Dal 7 al 16 novembre torna la puntata torinese di Concentrica, ormai consueta rassegna autunnale curata dal Teatro della Caduta e giunta – in pieno stile seriale – alla sua settima edizione. Gli episodi di questa stagione verranno trasmessi in diretta dal palco del Teatro Astra e da due location insolite, pensate appositamente per l’occasione: il Convitto Nazionale Umberto I di via Bligny e l’ITIS Avogadro di corso San Maurizio.
A raccontarci i retroscena organizzativi dell’orbitante festival/vetrina (perché dopo il clou torinese ci sarà Concentrica “In giro”, con le repliche degli spettacoli che gli operatori partner del progetto hanno scelto di replicare in giro tra Piemonte e Liguria) sono i direttori artistici Lorena Senestro e Massimo Betti Merlin, nel corso di un’irregolare e quanto mai spontanea conversazione… a cerchi concentrici!
Il cartellone di Concentrica di quest’anno si preannuncia molto interessante: Berardi/Casolari, il ritorno di Controcanto Collettivo…
Massimo Betti Merlin: Comincio però col dirti che il cuore di Concentrica, purtroppo, non sono gli spettacoli. Perché siamo un festival, ma anche un progetto più ampio, di cui gli spettacoli sono soltanto uno degli aspetti. Dico purtroppo perché questo elemento è complesso tanto da comunicare quanto da organizzare. Anche a livello di riconoscibilità istituzionale, nessuno lo capisce… I titoli non sono mai (stati) il vero cuore. Molti festival – raccogliendo uno stimolo di impronta europea – hanno imboccato la via dell’esperienza, più che quella in cui l’unità di base siano il singolo spettacolo o la kermesse. Il pubblico partecipa più volentieri se accade qualcos’altro oltre allo spettacolo o se quest’ultimo è in grado di agire per osmosi con il contesto che si sta proponendo. Quindi, innanzitutto, tu – organizzatore, operatore – proponi un contesto, un luogo. Nel nostro caso, i nostri partner sono programmatori e direttori artistici che hanno già un pubblico di riferimento sui rispettivi territori; da parte nostra, noi collaboriamo cercando di inserire all’interno di quei tessuti dei titoli che abbiano senso e valore lì. E questa operazione la portiamo avanti insieme: diamo cioè loro la possibilità di scegliere quali titoli programmare tra quelli visti nella vetrina torinese dell’anno prima. Questo modello – che io sappia – non esiste altrove, in Italia: è il frutto di anni di esperimenti. Già da un paio d’anni ci siamo avviati in questa direzione, focalizzandoci su tale logica. Per cui ogni anno invitiamo sei, sette, otto compagnie nella “due settimane” che facciamo a Torino, che per noi è appunto il festival; si tratta di spettacoli che non hanno ancora avuto promozione sul territorio regionale. Spettacoli, ma anche compagnie che a noi sembra importante portare qui. Perché comunque il Piemonte è periferico dal punto di vista del teatro emergente. Il Piemonte è molto forte grazie al Teatro Stabile di Torino e a Piemonte dal Vivo o grazie a progetti come Torinodanza. Forte per quanto concerne l’internazionalità e la “grande” produzione… Tutto un mondo per così dire “ufficiale”, a Torino, si muove, funziona. Ovviamente per merito di chi ha saputo azionare e mantenere vivo questo volano. Non è altrettanto fervida la situazione del teatro “emergente”, nel senso che gli spazi non sono stati sostenuti nel corso del tempo in maniera adeguata…
Lorena Senestro: Però… Ci sono degli spazi, ma sono più istituzionali.
Betti Merlin: Sì, secondo la mia valutazione certi modelli di sperimentazione come Funder35 o Performing + funzionano benissimo. La Compagnia di San Paolo a un certo punto ha aperto le proprie porte all’innovazione; e anche la Fondazione CRT è sempre più sensibile. Ciononostante, questa sperimentazione viene sempre assorbita dalle istituzioni più importanti. Ecco, noi abbiamo cercato allora di inserirci all’interno di questi interstizi, sensibilizzando il territorio piemontese e successivamente anche quello ligure, grazie al bando San Paolo…
Lorena Senestro:… che è indicato sul nostro programma come puntata “Al mare”.
