Five approaches to acting (nella traduzione italiana “Come passare dal testo alla scena. Cinque approcci alla lettura di un copione ad uso degli attori”, Dino Audino Editore) è quanto David Kaplan ha voluto formalizzare circa il suo metodo per condurre l’attore verso la messa in scena.
Regista di grande esperienza internazionale è fra i didatti che ha maggiormente contribuito a combinare tecniche di insegnamento del mestiere dell’attore eterogenee, ricollegando ciascuna teoria pedagogica con stili di scrittura e di spettacolo che ogni attore dovrebbe saper affrontare.
Il nostro incontro con lui è avvenuto durante il festival organizzato da Artimbanco al Castello Pasquini di Castiglioncello e altri siti dell’Alta Maremma toscana, giunto alla seconda edizione e intitolato – non a caso – Metodi: occasione unica in Italia per ascoltare le voci dei grandi insegnanti, che si sono confrontati con una platea di allievi internazionale.
David Kaplan è regista e tiene seminari di recitazione fin dal 1975. Ha insegnato a Bard, Clark, Hofstra, NYU, Colombia, Rutgers, all’Università del New Mexico, all’Università dello Stato del Mississippi, all’Accademia di Belle Arti in Siberia e all’Accademia di Arti Performative a Hong Kong, ottenendo riconoscimenti dalla Clark University e dalla Scuola di Arte Drammatica di Yale.
I suoi allestimenti di classici antichi e moderni in varie parti del mondo vengono non di rado realizzati con attori e nella lingua del luogo. L’istrionico maestro dirige, infatti, messe in scena che valorizzino linguaggi e setting indigeni. E’ del 2003 “The Eccentricities of a Nightingale” di Tennessee Williams (autore sul quale dirige il Festival di Provincetown a lui dedicato), realizzato in cantonese al Repertory Theater di Hong Kong, cui sono seguiti “King Lear” in lingua sufi nel Tashkent e nell’Uzbekistan nella lingua uzbek, “The Maids” di Genet in Mongolia, rappresentato in lingua mongola, “A Midsummer Night’s Dream” in Buryatia e in lingua buryat. Con gli sciamani in Russia Kaplan mise in scena la prima rappresentazione russa di “Auntie Mame” e di “Suddenly Last Summer”, così come di “Macbeth”. Senza dimenticare “The World of Ruth Draper”, della durata di nove ore e in un repertorio in 12 lingue, prodotto a Tokio, Monaco, Roma e Londra.
Oggi le sue opere sono state rappresentate in più di 40 stati americani, e in molti ricordano la sua direzione della celebrazione multietnica per Benetton a Central Park.
Andando al focus della masterclass di Metodi, di cui il video che proponiamo non può che restituire solo l’atmosfera, si potrebbe dire che il suo sistema di insegnamento si basa su una serie di punti di attenzione che rivitalizzano il lavoro sul testo, creando contrasti e punti di vista contrapposti. Ma è proprio dall’analisi degli opposti e dal processo di scelta che, secondo Kaplan, si arriva a “portare la sacralità del teatro sul palcoscenico, ad evocare quasi la presenza divina. E quando questo miracolo avviene, la sua potenza è innegabile”.
Dalle immagini all’introspezione e al gesto brechtiano, ogni suggestione trova spazio in questo percorso al centro del quale si pone l’autonomia dell’attore, che deve scegliere in prima persona e in ogni condizione, per quanto svantaggiosa, quale strada imboccare: deve riuscire ad alternare e sovrapporre percorsi spesso descritti come rigidamente esclusivi e logorati da una sorta di competizione ideologica.
Un artista così dinamico non potevamo che intervistarlo in movimento. E così è stato: on the road, fra una lezione e l’altra, a parlarci di quello che è per lui l’agire teatrale oggi.