I Dancing Days di Romaeuropa 24, trampolino e bussola della nuova danza

Pinelopi Gerasimou
Pinelopi Gerasimou

Francesca Manica, curatrice della programmazione, ci racconta questo incubatore di nuovi talenti internazionali

Iniziano domani, giovedì 17, e si concludono lunedì 21 i cinque Dancing Days di Romaeuropa, nel cui programma saranno artiste e artisti greci, francesi, svizzeri, italiani. Tra le presenze autoctone da segnalare è senz’altro Stefania Tansini, vincitrice del premio Ubu 2022 come “miglior performer under 35”, già a Romaeuropa nella selezione DNAppunti Coreografici del 2020 e con gli spettacoli “My Body” (2021) e “My Body Trio” (2022). Insieme alle artiste europee selezionate attraverso la rete europea del progetto Aerowaves, fornisce materiale ai Dancing Days anche la già citata officina di DNAppunti Coreografici, a cui collabora una rete di festival e altre realtà della danza, associate nella ricerca di nuove creazioni e linguaggi. Ne è un esempio il percorso di Giorgia Lolli, il cui “Eat me”, premiato durante l’edizione 2023 insieme a Sophie Claire Annen e Sebastian Kurtén, sarà in scena domenica 20.
Quattro domande, alla vigilia delle giornate della danza, alla curatrice Francesca Manica, proprio a partire da qui, le due giornate finali della rassegna in cui si potranno vedere cinque progetti alla ricerca di un futuro in scena, uno dei quali calcherà le tavole dei palchi di Romaeuropa la prossima stagione.

DNAppunti Coreografici conclude la programmazione dei Dancing Days ma, in qualche modo, la nutre e la apre verso il futuro. Cosa deve aspettarsi di vedere quest’anno lo spettatore dai danzatori selezionati per la rassegna dei giovani under35? Quale danza di domani gli si prospetta?
DNAppunti Coreografici è cresciuto notevolmente nel corso degli anni, proponendo progetti sempre più in sintonia con le linee artistiche e le visioni dei diversi partner della rete (Cango, Gender Bender, Operaestate, La Triennale, L’Arboreto e Romaeuropa). In questi anni abbiamo cercato di sostenere i partecipanti al bando, poiché esiste un forte legame con la scena europea e le sue nuove tendenze. La maggior parte dei coreografi coinvolti ha maturato esperienze significative all’estero e, grazie a questo bagaglio culturale, presenta opere che affrontano le questioni più urgenti del nostro tempo, in perfetta sintonia con la visione del Festival Romaeuropa.
La danza contemporanea italiana del futuro appare sempre più connessa a un’idea europea di scambio e contaminazione tra generi, muovendosi dalla danza pura alla performance, affrontando temi di grande attualità. Questi vengono tradotti in un linguaggio coreografico che integra aspetti teatrali e performativi, dando vita a espressioni artistiche sempre più ricche e complesse.

Bless - the sound that saved a witch like me (ph: Bas Czerwinski)
Bless – the sound that saved a witch like me (ph: Bas Czerwinski)

Insieme ai Dancing Days, Romaeuropa accoglie anche i grandi nomi della danza nazionale e internazionale. Che dialogo si può dare con quest’altro versante della programmazione, al di là delle semplici questioni di dimensione produttiva, di carriera?
I Dancing Days rappresentano un vero e proprio incubatore di nuovi talenti e direzioni coreografiche emergenti. Non si limitano a essere un semplice osservatorio di ciò che accade in Europa tra i giovani coreografi. L’obiettivo della rassegna è formare un pubblico preparato ad accogliere questi giovani creatori all’interno del programma principale del festival. Non a caso, i Dancing Days hanno spesso rappresentato il trampolino di lancio per alcuni artisti che oggi sono figure di riferimento e ben consolidate all’interno di Romaeuropa. Tra questi ritroviamo Christos Papadopoulos, che quest’anno ha aperto il festival, insieme a Jan Martens con “Voice Noices” e Leila Ka, che debutta con una doppia replica della sua ultima creazione “Maldonne”.

Oltre a essere impegnata per Romaeuropa, il tuo lavoro di curatrice ti porta a Spoleto per il Festival dei Due Mondi. Costruendo i Dancing Days, mettendo insieme idee, ponendo il fuoco su tematiche, linguaggi per un contenitore dalla personalità forte ma disponibile ad accogliere le differenze come il festival romano, pensi anche al tessuto, al carattere, ai travagli della città che li accoglierà, ai suoi occhi?
Lavorando su due fronti e con due festival di grande rilievo ma profondamente diversi per contesto territoriale, è fondamentale comprendere il tipo di pubblico a cui ci si rivolge e, soprattutto, dove si desidera condurlo, tenendo conto delle tempistiche necessarie per imprimere un cambio di direzione. Con Romaeuropa è più facile osare con proposte innovative, grazie a un pubblico che ci accompagna da anni e che ripone piena fiducia nella programmazione offerta. A Spoleto, invece, si opera sia nell’ambito classico che in quello contemporaneo. L’obiettivo è riuscire a far dialogare questi due pubblici apparentemente distinti, facilitando l’accesso ai rispettivi universi di riferimento. Questo passaggio è certamente più lento, ma altrettanto stimolante.

Che posto occupa, a tuo parere, la danza nella contemporaneità delle arti performative? La libertà che la caratterizza, nella postura di volta in volta diversa richiesta al pubblico, può essere una carta vincente per interpretare il nostro tempo, per sconfinare dagli specialismi e dalla consolatoria leggibilità di linguaggi tradizionali?
Per quanto mi riguarda, la danza occupa un ruolo primordiale all’interno delle arti performative. Attraverso il linguaggio del corpo, riesce a trasmettere emozioni e messaggi con una chiarezza e una forza che, a mio avviso, non lasciano spazio a fraintendimenti. Mentre la parola può spesso essere soggetta a interpretazioni e travisamenti, il movimento corporeo parla una lingua universale, immediata e diretta. Il corpo, infatti, ha la capacità di esprimere in maniera istintiva e spontanea sentimenti, stati d’animo e concetti che, se tradotti in parole, risulterebbero limitati o imprecisi. Ogni gesto, ogni dinamica del movimento racchiude in sé una potenza comunicativa che oltrepassa le barriere linguistiche e culturali, permettendo una connessione più profonda e autentica tra l’artista e il pubblico. A differenza della parola, che richiede una struttura logica e razionale, il corpo si muove in un registro più primordiale e naturale, riuscendo a veicolare sensazioni complesse senza bisogno di essere spiegate o interpretate verbalmente. E in questo risiedono la bellezza e la potenza della danza: essa comunica con una fluidità e una verità che non hanno bisogno di essere filtrate attraverso la parola, la quale, inevitabilmente, pone dei limiti alla piena espressione delle emozioni.

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