Betti Merlin: Abbiamo cercato in altri termini di porre rimedio ad alcuni problemi di fondo, che per noi sono strutturali in Italia, uno dei quali è che i teatranti si parlano poco, soprattutto se di territori lontani.
E questo perché?
Betti Merlin: Beh, è un problema strutturale del finanziamento pubblico… che dipende però anche dagli stessi artisti! La responsabilità non è soltanto dell’istituzione: è da entrambe le parti. Però è un fatto che ci sia un tutti contro tutti… si gareggia d’altronde sugli stessi bandi. Da parte loro, le fondazioni sono riuscite a creare condizioni di maggior collaborazione (e questo perché hanno finanziato di più, mettendo a disposizione competenze e conoscenze). Da parte nostra, invece, abbiamo cercato di intessere un dialogo, anche con operatori che non conoscevamo, alzando letteralmente la cornetta del telefono. Nel tempo c’è stato poi un ricambio di partner molto fluido. Non abbiamo partner fissi: c’è appunto una fluidità legata all’evoluzione del progetto e al fatto che si sperimenti. Concentrica è oggi un progetto trans-regionale, che raggiunge la Liguria. Torino è quindi “solo” quella che potremmo definire la vetrina di tale progetto. La puntata che quest’anno abbiamo chiamato…
Lorena Senestro: … “A scuola”!
Betti Merlin: “A scuola”, esatto. Infatti – anche per suggellare l’ingresso delle serie TV nel mondo del cinema – abbiamo optato per una formula a puntate, un po’ à la Netflix. Una scelta di comunicazione: “Al mare” è composta da una sorta di anteprime del festival, che abbiamo fatto con partner liguri (pur essendoci stata una data a Omegna, sul lago); “In vista” sono invece quelle che negli anni passati definivamo anteprime, che hanno l’ambizione di far interagire l’esperienza teatrale con altri settori ed altri pubblici. E così quest’anno abbiamo scelto di proporre, fra gli altri, Federico Sacchi con “Gli anni perduti di Nino Ferrer”, che è stato al Convitto Umberto I.
Lorena Senestro: Marco Bianchini ha abitato invece, lo scorso 19 ottobre, la sala universitaria del Museo Lombroso con “Un’ora d’aria per l’Archivio Lombroso”, un turbinio di voci e racconti carcerari musicati dal vivo da Andrea Gattico.
Betti Merlin: Sempre nella sezione delle anteprime, ricordo “I pasticceri” (con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano), andato in scena al Teatro Vittoria a inizio ottobre e realizzato in collaborazione con il festival Play with Food, un altro festival ricco di sconfinamenti (nel caso specifico, nel mondo del cibo).
Lorena Senestro: A fine settembre eravamo invece a Vezzolano con “Le confessioni di Monica a Sant’Agostino”, in uno spazio pazzesco.
Betti Merlin: Sì, un’esperienza molto felice, quella a Vezzolano, nata vedendo il posto, che Lorena ed io avevamo visitato tanti anni fa. Ci è sembrato fin da subito il luogo adatto per ospitare un’esperienza teatrale del genere.
Lorena Senestro: È un’abbazia, anzi una canonica agostiniana.
Betti Merlin: Con “Le confessioni” si inaugura un esperimento che abbiamo deciso di concretizzare a partire da quest’anno, vale a dire le “scampagnate teatrali”. Che cosa significa? Parto, prendo un pullman, mi sposto dalla città, faccio una visita, vivo un’esperienza.
Lorena Senestro: Sì, e per di più accompagnati da una guida esperta del MiBACT.
Betti Merlin: Finita la visita c’è stato un momento di aperitivo presso la foresteria. Dopodiché, lo spettacolo. Il tutto assomigliava più a un tour, a una gita. Lo replicheremo poi anche ad Asti, negli appuntamenti dell’ultimo episodio di Concentrica, “In giro”, in cui prevediamo di attivare un bus da Torino con Giorda che interagirà con il pubblico di passeggeri. Seguiranno poi una visita alle terme romane e un apericena.
Lorena Senestro: E all’interno del “pacchetto” è prevista anche la visita dell’assessore alla cultura di Asti al Teatro Alfieri.
