Lucrezia C. Gabrieli, Francesca Bertolini, Sebastiano Moltrer e Morgana Furlani protagonisti del progetto D.Arte nell’ambito del festival Oriente Occidente
Recentemente si scriveva del passaggio al festival roveretano Oriente Occidente del nuovo lavoro di Michela Lucenti, “Eclissi“, che racconta di una generazione tormentata, quella dei ventenni di oggi. Si ipotizzava che quella generazione, oltre al buco nero della solitudine, coltivasse anche un desiderio di espressione e di condivisione.
Proprio nelle ore conclusive del festival ne abbiamo trovato conferma nel trittico di piccoli o piccolissimi lavori (tutti al di sotto della mezz’ora) che, all’interno del progetto D.Arte, il festival mette in scena negli spazi del Mart di Rovereto: vogliamo darne brevissimo conto, perché si è trattato di tre sussulti di scanzonata o tenera umanità, nati dalla scrittura e dall’interpretazione di giovani coerografi/e e danzatori e danzatrici locali: Lucrezia C. Gabrieli, Francesca Bertolini, Sebastiano Moltrer e Morgana Furlani.
“Lealismo” di Furlani è un pezzo tripartito, la cui sede è lo spazio del Mart dedicato in questi giorni al lavoro dell’artista multidisciplinare Luigi Serafini.
L’entrata, che avviene proprio da dietro la comica scultura “Minotango” di Serafini (anch’egli presente tra il pubblico, in piedi) si dà come il dipanarsi di un filo che Furlani segue per percorrere un periplo attorno allo spazio deputato, una sorta di ingresso reiterato.
Il finale, passato in mezzo a tre musiche di tono diverso, sull’ultima delle quali il gesto misurato si sfrangia in un ballo allegro, un po’ sregolato, è suggellato invece da una fuga tra gli spettatori, per cui letteralmente la danzatrice si sottrae, sorridendo (o irridendo), al nostro sguardo, con un gesto di semplice libertà ancora capace di spiazzare – tutti ci chiediamo se tornerà, e se sì, da dove. E invece no, se non per gli applausi.
A giocare con lo spazio deputato è anche, e più radicalmente, la coppia Bertolini-Moltrer, che decide di ruotare la tradizionale fruizione frontale a una inclinazione inedita: i due salgono e scendono per le scale a vista che collegano i piani del museo, mentre il pubblico sta nel foyer e li segue come due criceti in una gabbia, trema per loro che lanciano palline o le perdono al di là della balaustra, con quella irrefrenabile piccola torsione dello stomaco che prende a vedere qualcosa che sfugge di mano e cade dall’alto. Poi, eccoli riunirsi al di sotto del piano in cui ci si trova, nel pianerottolo del seminterrato, il pubblico si sporge.
Il loro “PLIN!” unisce giocoleria con palline a una danza dai tratti acrobatici e a un uso della voce resa come sgraziato grido animale, veicolo di selvaggia allegria e joie de vivre, che rimangono attive, nonostante alcune lungaggini che la semplicità del tessuto di scrittura mal sopportano, fino agli applausi, giocati in una piccola vorticante festa, in cui il pubblico è preso per mano e portato a ballare.
Ma in particolare, colpisce per tenerezza, per acuta capacità di coinvolgimento e candore (che non è ingenuità) il minuscolo atto performativo di Lucrezia C. Gabrieli, dal titolo “Niente è davvero permanente”.
Sola in scena, vestita con un azzurro simile a quello che portano i soggetti delle opere alle sue spalle (il “Ritratto di Italia Bertotti” di Luigi Bonazza e un “Mattino di primavera” di Umberto Moggioli), ci rivela che il museo non è uno sfondo, né uno spazio fisico con cui interagire, ma un luogo che oltre ad avere una vita propria, mobile e non-permanente, appunto, consta non solo della vita delle proprie opere, ma anche della pratica del muoversi tra di esse, dell’osservarle in questa o in quest’altra postura, in ciò ricordando la costruzione repertoriale del Salvo Lombardo di “Casual Bystanders”.
Gabrieli, in una scrittura non irregimentabile, libera della libertà concessa dalla brevità e sostenuta da un ininterrotto contatto con gli spettatori, a cui si avvicina e che coinvolge in atomi di co-performatività, fa uso di musiche sapientemente scelte tra le più morbide e sognanti, increspate da tenui rumori di campagna primaverile, si direbbe macchiaiola; ricostruisce posture, corre alla ricerca, con un piccolo vaso di vetro, come per attingervi, di altri azzurri attorno; rivela, oltre la tralucenza del materiale, la qualità fisica del vasetto, grattandolo sulla scabrosa superficie del muro, vi si poggia, continua a danzare da ferma, soltanto con un occhio che sporge da un angolo del braccio, si scopre una spalla come una piccola Diana; imbastisce un superfluo, forse inopportuno discorso finale sulla impermanenza, distillando con tutto ciò un senso di commozione pungente, come davanti a qualcosa di molto piccolo e molto vero.
LEALISMO
Coreografia Morgana Furlani
Interprete Morgana Furlani
PLIN!
Coreografia Francesca Bertolini, Sebastiano Moltrer
Interpreti Francesca Bertolini, Sebastiano Moltrer
Niente è davvero permanente
Coreografia Lucrezia C. Gabrieli
Interprete Lucrezia C. Gabrieli
Musica Giacomo Calli, 42STEMS