Dario Natale e Silvia Gribaudi: bisogna andare avanti ed essere funamboli

Dario Natale (photo: Giuseppe Torcasio)|Silvia Gribaudi
Dario Natale (photo: Giuseppe Torcasio)|Silvia Gribaudi

Insieme a Dario Natale, direttore artistico di Scenari Visibili, compagnia teatrale di Lamezia Terme che ha ideato il progetto di residenza creativa “Danza Pubblica – Graces”, tiriamo oggi le fila su un “esperimento” creato intorno alle potenzialità immaginative dello spettacolo di Silvia Gribaudi “Graces”. La residenza, iniziata il 13 aprile e conclusa il 2 maggio, ha visto la coreografa torinese, coadiuvata dai suoi collaboratori e interpreti dello spettacolo (Siro Guglielmi, Matteo Marchesi ed Andrea Rampazzo), coinvolgere attraverso la distanza del web – imposta dalla pandemia – 35 giovanissimi partecipanti sul tema della Grazia, in relazione alle sue innumerevoli possibilità e suggestioni rispetto alla varietà dei corpi e alle loro differenze.
Il risultato viene proposto in un video che mostriamo alla fine di questo dialogo con Dario Natale, colui che ha pensato questa esperienza inusuale, e degli altri due ospiti che abbiamo deciso di intervistare.

Dario, Scenari Visibili che intenti aveva quando ha pensato di proporre questa residenza?
L’intento era quello di favorire la nascita di una sorta di grande festa, un incontro tra giovani amanti della danza e del teatro, in presenza e nella nostra struttura (il Tip teatro), in modo da diventare gradualmente un piccolo fenomeno “pubblico”, tale da uscire dalle mura del teatro e invadere la città con incursioni ed un roboante esito finale: una festa, dicevo, dedicata alla riscoperta del corpo, come dimora di bellezza incondizionata, un addio ai luoghi comuni, agli stereotipi, agli accademismi, un inno alla libertà ed all’amore per se stessi, l’esatto opposto della vanità. Il tutto celebrato in stile… graces.

Anche in una modalità a distanza questi intenti sono stati corrisposti?
Sì, anche di più. Come tanti in questo momento in Italia ci siamo dovuti ripiegare su noi stessi, attendere che gli eventi maturassero, rinviare; poi la scelta di portare tutto online su Zoom, le perplessità iniziali e poi…. poi è stato tutto un vortice, le adesioni che arrivavano da tutta Italia, le lettere motivazionali in perfetta linea con i nostri scopi, il rapporto da subito diretto con tutti, l’incapacità di stabilire orari, la tecnica dei collegamenti e un flusso durato quindici giorni, azioni semplici, sorrisi, intese, relazioni, sudore vero; e ancora il lavoro di Silvia, Matteo, Andrea e Siro, splendidi, capaci di ascoltare, comprendere, accarezzare e proteggere tutti. E alla fine c’è stata anche la festa; insomma come gruppo siamo molto contenti del risultato di questa residenza, tante visualizzazioni, tanti nuovi contatti, non credo potesse andare meglio di così.

A parte qualche sporadico caso, di solito si parla della Calabria come una Regione refrattaria alla cultura teatrale. Come si pone Scenari Visibili in questo senso?
Credo che la Calabria, in fondo, non si differenzi molto dal resto della penisola. Da noi come altrove esistono gli amministratori ed i politici ignoranti, da noi come altrove esistono i programmatori prevedibili ed affaristi, ed anche le strutture mancano un po’ ovunque, per questo abbiamo creato un nostro spazio indipendente ed accessibile, il Tip teatro. La nostra è un’isola dove pensare, creare, agire in autonomia; siamo teatro, galleria, biblioteca, bistrot, sempre aperti ed inclusivi. Si fatica a creare nuovo pubblico ovunque, quando proponi la Cultura del presente, in linea con le esigenze dei popoli e del pianeta, quando c’è da rischiare, ma questo non ci ha mai spaventati, al di là dalla nostra collocazione geografica.

