Ormai è ufficiale: Donatella Diamanti è la nuova direttrice artistica de La Fondazione Sipario Toscana, entità riconosciuta dal Mibac come Teatro Stabile d’Innovazione per l’infanzia e la gioventù che gestisce la bellissima struttura de La città del Teatro di Cascina che, in tanti anni sotto la direzione di Sandro Garzella, ha organizzato e proposto innumerevoli attività che hanno dato lustro a tutto il teatro italiano. E lo diciamo a ragion veduta avendo assistito, seppur solo da lontano, ma intimamente ed emozionalmente da vicino, all’evolversi di un progetto che riteniamo unico nel panorama italiano contemporaneo.
La Città del teatro e dell’immaginario contemporaneo, come la si vede oggi, è un luogo di creazione e incontro col pubblico di artisti, studiosi e ricercatori in discipline dello spettacolo, arti visive e produzione multimediale, un progetto artistico realizzato in un singolare complesso edilizio di oltre cinquemila metri quadrati dove sono presenti tre sale di diverse forme e dimensioni (da 700, 200 e 100 spettatori), aule e laboratori per la formazione, un lodevolissimo centro studi coordinato da Fabrizio Cassanelli che, con Letizia Pardi, produce spettacoli di grande rilevanza anche sul piano sociale, un anfiteatro all’aperto, un music pub, laboratori tecnici, studi di registrazione audio e video, bar ristorante, foyer, spazi espositivi e di servizio.
Quando arrivammo per la prima volta a Cascina tutto questo non c’era, c’era solo uno scheletro murale di un’area industriale costruita negli anni Cinquanta, lontano mille miglia da essere considerato uno spazio culturale.
Ora operazioni di tal genere vengono fatte in tutto il mondo (in Italia ancora poco) ma quello di Cascina era a quel tempo un progetto avveniristico: trasformare uno spazio industriale in un luogo di cultura.
Fu dal 1987 che vedemmo la struttura piano piano cambiare e mutarsi in quello che oggi è diventata una vera e propria città della cultura. Ora a dirigere questa struttura attraverso un bando, per tre anni, è stata chiamata, dopo l’uscita di Garzella, Donatella Diamanti, drammaturga, scrittrice, sceneggiatrice, docente di sceneggiatura presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano, che già a Cascina (dal 1992 al 2002) è stata la drammaturga di riferimento e responsabile Cultura e Formazione della Fondazione de la Città del Teatro.
Oltre all’attività artistica e creativa, per la Fondazione Sipario Toscana si occupava di gestione, progettazione e pianificazione, controllo di bilancio per i settori di sua competenza, ideazione di festival e convegni, programmazione.
Di lei ricordiamo spettacoli di grande intelligenza creativa, dalla scrittura effervescente e moderna: “Noi siamo quelli della via Paal” (1992), “Le bugie di Anna e Chiara” (1993), “Caino e Abele nell’isola della guerra” (1994), “Ragazzi terribili” (1995), “Solitari in branco” (1997), “Sette note in fuga” (1998), “Senza fissa dimora” (1999), “Mondo Cane” (2000), e “Fuori di me” nel 2001.
Dopo quell’esperienza, dal 2002 al 2005 Donatella è stata titolare del laboratorio di Teatro e Drammatizzazione per il Dipartimento C.M.T. dell’Università di Pisa, scrivendo libri e sceneggiature diverse ed importanti. Ora il ritorno a Cascina.
Le abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande riguardanti il futuro della struttura che la vede direttrice artistica per i prossimi tre anni.
Che impressione ti fa ritornare nel luogo che ti ha dato tanto e a cui tu hai dato tanto?
Qualcuno ha scritto che il viaggio perfetto è circolare: la gioia della partenza, la gioia del ritorno. Forse la partenza (era il giugno del 2002) non fu proprio gioiosa, ma avevo comunque il cuore leggero di chi sa che sta facendo una scelta necessaria. Di tornare sono davvero felice invece. Felice e al tempo stesso consapevole che sarebbe un errore grave pensare di ricominciare da dov’ero rimasta. Dieci anni trascorsi sono dieci anni trascorsi, nel bene e nel male, non una parentesi che si può chiudere o ignorare. Io credo che continuità e discontinuità non rappresentino per sé dei valori, sono solo petizioni ideologiche se non trovano il modo di concretizzarsi in azioni volte a dimostrare la propria efficacia. Altrettanto il concetto di originalità – chimera agognata da ogni autore – ha connaturato in sé quello di origine, e dunque è dalla ricerca di un punto di contatto fra passato e futuro, non dalla scelta manichea tra una posizione e l’altra, che deve partire uno sguardo nuovo.
I successi ottenuti dalla Città del Teatro nel periodo in cui vi lavoravo raccontano qualcosa che sta nel dna dell’intero progetto, nella sua identità, ma che sarebbe un grave errore prospettico cercare di riportare in vita adesso e perpetuare come se il tempo non fosse passato. Quell’identità deve essere coniugata al presente, ponendo la questione della rappresentazione delle nuove generazioni al centro di uno sguardo mutato, che tenga conto delle trasformazioni avvenute e che sappia disegnare percorsi inediti. “Nativi digitali”, immersi in un mondo fatto di velocità e contaminazioni costanti, i ragazzi – ed è a loro che principalmente ci rivolgiamo – hanno bisogno di riconoscere anche nel modo, nella forma in cui la drammaturgia su sviluppa, un’espressione di sé.
