Il digitale secondo Teatrino Giullare e gruppo nanou, parte integrante del processo creativo

Il progetto di Teatrino Giullare
Il progetto di Teatrino Giullare

Uniche due realtà teatrali selezionate per questa terza edizione di Residenze Digitali, ci hanno anticipato i loro progetti, online dall’8 novembre

Nell’attesa che cominci, martedì prossimo, la terza edizione della settimana delle Residenze Digitali, approfondiamo il lavoro delle uniche due realtà provenienti dal mondo del teatro e della danza tra le sei selezionate quest’anno. Parliamo di Teatrino Giullare e gruppo nanou.
Sin dalla prima edizione si è notata un’estrema differenziazione nei profili dei vincitori del bando, spaziando da chi viene dal mondo del teatro e della danza, a chi invece ha compiuto percorsi nell’arte digitale e nella video arte, da chi si occupa di comunicazione a chi viene dai mondi della programmazione, del coding, del graphic design e dell’hacking. Anche per sottolineare queste differenze, ci focalizziamo oggi su queste due compagnie, la prima più vicina al mondo del teatro di figura, la seconda a quello della danza. 
Abbiamo rivolto un paio di domande a Giulia dall’Ongaro ed Enrico Deotti, fondatori di Teatrino Giullare:

Giulia, Enrico, il vostro percorso teatrale si è sempre contraddistinto per un lavoro “artigianale” con i materiali, le ombre, le figure. Poi, nel 2020, complice il lockdown, con il progetto “Diario dei Giorni felici (una serie di video in stop motion)” avete iniziato ad indagare il digitale. Cosa vi affascina di più di questo ambiente? Quali sono i rischi che percepite?
Ci affascina il fatto di poter utilizzare il digitale con i nostri metodi ed il nostro codice teatrale, quindi un’ulteriore commistione di tecniche, arti e linguaggi. E naturalmente è attraente la facilità di condivisione del lavoro che può avvenire istantaneamente. Ma intendiamo l’utilizzo della tecnologia digitale come parte integrante del processo creativo, principalmente come arte video cinematografica, e pertanto un interessante sistema di narrazione che stiamo utilizzando però anche teatralmente, con proiezioni al pubblico accompagnate da interventi performativi e sonori dal vivo. Il rischio è ingrassare da soli davanti ad uno schermo.

Avete vinto il bando Residenze Digitali con “Dronte tragico” (si comincia martedì 8 novembre alle ore 18 con un talk in diretta YouTube e a seguire i primi due episodi, nei giorni successivi gli altri), un progetto che vede un drone e una videocamera 360° al servizio dell’”Orestea” di Eschilo nella traduzione di Pasolini. Perché avete pensato a questi mezzi per questa specifica opera? Che tipo di esperienza volete far vivere allo spettatore?
L'”Orestea” è un’opera di visioni nel tempo e nello spazio, un incrocio di racconti del passato, di presagi, viaggi, fughe, accadimenti; l’intenzione è quella di amplificare la visione il più possibile, di allargare gli sguardi: si tratta di vedere intorno ai fatti da ogni prospettiva, da ogni punto di vista. Oreste è stato inviato da Apollo ad uccidere la madre e noi seguiamo il suo viaggio dall’alto: è un dio che lo spia? È un rimorso che lo accompagna? O è soltanto il volo del pensiero?
Come scrive Pasolini, l'”Orestea” è una trilogia tragica che, se pur contiene il divino, tratta questioni umane e civili attraverso il senso della giustizia e della verità, concetti scrutati sotto diverse angolazioni, dai punti di vista opposti dei vari personaggi. Ecco perché abbiamo realizzato i video a 360°, per permettere di esplorare lo spazio intorno, per sentire e vedere da diverse prospettive.


