A Bologna Massimo Carosi dirige il festival che, dopo le restrizioni dovute alla pandemia, torna al suo spirito di contaminazione popolare della città
A settembre Bologna vive uno dei mesi più vivaci a livello artistico e culturale grazie all’ampia e variegata offerta del cartellone di Bologna Estate che abbraccia anche Danza Urbana. Il festival, giunto alla ventiseiesima edizione, è un evento consolidato all’interno del panorama della danza contemporanea dal respiro internazionale.
Gli spettacoli delle cinque giornate di quest’anno (dal 7 all’11 settembre) si presentano principalmente all’aperto, alcuni nel cuore della città, come nelle cornici storiche di piazza Maggiore e di piazza San Francesco, altri in luoghi marginali, come la zona sotto ai ponti dell’alta velocità, situata nel Lungo Reno. Il festival s’insedia inoltre in ampi spazi delle zone decentrate, oggetto di riqualificazione urbana, come l’ex mercato orto-frutticolo della Bolognina, trasformato nella maestosa piazza coperta Lucio Dalla, ancora fresca d’inaugurazione; oppure l’ex scalo merci Ravone, proprietà della ferrovia, che ha cambiato completamente la sua identità diventando il DumBO (Distretto urbano multifunzionale di Bologna), al momento uno dei contesti di rigenerazione urbana più grandi d’Europa. Altro luogo toccato dal festival è lo splendido Parco Agricolo di Villa Ghigi: 28 ettari di verde pubblico situato a pochi chilometri dalla città, oltre porta San Mamolo, sulle dolci colline bolognesi.
Per Danza Urbana la ricerca degli spazi non è una mera questione logistica, ma una profonda indicazione drammaturgica. Lo spazio, che sia architettonico o paesaggistico, costituisce il punto di partenza nella direzione artistica a cura di Massimo Carosi, che indaga ed esplora il territorio con minuziosa dedizione. Lavorare sul territorio significa in primo luogo fare un investimento di audience development. Promuovere la danza al di fuori dei teatri, per farla transitare nei luoghi pubblici, in edifici storici e caratteristici, in luoghi di ritrovo e d’uso quotidiano, nelle zone di passaggio e nelle periferie è un modo per richiamare un pubblico il più possibile variegato, dal turista al cittadino locale, dall’appassionato di danza allo spettatore casuale, dal bambino all’anziano. Non a caso la maggior parte degli eventi sono gratuiti e fruibili a tutti.
In questi ultimi anni il festival ha sofferto per le restrizioni adottate durante la pandemia, dovendo regolamentare e contingentare l’accesso delle persone attraverso l’emissione di un biglietto. Era la prima volta che ciò accadeva. L’edizione 2022 ha ristabilito invece con successo la gratuità degli eventi (ad eccezione di un paio di spettacoli) riportando in auge lo spirito più popolare del festival. Ha privilegiato i contesti outdoor, offrendo una fruizione libera e spontanea, consentendo alle persone di rivivere occasioni di spensierata aggregazione e di condivisione della cultura.
La programmazione affonda le sue radici nell’elaborato lavoro di scouting intrapreso da Carosi attraverso vari network (Crisol, Habitat, Anticorpi, Anticorpi XL). Ad esempio, alcuni degli spettacoli presentati (la performance site specific “Manbuhsona” di Pablo Girolamo e “NeverStopScrollingBaby” del collettivo Vitamina) sono tra i vincitori del bando Danza Urbana XL 2022.
Il festival vuole essere inoltre un’occasione d’incontro, di scambio e di trasmissione di saperi tra generazioni d’artisti. Ed è proprio con questo intento che il cartellone si apre alla presenza di maestri della danza contemporanea e di compagnie riconosciute a livello internazionale.
Degni di nota i lavori di Fabian Thomé e di Gil Kerer, rappresentati in successione nella piazza Lucio Dalla. Il primo, “Moi-Je”, dura venti minuti, mentre il “Concerto for mandolin and strings in C major by Vivaldi” appena quindici. Entrambe le performance sono accomunate dalla presenza di due uomini in scena, avvinghiati in una relazione simbiotica, la cui complicità viene però sviscerata in maniera completamente diversa dal punto di vista coreografico e dell’immaginario evocato nel pubblico.
“Moi-Je”, vincitore del 33° Certamen Coreogràfico de Madrid, vede i performer (lo stesso Fabian Thomé e Gonzalo Peguero Pérez) impegnati in un vibrante passo a due, i cui i movimenti nascono dall’ascolto reciproco, dalla connessione dello sguardo, dalla percezione di sé e dei propri sentimenti attraverso il contatto e il confronto con l’altro.
La danza, quale espressione di un moto di ricerca identitaria, si sviluppa a partire dalle azioni che l’individuo compie in riferimento a sé stesso ed in relazione a ciò che trova al di fuori. Avvicinarsi, allontanarsi, cercarsi, respingersi, abbracciarsi, cingersi, avvinghiarsi, avvolgersi, catapultarsi, abbandonarsi, lasciarsi. Ecco, dunque, che i corpi dei danzatori offrono al pubblico una coreografia essenziale e primordiale nella schiettezza della sua intensa fisicità.