Betti Merlin: Nostro obiettivo è uscire dall’idea tradizionale (e stantia) dell’andare a teatro per vedere qualcosa e poi tornarsene a casa. Cerchiamo piuttosto una dimensione partecipata.
Lorena Senestro: Esperienziale, performativa in tutti i suoi aspetti. Perché secondo noi, per le persone che vivono in città, quell’esperienza lì – quella della soirée – è un po’ al crepuscolo: ha ancora senso, è ancora bello, andare la sera a teatro quando abiti in provincia, perché è un’esperienza insolita. Ma noi abbiamo fame di altro…
Betti Merlin: Che poi, a ben guardare, Torino ha un’offerta imbarazzante di spettacoli…
Imbarazzante nel senso che ce ne sono tanti o che per lo più sono ridicoli?
Betti Merlin [ride]: No, nel senso che ce ne sono tanti! Probabilmente è stato lo stesso contesto torinese a suggerirci questo tipo di metodo.
Lorena Senestro: Beh, ce l’ha suggerito anche la nostra esperienza al Teatro e al Caffè della Caduta. Da noi veniva tanta gente, soprattutto ai tempi del varietà. Perché? Perché partecipava di qualche cosa. Era per loro importante esserci, venire lì e sentire di appartenere, sia pur per poco tempo, a un luogo un po’ bizzarro, strano. Un’esperienza che ti facesse sentire culturalmente attivo.
Betti Merlin: Ma anche perché così facendo sostenevi dei valori che ti stavano a cuore: andare a vedere degli esordienti, per esempio…
Lorena Senestro: Ma quando c’era il Caffè della Caduta non andavi a vedere gli esordienti. Andavi a partecipare ad un’esperienza che ti sembrava di essere a Berlino, Massimo. È per quello che venivano!
Betti Merlin: Quelli che oggi chiamano luoghi di resistenza.
Lorena Senestro: No! Resistenza non lo dire! Di’ fermento, che poi sembriamo quelli di una volta [ride].
Betti Merlin: È la verità, il pubblico veniva per quello.
Lorena Senestro: Tanti vengono per il fermento, non per la resistenza. La resistenza ce l’abbiamo avuta noi, poi non abbiamo più resistito e stop! [ridiamo]
Betti Merlin: Le persone si muovono a sostegno di un’idea, molto più di una volta.
Evidentemente il pubblico non ha più “fame” soltanto di spettacoli: vuole vivere lo spazio teatrale e l’idea stessa di teatro in maniera più fluida. D’altra parte, però c’è un abuso del site specific, del luogo anti-convezionale. “Le confessioni”, per esempio, avete scelto di farle in un’abbazia. Ma immagino che a spingervi non sia stata soltanto la volontà di trovare un luogo esotico.
Lorena Senestro: No no, anzi è molto più faticoso trovare la situazione giusta. È un lavoro di regia più ampio.
Betti Merlin: Fare lì “Le confessioni” arricchisce lo spettacolo. Tutto sta poi nella buona fede degli organizzatori: c’è chi lo appiccica un po’ lì in maniera posticcia, il luogo, è vero. Non è facile organizzare bene: devi conoscere lo spettacolo che programmi, devi azzeccare lo spazio, devi saperlo attivare. Quest’osmosi arricchisce il luogo e viceversa. Spesso tuttavia non si riesce: si fa l’errore di pianificare a tavolino.
Lorena Senestro: Ti racconto un aneddoto. Ero andata a fare “Madama Bovary” in mezzo agli ulivi in Liguria. È stato bellissimo: dipende anche, quindi, da che tipo di teatro stai andando a proporre. Se si tratta di teatro d’attore, sei tu – che fai in quel momento il teatro – ad adattarti alla situazione.
Betti Merlin: C’è anche da dire che spesso programmiamo spettacoli che non sono nati per quei luoghi lì, quindi bisogna mettere in atto un’operazione di regia per trasferirli. Ad esempio “Madama Bovary” funzionava molto bene lì perché comunque veniva proposto un paesaggio umano selvaggio, provinciale. E quel coacervo, sistemato in una situazione naturistica, si arricchiva. Ma non sempre chi programma è in grado di entrare così nel merito dei contenuti. Quindi in un certo senso si complica la faccenda, rispetto a quanto non accadrebbe rivolgendosi ad un luogo deputato. Però, quando funziona, quest’operazione dà nuova linfa all’azione teatrale.