Mentre Teatrino Giullare si focalizzerà su un testo tragico e su un’esperienza di visione legata a una strumentazione specifica, gruppo nanou si concentrerà sulla coreografia di un movimento di ripresa. A tale proposito ho rivolto un paio di domande a Marco Valerio Amico, fondatore insieme a Rhuena Bracci e Roberto Rettura della compagnia.

Marco, domenica 13 – in diretta YouTube (doppia replica ore 18 e ore 21) dalle Artificerie Almagià di Ravenna – verrà presentato il primo studio di “Them [immagine-movimento]”, ossia la coreografia di un movimento unita a quella di un movimento di ripresa. Qual è stata l’idea iniziale e come l’avete sviluppata in questi mesi di residenza digitale?
L’idea di partenza è quella di capire come la telecamera può essere coreografata: l’immagine come movimento, come peso nello spazio, come vertigine dentro la coreografia poiché è coreografia lei stessa. Per questo motivo la camera mobile è in mano a Rhuena Bracci, co-coreografa con me del lavoro. Si è rivelato indispensabile che l’immagine fosse condotta coreograficamente e non indossata, come spesso immaginiamo quando parliamo di action cam.
Il lavoro è “costruire l’azione coreutica e costruire l’azione della camera”. Allenare l’azione della camera, tanto quanto il corpo perché trovi un’esattezza continua nello sguardo che, non più solo immagine, apre spazi e vertigini. È un continuo equilibrio tra l’azione dei due danzatori (Michele Scappa e Marina Bertoni) e l’altro corpo, la ripresa dal vivo, condotta da Rhuena.

Nel progetto Residenze Digitali, sin dalla prima edizione, una parte fondamentale è costituita dal tutoraggio con esperte di arti digitali. Com’è stata la vostra esperienza? Mi raccontate una o più tappe di questo dialogo?
Il rapporto con Laura Gemini e Federica Patti [l’altra tutor è Anna Maria Monteverdi, ndr] è preziosissimo. Aggiungo però anche il ruolo di Angela Fumarola, di Armunia, e di Carlotta Tringali di AMAT.
Con loro quattro si è aperto un dialogo profondo sul mezzo, sull’interlocutore, sul perché una scelta piuttosto che un’altra. Ci siamo permessi riflessioni sul linguaggio e, conseguentemente, sul mezzo da scegliere e utilizzare: ripresa orizzontale, ripresa verticale, instagram, youtube, tik tok, smartphone, desktop, quale utenza, che durata, quanto la camera mobile debba entrare in dialogo con camere fisse per trovare l’equilibrio di mostra dell’azione e quanto dell’azione stessa, a chi, come, perché.
Oggi, parlare di video, di streaming, di digitale, non è cosa semplice: i mezzi sono tanti, i dispositivi ancora di più. Sono moltissimi gli aspetti da valutare per comprendere cosa si ha intenzione di fare e come meglio può valorizzarsi l’opera in atto.
Come ho ripetuto più volte, da principio è stato strano rapportarsi continuamente con delle figure “esterne”. Per molti anni abbiamo lavorato da soli. Il confronto è spesso avvenuto internamente tra gli “attori” dell’opera e, con gli altri, solo a processo concluso o comunque ad apertura pubblica.
Di solito è con grande difficoltà che mi trovo a parlare di un progetto non finito, di un lavoro da cui ancora non sono riuscito a prendere le distanze, e quindi a misurarmi con esso a freddo. Sono molto rare le persone con cui si riesce e si desideri discutere del progetto nel suo farsi. Posso dire che Laura, Federica, Angela e Carlotta mi hanno permesso di misurare l’efficacia di un pensiero e l’aderenza con la sua messa in opera.

Anche le due realtà “teatrali” selezionate dal bando, quindi, ci mostreranno progetti molto differenti tra loro. L’invito è quello di partecipare a tutte e sei le restituzioni (compresi i lavori di Christina G. Hadley, Kamilia Kard, ultravioletto e BOTH Indutries). I biglietti costano 3 euro e possono essere acquistati qui.
Il programma completo della settimana delle Residenze Digitali.

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