Il lavoro successivo, “Concerto for Mandolin and Strings in C Major by Vivaldi” (di cui abbiamo già parlato in passato su Klp perché transitato in alcuni festival nostrani come Interplay e Opera Prima) offre un’atmosfera leggera e spensierata: un allegro passo a due ricco di saltelli e corsette, una sorta di tributo alla gioia di vivere e di danzare.
Gil Kerer e Lotem Regev, vestiti in maglietta e pantaloncini, con ai piedi delle scarpe da ginnastica, danno sfogo alla musica di Vivaldi, prendendo in prestito movimenti dal mondo del calcio. Entrano nella coreografia gesti tecnici e schemi motori propri dello sport, come la corsa, i dribbler e i colpi di testa, ma anche sentimenti di fair play: spirito d’amicizia, spirito di squadra, empatia, fratellanza…
Entrambi i lavori, estremamente agili per l’assenza di apparati scenografici e di illuminotecnica, si presentano al pubblico in maniera diretta, sul pavimento “nudo e crudo” della piazza in cemento. L’amplificazione della musica è l’unico elemento tecnologico a supporto dei performer, che catalizza l’attenzione di un pubblico eterogeneo, in parte seduto a semicerchio intorno allo spazio deputato, in parte in piedi, oppure di passaggio o situato in lontananza. La musica si mescola e si confonde con svariati rumori: il brulichio della gente, gli schiamazzi di ragazzi e bambini sugli skate, l’abbaiare di cani, le chiacchiere di persone intente a fare aperitivo. Poco più in là alcuni tecnici e lavoratori dello spettacolo allestiscono un palcoscenico che di lì a breve ospiterà un altro appuntamento del cartellone di Bologna Estate. Questa caotica simultaneità a tratti potrebbe distogliere l’attenzione del pubblico dallo spettacolo, ma di fatto non sottrae nulla all’evento artistico, anzi, lo arricchisce. Si avverte infatti un certo entusiasmo e coinvolgimento tra gli spettatori: la forte commistione e compenetrazione tra finzione e realtà genera un rinnovato senso di appartenenza sia in chi guarda sia in chi viene guardato.
Sempre sulla scia del duo maschile s’insedia la creazione di Luna Cenere, che da alcuni anni porta avanti un lavoro di ricerca sulla nudità, ispirandosi alla corrente surrealista e alle immagini di autori come Ren Hang, Eveline Bencicova e il fotografo Adey.
La scena totalmente bianca, illuminata dalla luce fissa di un neon, mette in risalto, seppur in controluce, le figure dei performer (Michele Scappa e Davide Tagliavini) che indossano unicamente delle scarpe da ginnastica. I loro volti rimangono nascosti e poco visibili quasi per tutto il tempo. I corpi, nudi, accovacciati, saldamente avvinghiati tra loro, sembrano volersi fondere in un’unica carne, in un unico respiro, in unico cuore che pulsa. Compongono figure geometriche che lentamente, compenetrandosi, danno origine a nuove forme, per poi oscillare e intrecciarsi con cautela in posizioni sempre più acrobatiche e precarie. Il lavoro sfiora l’erotismo e la sensualità dei corpi col garbo di una carezza, ma nel suo incentrarsi totalmente sulla corporeità, sembra ignorare la dimensione coreografica.
Tra i lavori che esplorano primariamente il corpo, spicca la presenza ormai consolidata di Virgilio Sieni (su cui torneremo prossimamente per parlare nello specifico del nuovo spettacolo visto al festival), nome di sicuro richiamo sia per gli addetti ai lavori che per i seguaci della danza contemporanea.
A completare la programmazione del festival alcune attività collaterali, come workshop, proiezioni, dialoghi con studiosi ed artisti. Sono in tutto diciotto le compagnie che hanno partecipato all’edizione di Danza Urbana 2022 – “un’edizione laboratorio”, così l’ha definita il direttore artistico, andando a rimarcare l’impegno del festival nel sostenere formazione e progettualità.
Come l’anno scorso, anche questa edizione ha supportato la fase di creazione e di sviluppo di due progetti artistici, individuati tramite il bando DANCESCAPES/Bodyscape (promosso dall’associazione Danza Urbana con il contributo del MiC e della Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna). Le due proposte hanno ottenuto una residenza artistica, una borsa di ricerca coreografica e una borsa di studio con ore di mentoring. Una copiosa opportunità di cui hanno usufruito Elisa Sbaragli (con “Sull’irrequietezza sul divenire”, al festival in prima nazionale) e Lorenzo Morandini (con la performance itinerante “La Möa, danza per corpo e torrente”). Entrambi i lavori sono stati presentati il 9 settembre presso il giardino Gennaro Fabbri, situato sul Lungo Reno.
I quattordici lavori nel cartellone di quest’edizione hanno dimostrato di riuscire ad interagire con lo spazio pubblico con sensibilità e rispetto, trovando un’ampia risposta e partecipazione da parte della cittadinanza. La creatività della danza riesce a mescolarsi al preesistente, dando luogo ad una nuova e ritrovata condivisione fra le persone.