Quali sono le vostre iniziative della ripartenza?
Per la ripartenza abbiamo programmato in presenza (e se dovremo tornare online pazienza!) un evento interamente dedicato alla nuova editoria teatrale italiana, che abbiamo voluto intitolare “Lo Sguardo e la Veduta”. Avremo ospiti le case editrici Titivillus, Cue Press ed Editoria & Spettacolo, che ci racconteranno il loro lavoro con gli autori. Poi un focus sul teatro di Antonio Tarantino, sul lavoro di Alessandro Leogrande, una mostra fotografica su RiCrii, la nostra rassegna di teatro contemporaneo che compie 18 anni, conferenze-spettacolo, eco teatro in riva al mare, il tutto dal 17 al 23 maggio. Cerchiamo sempre, cosa non lo so, ma bisogna andare avanti.

Silvia Gribaudi
Silvia Gribaudi

E ora passiamo la parola a Silvia Gribaudi.

Silvia, dacci una prima impressione consuntiva di questa esperienza?
S T R E P I T O S A ! Che dire? Un gruppo affiatato e creato da remoto! Incredibile!!! Sembra impossibile che la forza delle persone e il loro desiderio di stare insieme possano andare oltre le barriere imposte da questo momento storico che stiamo vivendo. Ci siamo “toccati”, anche se a distanza, e ci siamo anche coraggiosamente messi tutti e tutte in gioco. E’ stato emozionante e pieno di vita, ci ritrovavamo a ridere guardandoci danzare attraverso gli schermi. Sento una profonda gratitudine: questo è quello che è rimasto e si è depositato nel corpo. Ci voleva questa folla di 35 persone, online ogni giorno per 13 giorni, a danzare con quella che abbiamo chiamato la “stupidera seria”! Forse il mio prossimo laboratorio lo chiamerò così: “corso di formazione professionale in SERIA STUPIDERA”. Chissà!

Cos’è dunque la Grazia, signora Gribaudi? Lo abbiamo scoperto?
Per me la Grazia è la capacità di essere funamboli: stare in un equilibrio che cambia in ogni istante, mettere la cura per ogni dettaglio, fare un passo alla volta, giocare rischiando, attraversare la paura, essere sospesi e percepire una corda tesa con una chiara direzione ma dentro la quale poter comunque oscillare.

In che modo la danza, come la intendi tu, può influire sulla vita delle persone? Quali caratteristiche deve avere, alla luce anche di questa esperienza?
Spero, ovviamente, che l’influenza che ha questa pratica di laboratorio di danza sugli altri sia positiva e offra spunti personali di ricerca. La parola che mi viene spesso restituita è un senso di libertà.
Alla base degli incontri che conduco c’è un gran lavoro per rompere le barriere del giudizio e in qualche modo creare un “dialogo alla pari” (prendo in prestito questa definizione usata da una cara amica artista visiva, Anna Piratti, che ha creato un’opera fotografica chiamata proprio così: DAP – discorso alla pari).
La amo molto questa definizione perché descrive bene quello che amo nella danza: lasciare emergere la possibilità di “corpi danzanti e parlanti” sullo stesso piano, anche se tutti estremamente diversi e con capacità differenti, la capacità di destrutturare i ruoli, nell’era in cui il mondo è completamente destrutturato, la possibilità latente e invisibile di capirsi senza parole, senza suoni ma solo attraversando il gioco del silenzio dove il corpo è protagonista.
Saper giocare seriamente è una delle parole chiave. Avere quella dose di sano coraggio a non avere paura di perdere qualche cosa nel momento in cui fai “una cosa che gli altri dicono che è strana”. Spingersi verso la gioia può essere un atto rivoluzionario e faticoso.
Abbiamo praticato per ore come mantenere viva la follia che genera l’inaspettato e che lascia emergere nuove possibilità di reagire, seguendo un flusso fisico-emotivo di piacere e di sorpresa.
Abbiamo sperimentato strategie per far crollare aspettative, ansie di fare bene, paura di sbagliare; abbiamo cercato di ingannare i codici di movimento e di essere valorosi ribelli che non mortificano il corpo con ciò che non può fare, ma ascoltano nell’apparente limite e fanno emergere, in quel limite, il potenziale “danzante”. Gioco, intuizione e felicità.
Anche la parola felicità può spaventare, ma decido consapevolmente di usarla come parola coraggiosa da incarnare nella danza e nell’arte.
Le tre Grazie portano splendore, prosperità e gioia, per cui abbiamo cercato di influenzare in questa direzione il gruppo di lavoro.
Ho amato il lavoro che hanno proposto Matteo, Andrea e Siro al gruppo e la loro modalità di relazione. Insieme abbiamo cercato di portare il cuore e l’essenza di graces che è la relazione.

