatre dispone a sua volta di una piattaforma con diverse produzioni online; il Royal Court offre una drammaturgia contemporanea piuttosto innovativa. Interessanti poi le proposte di prosa berlinesi: dalla Schaubuhne al Gorki, al Berliner Ensemble.
La Pina Bausch Foundation propone “Palermo Palermo”, uno spettacolo storico. Altri materiali che abbiamo visionato sono le performance interattive dei Rimini Protokoll, una delle compagnie più interessanti in Europa, e gli spettacoli storici del Théatre du Soleil. Infine i fiumani del Teatro Nazionale Ivan De Zajc con i quali collaboriamo stanno condividendo spettacoli di vari generi in attesa della riapertura al pubblico.

L’attenzione alla scena europea, che evidenziate anche attraverso queste scelte, sottolinea la vostra vocazione internazionale.
Stiamo lavorando in questa direzione anche per i prossimi progetti. Intanto Stéphane Resche – studioso che abbiamo conosciuto quando il nostro testo “La Città che Sale” è entrato nella selezione italiana di EURODRAM – ci ha proposto di ragionare su una versione online di “Play”, il nostro ultimo lavoro internazionale. Con lui abbiamo intrattenuto una bella conversazione su cultura e crisi, che è appena stata pubblicata. Inoltre stiamo scrivendo per il teatro La Contrada di Trieste “La ricerca della simmetria”, testo che unisce giallo e scienza a partire da alcuni discorsi di Abdus Salam, primo islamico Premio Nobel per la Fisica. Il lavoro, con la regia di Marco Casazza e con il prezioso aiuto dello staff della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), sarà proposto per ESOF (EuroScience Open Forum) in occasione di Trieste Capitale Europea della Scienza 2020.

E sempre per rimanere in Italia?
Stiamo lavorando a “24h”, con Désirée Giorgetti e Giulio Forges Davanzati, un testo che affronterà diverse storie di dipendenza, e a “50m²”, audiodramma che abbiamo scritto per il progetto benefico “Togetherness” della neonata produzione italoamericana Fabler Audio. I proventi saranno devoluti alla lotta contro il Covid-19. Per restare nell’immediato, segnaliamo “Stranger Teens”, progetto di residenza che stiamo curando insieme a Karakorum Teatro di Varese, finanziato da SIAE e MIBACT con “Per chi crea”. Si tratta di un lavoro destinato ai ragazzi tra i 10 e i 14 anni, per indagare il mondo della preadolescenza. Il progetto, dopo l’inizio della pandemia, si è trasformato. In questi giorni gli artisti coinvolti stanno preparando una performance interattiva che si svolgerà online oggi, 22 maggio. La partecipazione è gratuita. Basta registrarsi a questo link per ricevere le istruzioni.

L’attenzione ai giovani evidenzia l’anima «popolare» del vostro teatro.
Crediamo che l’arte debba incontrare l’anima degli spettatori, rispondere prima di tutto ai loro interessi e bisogni. Non crediamo in un teatro autoreferenziale. Non possiamo trattare le persone che abbiamo davanti come una massa indistinta. Abbiamo il dovere di chiederci sempre per chi stiamo facendo uno spettacolo.

È il tentativo di scongiurare un teatro elitario?
Il teatro non è un simposio filosofico o un salotto letterario. Noi cerchiamo di andare incontro allo spettatore fornendogli sempre una chiave d’accesso al nostro lavoro. Semplicità non è sinonimo di superficialità o sciatteria. Si può parlare al pubblico anche senza torturarlo con quello che Italo Calvino definiva “l’Antilingua.”

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