Clinica Mammut e Pasolini: come toccare il vuoto intorno a noi

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Le Melanconie di Clinica Mammut (photo: Manuela Giusto)|Alessandra Di Lernia e Salvo Lombardo (photo: Manuela Giusto)
Le Melanconie di Clinica Mammut (photo: Manuela Giusto)
Le Melanconie di Clinica Mammut (photo: Manuela Giusto)

“Del sordo rumore delle dita”: quelle che, caute e delicate, toccano lentamente la superficie trasparente che separa la scena dal pubblico. Quelle di Alessandra Di Lernia e Salvo Lombardo, interpreti in questo omaggio a Pasolini di una umanità a corto di tragedia, anime di un tempo sottratto all’urgenza vacua del presente, di vita privata di confronto con il proprio esserci.

All’interno del più ampio progetto di “Melanconie in dedica a Pier Paolo Pasolini”, la Trascrizione messa in scena da Clinica Mammut al Teatro dell’Orologio di Roma riunisce in un unico corpo una performance di breve durata (circa 35 minuti) concepita per spazi altri dal contesto teatrale.
Non c’è storia ma apparizione momentanea della vita, nel segno della caducità delle rose, nell’effimero congelarsi delle pose. Un corpo contagia l’altro, la reazione vira dall’indifferenza apparente del prossimo, al magnetismo inesorabile della carne che cerca altra carne.

L’esplorazione e la percezione tattile del mondo, quella che più ci riconsegna alla pura gioia della scoperta di stampo infantile, è qui suggerita e mimata più che esperita, forse principale metafora visiva dell’impossibilità di riconquistare quel desiderio di arcaico, di autentico, di innocente approccio alle cose del mondo, che è – ancora una volta – la traccia del pensiero pasoliniano a cui maggiormente si sente il bisogno di far affidamento per ripensare il presente.

Il plexiglas ci fa vedere ma ci tiene a distanza. La finestra-gabbia, o la “piccola porta”, come suggeriscono le note di regia, è teca di un passato intangibile, non corrisposto, o non corrispondente al desiderio di far ancora parte di un mondo a cui ci sembra di non appartenere più.

Qui la parola, de-cantata, collide con il gesto quotidiano. La voce, seppur microfonata, si nasconde (o si lascia incautamente nascondere) dalla musica, in una radicale (cercata?) monotonia della parola detta, senza cambi di intensità e di tono, avvicinandosi alla ricerca di Straub-Huillet e all’intenzione di una poesia come frattura del linguaggio e reinvenzione autonoma dalle leggi del discorso. Le parole scivolano via e restano i gesti, le azioni sul punto di arrestarsi, di congelarsi, di congedarsi.

Tra separazione e mancanza, in una bolla a-temporale, i due attori guardano avanti, si intercettano di rado, parlano al (vuoto più) prossimo. Indugiano sulla soglia, situati nel continuo protrarsi del commiato al presente, nella nostalgia d’un arcaico aspro, serio, accorato, autentico miraggio vissuto tra potenza e impotenza, tra slancio e resistenza, tra intenzioni che superano l’azione e, viceversa, gesti che oltrepassano il segno che si voleva lasciare.

Pasolini, calamita intellettuale, forza della natura, che sembra essere diventato un passaggio obbligato, cercato, voluto, sofferto e subìto da chi si interroga di come sta letteralmente finendo il mondo, riemerge in queste Melanconie per una vicinanza di gesto e spirito, con il rischio, auto-ammesso, di scivolare in retorica e travisamenti.
Non ricalcare, non tradire, ma operare per reminiscenze, nella dispersione e ricombinazione delle fonti, verso vaghe strettissime intime consonanze perdute.

Nell’esposizione di queste azioni in forma di tracce-reperti di memoria, pregne di correlazioni stratificate nel vissuto, attraverso un’essenzialità scenografica e luminotecnica, Clinica Mammut ci porge un lavoro interessante in cui riduce Pasolini al gesto, con un’aura minima, marginale, rivoluzionaria, che nasce dal gesto umile, ostentato in tutta la sua quotidianità rigorosa e misurata.

Alessandra Di Lernia e Salvo Lombardo (photo: Manuela Giusto)
Alessandra Di Lernia e Salvo Lombardo (photo: Manuela Giusto)

“La morte arriva quando non ti capiscono più”; ma c’è qualcosa che sopravvive tra le maglie di un’immagine, da Antonello da Messina alle sacre deposizioni rinascimentali, dal completo vintage del Brasile calcio al tablet come icona luminosa dei nostri tempi. È la ricerca di una luce che, aldilà del sentimento di una perdita, di una mancanza persistente, possa risollevare almeno lo sguardo.

Ma quale vero progetto è stato perso? Se lo chiedeva Debord all’inizio della sua Critica della separazione: “Bisognerebbe precisare, ma ne manca il tempo. E non si è certi di essere stati compresi. Prima di aver saputo fare o dire, come bisognava, si è già andati troppo lontano”.

Del sordo rumore delle dita_trascrizione
di Clinica Mammut
con Alessandra Di Lernia, Salvo Lombardo
da un testo di Alessandra Di Lernia e versi di Pier Paolo Pasolini
regia Salvo Lombardo
musiche Alviti, Barber, Tchaikovsky, Vivaldi
disegno luci Valerio Modesti
realizzazione scene Loris Giancola
assistente scenotecnica Silvia Coppola
tecnico luci / suono Mauro Buoninfante
foto di scena Sephora Delli Rocioli, Francesco Spagnuolo
produzione Teatro Studio Krypton, Clinica Mammut
con il sostegno di Fusolab 2.0, Festival Orizzonti verticali 2014

durata: 35′
applausi del pubblico: 2′ 30”

Visto a Roma, Teatro dell’Orologio, il 12 marzo 2015

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