Quali saranno le prossime avventure di Zebra produzioni?
Zebra è una struttura complessa, che racchiude progettualità non solo mie ma anche di altri coreografi e coreografe, che sono Chiara Frigo, Andrea Rampazzo, Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Beatrice Bresolin ed Elena Sgarbossa. Ognuno di noi ha progettualità di danza che si articolano con spettacoli ma anche con formazione e laboratori, per cui Zebra ha molte attività nel 2021 sia in remoto che dal vivo.
Per quanto riguarda il mio lavoro, le prossime attività saranno il tour nazionale e internazionale di “Graces”, il debutto del nuovo spettacolo “Monjoiur” a Torinodanza e tante altre progettualità nuove, fra cui la collaborazione con l’Opéra de Lyon nel progetto “Danser Encore, 30 solos pour 30 danseur”.
Sarà un’estate intensa, e anche in autunno ci saranno nuove sorprese grazie a tante collaborazioni nate con artisti e artiste durante il periodo di lockdown del 2020.

Insieme a KLP, ha seguito l’iniziativa creando un diario di bordo, “Graces Anatomy”, il critico Michele Di Donato del magazine Pickwick.

Michele, quali sono stati i momenti della residenza che ti hanno più coinvolto?
Non saprei individuare un momento preciso di maggiore coinvolgimento; posso dire che si è trattato di un progressivo crescendo che si è sviluppato in modo molto naturale, di pari passo con il senso di armonia che percepivo si stesse creando all’interno del gruppo tra tutti i partecipanti. Sin dai primi giorni si è creato un clima di grande empatia, anche per me che ero lì discosto, e spesso “nascosto”.

In Italia la danza contemporanea è sempre stata considerata un po’ di nicchia. Come pensi che, un’iniziativa come questa, possa servire a renderla qualcosa di vivo e più universale?
Iniziative come questa – e aggiungerei anche come altre portate avanti da Silvia Gribaudi – hanno il pregio di veicolare un messaggio di inclusione e portarlo anche al di fuori dei luoghi convenzionali e prestabiliti. Sono semi gettati per poter fiorire, che possono contribuire ad allargare un cerchio di attenzione, uscendo dalla nicchia e “fomentando” una condivisione a macchia d’olio. Uno dei punti di forza di questo approccio, a mio avviso, sta nel facilitare senza semplificare, aprendo una strada possibile – e se vogliamo anticonvenzionale– alla relazione con l’altro.

E in che modo la critica può aiutare in questo senso?
La critica può aiutare la danza innanzitutto seguendola, magari evitando di considerarla la sorella povera del teatro. Prima di tutto perché anche la danza è teatro.

Tu, come critico, come ti poni davanti ad uno spettacolo di danza rispetto a uno di teatro che spesso possiede codici diversi?
Personalmente, come approccio, cerco di pormi dinanzi a uno spettacolo di danza come farei con uno spettacolo di prosa. Quel che cambia è la competenza specifica: penso che occorra evitare la superficialità, cercare di documentarsi, esercitare lo sguardo e provare ad acquisire gli strumenti per mettersi in relazione con un tipo di linguaggio che adopera una “grammatica” necessariamente differente da quella della prosa.

Vi lasciamo al video realizzato.

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