Quando alla fine di uno spettacolo capita di chiedere un parere a dei frequentatori assidui del teatro, e uno di loro nicchia con una smorfia di disappunto, l’altro evita dichiarazioni a caldo neppure fosse un allenatore dopo l’esonero, di solito qualcosa di deludente è accaduto in scena.
Secondo passo di una trilogia che giusto un anno fa aveva toccato la figura del padre, Mario Perrotta continua l’esplorazione di ruoli e dinamiche familiari. In attesa dell’epilogo dedicato al figlio, il pluripremiato regista e attore salentino si occupa in questo 2020 del codice materno in “Della madre”, in scena nello spazio circolare del Piccolo Teatro Studio Melato.
Alla tipologia del monologo adottata in “In nome del padre”, stavolta Perrotta preferisce la forma del duetto. Forte di un sodalizio più che ventennale, l’artista salentino si presenta in scena con la fedele Paola Roscioli. L’alchemica consonanza tra i due attori è la nota più interessante dello spettacolo, insieme alla realizzazione delle scene di Fabrizio Magara e Maria Isabel Anaya. Paradossalmente, tuttavia, emergono più fissità in questo spettacolo a due voci che nel monologo triforme di un anno fa.
Agli antipodi dell’ingresso, due misteriose cupole bianche, sorta di seni o di igloo, sono unite l’una all’altra da un singolare corridoio di tessuto. Sembra la mitosi di due cellule che tentano faticosamente di distinguersi. Dalle loro sommità spuntano come capezzoli l’attore e l’attrice, l’uno nei panni di una nonna, l’altra della madre. Del resto, una nonna non è altro che una madre al quadrato.
La colonna sonora di questo spettacolo, costellato da delicatezza, gelosie e rivalità, inizia e termina con “Non credere” di Mina, modulata a cappella dai due attori che si fanno eco e controcanto.
Intrappolati nelle loro crinoline, i due bizzarri protagonisti disegnano un valzer di battibecchi, contese, schermaglie. Ne è oggetto una figlia magmatica, inafferrabile anche nell’età, che troviamo evocata solo attraverso gli stilizzati e filiformi contributi artistici del videomaker Hermes Mangialardo, e una manina negletta (di Yasmin Karam) che spunta nel mezzo della scena. Queste immagini si accendono e colorano dentro le enormi gonne a campana delle protagoniste. Sono installazioni immersive, animazioni che connotano di suggestioni oniriche il lavoro. Non bastano tuttavia a mascherarne i limiti drammaturgici, per dei contenuti che appaiono semplici e prevedibili.
Nonna e madre sono sin troppo schematizzate: legate l’una all’altra, inscindibili come gemelle siamesi, incapaci di scindersi anche quando configgono, sono cristallizzate nella stessa capanna-prigione dorata, e condividono anche la bimba, prigioniera come dentro una campana di vetro. Esprimono un bisogno d’accudimento ancestrale, fatto di cibo da somministrare, il lettone da condividere o negare alla piccola, una cacca da estorcerle come dono o supplica.
C’è anche un prevedibile cenno alle nefaste chat delle mamme su whatsapp, luogo di esasperazione delle paturnie, teatro di condivisione di un’educazione in cui i no sono banditi, e le medicine sono, con la stessa facilità, panacea per tutte le stagioni oppure minaccia mortifera.
In questo ritratto tutto al femminile, è bandito quasi ogni riferimento alla figura del padre. In questa sclerotizzazione ottocentesca, non c‘è traccia dei nuovi legami arcobaleno, e neppure della sempre più diffusa famiglia nucleare. È vero che «di mamma ce n’è una sola», ma Perrotta sembra prendere il proverbio fin troppo alla lettera.
Esiste qui l’isolamento di tre generazioni di donne, figlie (e due di loro madri) uniche, come se il mondo circostante non esistesse o si riducesse all’isteria di un messaggio vocale.
“Della madre” finisce così per apparire un carosello del buonsenso a buon mercato proprio quando vorrebbe invece stigmatizzare il permissivismo di madri inadeguate e la conseguente supponenza di figli bamboccioni.
Intrappolati nelle loro crinoline, i pur bravi attori si costringono a una performance imbalsamata non solo nelle pose e nei gesti, ma anche nel testo e nella mimica. Bloccati in una drammaturgia ripetitiva, stancante, intrisa di verità ovvie e luci smorte come una lampadina da abat-jour.
Pur con alcune sortite ironiche e qualche preziosismo ritmico, Perrotta e Roscioli nuotano nel proprio liquido amniotico senza particolari guizzi e senza il necessario ricambio. Così da far rimpiangere le articolazioni di “In nome del padre” o gli aforismi shakerati di Massimo Recalcati, consulente drammaturgico dell’intero progetto.
In scena ancora stasera e domani a Milano.
Della madre
uno spettacolo di Mario Perrotta, consulenza alla drammaturgia Massimo Recalcati
con Mario Perrotta e Paola Roscioli
e con Yasmin Karam
scene Mario Perrotta, costumi Sabrina Beretta
video artist Hermes Mangialardo
effetti speciali Laura Soprani, IMA SfxStudios
aiuto regia Yasmin Karam
realizzazione scene Fabrizio Magara, Maria Isabel Anaya
allestimento tecnico Emanuele Roma, Giacomo Gibertoni
sarta Maria Isabel Anaya
produzione Teatro Stabile di Bolzano, La Piccionaia Centro di Produzione Teatrale
organizzazione Permàr, in collaborazione con DUEL
grazie a Anna Gamberini, Diletta Guidi per l’interpretazione dei video
La Corte Ospitale, La Baracca, Piscina Comunale di Medicina
durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Piccolo Teatro, l’8 gennaio 2020