Dalser. La Mussolina di Michela Embrìaco: follia e amore per DonneTeatroDiritti

Ph: Pierluigi Cattani Faggion
Ph: Pierluigi Cattani Faggion

Al PACTA Salone di Milano, il racconto della prima moglie di Mussolini nell’adattamento di Angela Dematté

Dal buio di un manicomio, sotto una pioggia incessante, emerge la figura di Ida Dalser, la prima moglie di Mussolini, il cui nome è stato cancellato dalla storia. La sua vita, pervasa da un amore non corrisposto e dalla follia, urla per essere raccontata.
“Dalser. La Mussolina” non è solo un dramma personale, ma un impietoso ritratto della violenza patriarcale e del fascismo. È una storia di ossessione, abbandono e annientamento che sfida la memoria collettiva e scuote le coscienze.

Al PACTA Salone di Milano, nell’ambito della rassegna “DonneTeatroDiritti”, la drammaturgia di Angela Dematté e la regia/interpretazione di Michela Embrìaco danno vita a un’opera che narra la tragica vicenda di Ida Dalser, la cui esistenza si consuma in una spirale di rifiuto e silenzio. La scelta di raccontare questa storia è coraggiosa, ma il grande potenziale drammatico non trova sempre la giusta intensità emotiva per esprimersi pienamente.

La storia di Ida Dalser è una ferita aperta nella memoria del fascismo. Nel 1914, quando Mussolini era ancora un giornalista socialista, Ida lo incontrò. Tra i due scattò una passione travolgente, da cui nacque Benito Albino. Mussolini rifiutò di riconoscere sia il figlio sia la relazione. Da quel momento, Ida intraprese una lotta solitaria per ottenere il riconoscimento di un legame che per lei era indissolubile, ma che per Mussolini era divenuto solo un inconveniente da cancellare. La vita di Ida si intrecciò ineluttabilmente con la violenza del regime fascista, mentre lottava per un minimo di dignità. Morì nel 1937 in un ospedale psichiatrico, la sua sorte, insieme a quella del figlio, destinata a scomparire nell’oblio.

Lo spettacolo si apre nel 1935 con la disperata fuga di Ida dal manicomio di Pergine Valsugana, per raggiungere la casa della sorella a Sopramonte, dove immaginava di trovare ad attenderla proprio Mussolini. La scena è immersa nel buio. L’acqua scroscia incessante, trasportando lo spettatore nel tormento psicologico della protagonista. Non c’è respiro, non c’è pace: l’acqua, il suono e la solitudine inghiottono ogni cosa. Eppure, la figura di Ida, immacolata, perfetta nel suo abito e nei suoi capelli, non sembra scossa dalla miseria che la circonda. Questa contraddizione visiva è potente, ma allo stesso tempo destabilizzante. Tanto più che la protagonista non fa che lamentarsi della devastazione del manicomio sul suo corpo, dell’odore di sudore e di follia che vorrebbe scrollarsi di dosso con un bagno ristoratore. La sua bellezza intatta che sfida la disperazione, i suoi abiti curati, sono solo una metafora della sua condizione, un corpo “perfetto” prigioniero di una mente e di una vita distrutte? La domanda resta sospesa.

Michela Embrìaco, nei panni di Ida, restituisce il personaggio con generosità. La sua interpretazione evidenzia la frattura tra il delirio e la realtà. Ida è intrappolata in una visione ossessiva del passato, nel ricordo di un amore che non ha mai smesso di desiderare. Tuttavia, la performance non riesce a raggiungere la piena esplosione di sofferenza che il personaggio richiederebbe. La tragedia di Ida, pur ben definita, non trova la scossa emotiva capace di trasformarla in una catarsi teatrale.

La scenografia è semplice ma ricca di simbolismo. Una ventina di microfoni sospesi su altrettante aste, dritti o piegati, si trasformano nella prigione invisibile da cui Ida cerca di fuggire. Questi oggetti diventano più di semplici simboli di reclusione: sono megafoni per la sua storia; sono occhi e orecchie pronte a dissezionare ogni parola di Ida, ogni suo pensiero. Ogni spostamento, ogni ricomposizione, accentua la claustrofobia e l’inesorabilità del suo destino. La tensione cresce in modo sotterraneo, come un muto grido di aiuto. Ma la forza di queste immagini non esplode mai in tutta la sua potenza.

La luce e l’ombra, in un gioco continuo, hanno il potenziale di evocare la drammaticità del contesto, ma la loro danza resta in superficie. Sebbene riescano a spezzare la monotonia del flusso di coscienza in cui la protagonista è intrappolata, l’assenza di un apice drammatico rende la scena priva di evoluzione emotiva. La ripetizione dei pensieri di Ida cristallizza il suo personaggio, fino a paralizzarlo. Il dramma resta intrappolato nella stessa spirale di dolore, incapace di trovare una via d’uscita.

La musica, in particolare i cenni della canzone “Tu, solamente tu” di Vittorio De Sica (del 1938, quindi successiva alla morte di Dalser), emerge come un’eco dolente, un accompagnamento straziante della solitudine di Ida. La melodia, inizialmente dolce, si distorce progressivamente, rispecchiando il graduale disfacimento psicologico del personaggio. La musica crea un legame emotivo, un ponte tra il pubblico e la protagonista, suscitando empatia per la sua tragedia, ma non riesce a sollevare completamente lo spettacolo. Essa accompagna il dolore, ma non lo fa esplodere.

Il tema del patriarcato e della violenza fascista è presente, ma mai pienamente esplorato. Mussolini, al centro del dolore di Ida, è solo una figura evanescente, un fantasma che aleggia sullo sfondo senza divenire il nemico diretto. Il fascismo rimane un’entità oscura, una forza minacciosa, non il vero antagonista del dramma.

“Dalser. La Mussolina” è un’opera che, pur nel suo interesse e nella sua rilevanza tematica, necessita di tempo per raggiungere il pieno coinvolgimento emotivo. Le scelte registiche e sceniche, senz’altro stimolanti, non raggiungono la profondità necessaria per scatenare la forza della tragedia di Ida. La recitazione di Michela Embrìaco, tecnicamente impeccabile, va affilata e “sporcata” per raggiungere la devastante intensità che una tragedia di tale portata richiede. Nonostante ciò, lo spettacolo merita attenzione per il tema trattato e le questioni sollevate. Una narrazione che sfida la memoria storica, e che deve evitare di perdersi nella sua stessa forma, per sprigionare tutta la sua potenza emotiva.

DALSER. LA MUSSOLINA
Drammaturgia: Angela Dematté
Regia: Michela Embrìaco
Con: Michela Embrìaco
Scenografie e costumi: Giusi Campisi
Progetto sartoriale: Lea Lausch GelZun
Partitura luci: Mariano de Tassis
Musiche originali: Adele Pardi e Stefano Artini
Sound design: Stefano Artini
Visual art e fotografia: Pierluigi Cattani Faggion
Tecnica: Luca Brun
Coproduzione: MultiversoTeatro e PACTA . dei Teatri
In collaborazione con il Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento
In partnership culturale con la Fondazione Museo Storico del Trentino
In Invito a teatro

Durata: 1h
Applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, PACTA Salone, il 7 marzo 2025

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