Lorena Senestro: Le persone hanno voglia di sentirsi parte di qualcosa, non di stare lì a guardare: sono tutti soli, hanno tutti voglia… non per forza di socializzare, ma di sentirsi parte. Perché non c’è più la comunità.
Ecco, siamo partiti per la tangente, anzi siamo proprio finiti in orbita. Proviamo ora a tornare sulla puntata torinese di Concentrica.
Betti Merlin: Sì, quest’anno c’è una novità importante per quanto riguarda il coinvolgimento e la partecipazione delle persone durante il festival a Torino, che abbiamo chiamato “A Scuola”. Abbiamo infatti deciso di far adottare quest’iniziativa a due istituti superiori.
Lorena Senestro: Il Convitto Nazionale Umberto I e l’ITIS Avogadro.
Betti Merlin: Offriamo della formazione ai ragazzi: portiamo da Milano Stratagemmi, che proporrà un corso all’Umberto I, educando gli studenti su alcuni aspetti della comunicazione culturale, mettendoli cioè a lavoro diretto sulla rassegna. Saranno perciò loro, i ragazzi, ad organizzare con noi la rassegna e a comunicarla, non solo ai coetanei all’interno del plesso scolastico ma anche all’esterno, guidati dal tutoraggio di Stratagemmi e con la collaborazione del nostro staff. Quindi saranno loro ad accogliere il pubblico, a fargli fare un breve tour nella scuola, scoprendone le curiosità. Dopodiché, ci saranno gli spettacoli in due aule delle strutture.
Lorena Senestro: In mezzo si terrà anche un aperitivo, perché al Convitto hanno addirittura lo chef.
Betti Merlin: Si arriva, dunque, e si ha una full immersion nelle attività della scuola. E sono i ragazzi appunto a farsi guide…
Lorena Senestro: E noi discepoli.
Betti Merlin: È un esperimento, una scelta di campo, vediamo se funziona (e se ha senso esportarla anche in provincia). All’Umberto I c’è un bellissimo salone storico…
Lorena Senestro: All’Avogadro invece si producevano tutti i tombini di Torino.
Betti Merlin: Sono due scuole che hanno una storia: è un’occasione per entrare più nel merito e per vedere che cosa c’è nei luoghi in cui i ragazzi si formano. L’idea iniziale mi era venuta dai sotterranei dell’Avogadro, uno spazio in cui si tenevano eventi tanti anni fa. È un modo insomma per far sì che un certo teatro emergente venga a contatto con le nuove generazioni.
Si sente ripetere spesso che i festival hanno il compito di assumersi “il rischio culturale”. Voi come la affrontate questa questione?
Lorena Senestro: Innanzitutto noi guardiamo sempre i video di ciò che programmiamo.
Betti Merlin: Lavoriamo sulle compagnie, scommettiamo sui percorsi: è un dispositivo di reale promozione in Piemonte di compagnie che arrivano da fuori. Per me è la cosa più importante: tutti gli artisti fanno un capolavoro, poi due opere così così… è un ciclo: quindi il festival assorbe questo rischio e il pubblico, di solito, lo ha già messo in conto. Spesso anche perché si lavora sui debutti. Noi non lavoriamo specificamente sui debutti: capita, ma non è la norma. Al più ospitiamo debutti di creazioni che stiamo promuovendo noi direttamente. È il caso ad esempio di “Settanta volte sette“, in scena il 14 novembre all’Avogadro, realizzato da una delle compagnie che ha sfruttato al meglio l’opportunità di Concentrica, ossia Controcanto Collettivo. Loro sono un nucleo umano, prima di tutto, nato fin da giovanissimi. In passato abbiamo ospitato il loro “Sempre domenica” e siccome ci è piaciuto molto questa volta abbiamo scelto di co-produrli. Questo nuovo titolo racconta la storia di due famiglie, i cui destini una sera si incrociano: il rimorso che consuma, la rabbia che divora, il dolore che lascia fermi, il tempo che scorre invano. Ma anche la possibilità che il dolore inflitto e quello subito parlino una lingua comune e che l’essere umano, dietro la colpa, possa ancora riconoscere l’uomo. Per il resto, credo debbano girare anche opere di “repertorio”: c’è un problema in Italia e cioè che si produce troppo. Ed è un problema normativo, tecnico, del FUS.
