Darwin, Nevada di Marco Paolini: un’opera ambiziosa, ma confusa

Paolini in scena (ph: Masiar Pasquali)
Paolini in scena (ph: Masiar Pasquali)

In prima assoluta al Piccolo di Milano, con la regia di Matthew Lenton, un lavoro visivamente intrigante, ma senza coesione tra scienza e narrazione

La crisi climatica e quella del pensiero scientifico. Il filo che unisce tutte le specie viventi e la discontinuità nell’uomo razionale. C’era molta curiosità per “Darwin, Nevada”, il nuovo spettacolo di Marco Paolini, in scena al Piccolo Teatro Strehler fino al 16 febbraio. Un’opera che mescola temi scientifici, filosofici e sociali in una fusione intrigante, ma che, alla fine, non riesce a trovare una sintesi chiara. Il risultato è un’esperienza che lascia lo spettatore con più domande che risposte, e a tratti con un senso di inadeguatezza.

Il punto di partenza di “Darwin, Nevada” è un episodio realmente accaduto: nel 2001, i taccuini di Charles Darwin furono rubati dalla biblioteca di Cambridge, per essere misteriosamente restituiti nel 2022. Questo fatto diventa il pretesto per una riflessione sul pensiero evoluzionistico di Darwin e sulla scienza in generale, ma anche per trattare temi contemporanei come la crisi ecologica, le migrazioni e la perdita di razionalità nella società moderna.
La trama si sviluppa a Darwin, Nevada, un paesino abbandonato e decadente nel deserto americano. Qui, cinque personaggi (interpretati da Paolini, Clara Bortolotti, Cecilia Fabris, Stefano Moretti e Stella Piccioni) si incontrano e intrecciano le loro storie in un contesto di crisi ecologica e sociale. Tra di loro ci sono una biologa attivista e uno sceriffo, coinvolti in una catastrofe ambientale. Nonostante la presenza di personaggi interessanti e temi rilevanti, la narrazione (con la collaborazione di Francesco Niccolini e Telmo Pievani e la dramaturg Teresa Vila) appare dispersiva e poco approfondita. I temi restano solo accennati.

In questo lavoro (ideato con Niles Eldredge, James Moore, Niccolini, Pievani e Michela Signori), l’obiettivo di Paolini non è creare un biopic su Darwin, ma esplorare il processo che porta alla nascita di un pensiero razionale, libero da condizionamenti ideologici. In quest’ottica, “Darwin, Nevada” si inserisce nel percorso teatrale dell’autore, che da anni cerca di coniugare riflessione scientifica e impegno civile, come nelle sue opere precedenti “Il racconto del Vajont”, “Galileo” e “Bestiari”. Tuttavia, questa volta Paolini non riesce a sviluppare appieno il tema della scienza e del pensiero critico, lasciando una sensazione di incompiuto.

La regia di Matthew Lenton, pur visivamente suggestiva, non aiuta a dare coesione alla trama. Le luci evocative (di Kai Fischer), le immagini oniriche e la solitudine rappresentata dal camper che entra fisicamente in scena — trasformandosi in alcune fasi in un rasserenante interno domestico — contribuiscono a creare atmosfere surreali, ma sembrano fini a se stesse. La narrazione non sfrutta queste suggestioni per rafforzare il messaggio di Paolini e si perde in una serie di visioni senza un legame forte con il contenuto.
La riflessione sulla figura di Darwin è interessante, ma mai davvero sviluppata. Paolini cerca di presentarci un antieroe, lontano dalla retorica moderna, ma la riflessione sul suo metodo scientifico e sul suo pensiero rimane superficiale. In particolare, non vengono esplorati a fondo il conflitto tra scienza e religione, né le incertezze di Darwin nel formulare la sua teoria dell’evoluzione. La narrazione sembra voler trattare la difficoltà di vivere in un mondo che rifiuta la razionalità, ma non riesce a fare luce su come il pensiero scientifico possa rispondere alle sfide del nostro tempo.