È ancora presto, ma quali saranno le linee culturali che ti guideranno?
Amo molto un verso di Antonio Machado che recita: “La via si fa con l’andare” e così, se ho comunque in mente un disegno in cui credo e che ho sintetizzato nelle due pagine di progetto richieste per concorrere al bando, perché questo disegno non si riduca a una vuota dichiarazione di intenti, o a un elenco di fioretti, prima di risponderti vorrei abitare un poco la Città del teatro, ascoltare chi la abita adesso e chi la abita da quando è stata fondata e non se n’è mai andato; e ancora “aprire le porte” per incontrare proposte e collaborazioni provenienti dal territorio e non solo e che, basandosi sulla qualità artistica, siano connesse sì all’identità del progetto ma al tempo stesso lo rinvigoriscano, lo potenzino…
Che ruolo avrà il teatro ragazzi?
Quando parlo di dna del progetto è soprattutto al lavoro con e per le nuove generazioni che penso, e dunque posso solo risponderti che il ruolo del teatro rivolto ai giovani sarà centrale.
Come pensi di farlo interagire rispetto alle altre forme teatrali?
A mio avviso nel teatro rivolto ai ragazzi e ai giovani ogni forma ha diritto di cittadinanza. L’interazione sta nelle cose. Per questo tutta l’attività svolta da Fabrizio Cassanelli e Letizia Pardi – e dunque dal centro studi, che è uno dei luoghi della Città del Teatro (ma siccome i luoghi li fanno le persone mi piace fare i nomi) – è così importante e preziosa, rappresentando certamente un buon punto di ri-partenza.
Il centro studi sta portando avanti un coraggioso percorso sul teatro del pensare e rispetto all’educazione formativa. Pensi di potenziarlo?
Certo, così com’è mia intenzione potenziare tutto ciò che risponde alla missione (posso non chiamarla mission?) della Città del Teatro.
Come pensi di collegare e caratterizzare la Città del teatro rispetto alle altre entità toscane non solo di teatro ragazzi?
Riuscire nella capacità di sapersi “collegare” davvero con tutte le altre entità, come le chiami tu, di un territorio regionale, non è già una caratterizzazione?
Come pensi di valorizzare le nuove compagnie toscane che stanno emergendo?
Io credo davvero che la Città del Teatro debba aprire le proprie porte e accogliere il “nuovo” che un tempo si diceva “che avanza” e che oggi invece dovremmo dire “che arranca”. Di questo arrancare la mia, la nostra generazione, che si ostina a sentirsi nuova anche se ormai nuova non è più e crea mura talvolta invalicabili, è in parte responsabile.
Vorrei mettere le mie competenze e l’esperienza maturata negli anni non al centro, ma al servizio della Città del Teatro, affinché possa divenire luogo di riferimento e aggregazione per giovani realtà artistiche. Magari per realizzare una nuova “città della comunicazione”, che possa offrire opportunità espressive e culturali a tutte le arti, e che sappia fare della relazione e del confronto la sua specificità sia artistica che morale, vista oltretutto la responsabilità che una Fondazione a finanziamento pubblico ha il dovere di perseguire.
Gentile signor Cassanelli,
forse non lo sa ma il teatro presso il quale lei è dipendente è un ente che percepisce finanziamenti pubblici, non è una sua proprietà personale. Di conseguanza se vengono, da più parti (ricordo l’articolo “profetico” di Anna Maria Monteverdi du http://www.ateatro.it dove si ipotizzava, fra le altre, proprio la possibile vittoria della dottoressa Diamanti), avanzati dubbi sulla limpidità del procedimento di assegnazione sarebbe suo dovere rispondere con altri toni, più professionali.
Caro Mario in un momento in cui ci sarebbe bisogno di ben altri profili di senso ,c’è chi ha tempo da perdere con insinuazioni su ciò che non conosce..rimane solo una bassa considerazione probabilmente celata dietro nik name. pazienza.!! La tua è una intervista ineccepibile, se a qualcuno dovessero servire ulteriori e puntuali informazioni sarebbe meglio si rivolgesse a noi mostrandosi con trasparenza…
A me conoscendo Donatella è sembrato giusto e coerente
Certo sarebbe interessante poter leggere il suo progetto e anche sapere chi erano gli altri candidati. In questa intervista mi sembra che ci siano poche idee e molto confuse. Mi sembra inoltre molto strano che su 59 candidature pervenute vinca proprio l’ex collaboratrice di Cascina, senza alcuna esperienza di direzione artistica……
Certo! Forse bisognava sottolinearlo di più, ma dire che sotto la direzione di Sandro Garzella la struttura ha organizzato e proposto innumerevoli attività che hanno dato lustro a tutto il teatro italiano, era dire appunto che molto è stato merito suo.
Magari un pensierino al Garzella sarebbe stato gentile