Più produci, più sei finanziato?
Massimo Betti Merlin: Esatto. E non è valorizzata più di tanto la circuitazione. Quindi, se tu fai un grande spettacolo, dopo un po’ finisce comunque in cavalleria.
E naturalmente più devi “produrre” meno puoi “ricercare”.
Lorena Senestro: Proprio così.
Betti Merlin: Secondo me gli spettacoli belli, quelli importanti, dovrebbero continuare a girare perché non invecchiano certo in due o tre anni.
Lorena Senestro: Anche perché deve cambiare lo spettacolo mentre cambi tu. Si adatta alla vita, che procede appunto in avanti.
Betti Merlin: Anche Andrea Cosentino ha goduto bene del meccanismo di Concentrica ed è riuscito a piazzare diverse repliche con i nostri partner, che lo hanno visto a Torino e per questo ospitato. Andrea ha fatto forse una decina di date con noi in questi tre anni: per quest’edizione propone “Kotekino Riff” (in collaborazione con la stagione TPE, in scena il 12 novembre al Teatro Astra), una roulette russa di gag sull’idiozia… un fluire sincopato di danze scomposte e monologhi surreali accompagnati dalla musica. Ad aprire le danze del festival sarà in realtà il 7 novembre, all’Umberto I, l'”Amleto take away” di Berardi/Casolari, che ci sembrava utile programmare perché a Torino non è stato ancora presentato: con il Premio Ubu la scelta è poi divenuta inevitabile. Invece Claudio Morici è stato selezionato a IN-BOX con “46 tentativi di lettera a mio figlio” (sempre al Convitto, l’8 novembre): una lettera per ogni anno della vita dell’autore. Con esse si cerca di spiegare al figlio il senso della vita e della separazione tra genitori.
Lorena Senestro: È stato un po’ un caso a Roma… uno dei pochi spettacoli che ha saputo riempire le sale. Si scalda con la reazione del pubblico: secondo me con i ragazzi funziona bene, perché tratta tematiche a loro molto vicine.
Betti Merlin: Invece C&C Company (che chiude la tripletta all’Umberto I il 9 novembre) è una compagnia che abbiamo individuato da tempo. Anni fa ero andato a vederli in Lombardia alla vetrina Idra e “Beast without beauty” mi sembrò fin da subito uno spettacolo di danza tranquillamente capace di arrivare anche al pubblico teatrale. Già a Interplay avevamo sostenuta la compagnia con un paio di titoli. Quest’anno in più propongono un workshop a scuola, aperto anche agli esterni (che segue un loro intervento in Liguria per la puntata “Al mare”).
Lorena Senestro: Loro sono davvero bravi! Come anche Quotidiana.com, storica compagnia riminese.
Betti Merlin: Anche se non sono giovanissimi, il loro è un teatro di grande qualità che in Piemonte però non viene programmato.
Lorena Senestro: Ecco, questo è proprio il rischio del festival.
Betti Merlin: Noi li avevamo già programmati alla Caduta. È un po’ come Musella/Mazzarelli: a Torino non li programmava nessuno. Hanno fatto con noi tre date e ora sono in tour nazionale, piacciono a tutti. Ma perché allora a Torino non li hanno programmati prima?
Perché non volevano assumersi il rischio…
Lorena Senestro: Quotidiana.com portano in scena all’Avogadro il 15 novembre “L’anarchico non è fotogenico”… Due cowboy che si affrontano in una sofisticata clownerie intellettuale, un gioco verbale alle soglie dell’assurdo. Il tutto imperniato attorno alla domanda: Che differenza c’è tra teatro e spettacolo?
Betti Merlin: Dulcis in fundo, Linguaggi creativi, una compagnia che abbiamo individuato alla Caduta negli anni passati, che porta – sempre all’Avogadro, la sera successiva – uno spettacolo tratto da un romanzo di Scerbanenco, da noi visto a Milano. Si tratta de “I ragazzi del massacro”: una maestra assassinata dai suoi undici allievi della scuola serale in un giorno di maggio del ’68. Una piccola storia dentro la grande Storia delle agitazioni studentesche.