Un altro tema rilevante trattato dallo spettacolo è la crisi ecologica, ma anche su questo punto la narrazione non trova una direzione precisa. La presenza della biologa e dello sceriffo, coinvolti in una catastrofe ambientale, avrebbe potuto rappresentare un’occasione per approfondire la riflessione sul cambiamento climatico e sulle sue implicazioni sociali, ma la connessione con la trama rimane vaga e poco sviluppata. Anche il contesto, sebbene potente nella sua suggestione, non viene sfruttato per generare una discussione profonda sul nostro rapporto con la natura e il nostro impatto sull’ambiente.
Il tema delle migrazioni viene solo sfiorato. Il paesaggio desolato di Darwin, Nevada, diventa simbolo di una frontiera in crisi, un luogo dove l’umanità è costretta a confrontarsi con la propria condizione di abbandono. Tuttavia, il conflitto che potrebbe derivare dall’incontro di personaggi con storie diverse non viene mai esplorato a fondo e la narrazione si perde in una serie di riferimenti vaghi e irrisolti. Anche il cast di attori secondari resta sottoutilizzato.

Il lavoro visivo di Lenton non basta a compensare le lacune nella trama. Le immagini oniriche sembrano più un fine artistico che un mezzo per rafforzare la riflessione di Paolini, che spesso si rifugia in una lingua veneta tanto marcata quanto gratuita. Il tema del silenzio e della riflessione perde forza tra le pieghe di un copione che sembra seguire troppe direzioni senza mai arrivare a un punto di arrivo, smarrendosi come gli animali alla deriva sulle Galapagos.
Un altro elemento enigmatico della drammaturgia è il riferimento a un incidente stradale, che pare alludere, ribaltandolo, a un episodio tragico che coinvolse Paolini alcuni anni fa. Questo inserimento, forse ricco di suggestioni e simbolismi per l’autore, non si integra nella trama e appare come una traccia superficiale, autoreferenziale e grossolana. Non chiarisce il proprio significato nel contesto, risultando foriero di ulteriori inquietudini.

In definitiva, “Darwin, Nevada” è un’opera che, pur trattando temi affascinanti e rilevanti, non riesce a creare un percorso drammaturgico chiaro e soddisfacente. La collaborazione tra Paolini e Lenton ha portato a uno spettacolo esteticamente interessante, ma senza un equilibrio tra la forma visiva e il contenuto filosofico e scientifico. Le immagini evocative non riescono a risolvere la mancanza di una narrazione solida, lasciando lo spettatore con una sensazione di inanità. La riflessione su scienza, evoluzione e crisi ecologica resta sospesa, senza mai raggiungere una comprensione più profonda o una chiara conclusione.
Un’occasione persa, per un’opera che avrebbe potuto affrontare temi urgenti e importanti, ma che finisce per deflagrare nella sua stessa, velleitaria, complessità.

Darwin, Nevada
Un progetto di Marco Paolini
Regia: Matthew Lenton
Da un’idea di Niles Eldredge, James Moore, Francesco Niccolini, Marco Paolini, Telmo Pievani, Michela Signori
Drammaturgia: Marco Paolini, con la collaborazione di Francesco Niccolini e Telmo Pievani
Dramaturg: Teresa Vila
Scene e costumi: Emma Bailey
Luci: Kai Fischer
Sound design: Mark Melville
Consulenza scientifica: Niles Eldredge, James Moore
Assistente alla regia: Virginia Landi
Con Marco Paolini e con Clara Bortolotti, Cecilia Fabris, Stefano Moretti, Stella Piccioni
Coproduzione: Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Vanishing Point, Jolefilm
In collaborazione con La Fabbrica del Mondo

Durata: 1h 30’
Applausi del pubblico: 1’ 50”

Visto a Milano, Piccolo Teatro Strehler, il 22 gennaio 2025
Prima assoluta

stars 2.5

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3 Comments

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  1. says: Ubaldo

    Visto ieri sera Completamente d’accordo con la recensione. In più, Paolini mi è parso molto sottotono, come se neppure lui fosse convinto di quello che diceva

  2. says: Paolo

    D’accordo purtroppo su tutta la linea.. questa volta lo spettacolo di Paolini è stato solamente bello esteticamente e poco approfondito. I sui soliti fantastici approfondimenti sul tema trattato non ci sono stati .. peccato perché il materiale c’era e lui ne aveva sicuramente capacità.. forse innamorato della parte estetica della rappresentazione che ho apprezzato davvero molto.

    1. says: Paola

      purtroppo ho dormito una buona ora… Diciamo che la mia reazione è stata forse “eccessiva”, ma dopo un po’ ho perso completamente interesse al lavoro. Non mi arrivava niente se non la scenografia interessante.
      Le sue parole, che all’inizio suscitavano interesse e curiosità, a mano a mano non mi dicevano più niente e mi sono ritrovata in un dormiveglia continuo.
      Capisco che non sia una recensione molto di concetti e di analisi, ma è stata la mia esperienza, piuttosto deludente