Dignità autonome di prostituzione. Attori in vendita per restituire dignità al teatro

Sylvia De Fanti
Sylvia De Fanti
Sylvia De Fanti – La francese (photo: Kigiri)

Piccolo compendio per chi non ne sa niente: 30 attori (il numero è variabile, in base alle disponibilità degli stessi), chiamati a interpretare altrettanti personaggi in altrettanti monologhi.
Uno spazio (il più possibile grande e disposto a farsi utilizzare appieno) da riempire con quei 30 attori, che replicheranno il proprio monologo per gruppi ristretti (a volte ristrettissimi, a seconda dello spazio scelto) di spettatori. Tutto viene giocato seguendo la metafora del bordello, della casa chiusa alla francese, in stile “Moulin Rouge”. Allora alcuni attori sono nominati “maitresse” e hanno il compito di formare gruppi di spettatori, che scelgono la propria “prostituta” (vale a dire quale monologo hanno voglia di ascoltare). Le maitresse contrattano con i “clienti” il prezzo da pagare, raccolgono i soldi e conducono il gruppo nella stanza in cui gli attori offriranno la loro “prestazione”. Come si paga? Il biglietto d’ingresso viene cambiato con soldi finti, a mo’ di fiche da casinò, che si possono ricaricare presso le maitresse stesse. Non è sempre facile pagare una sola fiche a performance, alcune maitresse sono più avide di altre. E così ci si muove per una serata intera di stanze in corridoi, alla ricerca della “pillola del piacere teatrale”, come la chiama Lia, la direttrice del bordello (Sandro Giordano).
Risultato? Molti sono gli spettatori che spendono fino a trenta euro a cranio per vedere tutto il possibile.

Arrivo con già l’esperienza di un’altra edizione. Il format di Luciano Melchionna (che firma anche la regia) ed Elisabetta Cianchini – Premio Golden Graal 2008 e nomination nella sezione Teatro d’Innovazione agli ETI Olimpici del Teatro 2009 – è ormai al terzo anno di repliche, reinventando l’allestimento volta per volta a seconda dello spazio utilizzato.
Veniamo condotti in platea come anime in un assurdo inferno dantesco. La platea non è platea, le poltrone sono ammassate una sull’altra, la sala è avvolta in un fumo denso, umido, solcato da riflettori dl taglio netto, deciso. Si alternano, sul palco a sipario chiuso, performance di artisti ospiti (i bravissimi Arie Precarie – il tenore Eduardo Carlo Natoli e la pianista Simona Marino), un cantante in frac e mutande coperto di tatuaggi ci regala un po’ di swing, un altro (Gianluca Merolli) emette ottime note calandosi da un palchetto con una scala a pioli, un’acrobata si dondola su un’altalena che pende dal soffitto. Noi, rapiti. Poi Lia presenta ai clienti “prostituti e prostitute”, prima di dare il via alle contrattazioni.

Stipati in otto dentro un camper fermo nel cortile ci capita di assistere alle confessioni di come una precaria dall’accento francese sia diventata prostituta guadagnando dignità (Sylvia De Fanti – La Francese), ascoltiamo, seduti sulle scalette di un’uscita d’emergenza, il racconto delle ossessive e grottesche masturbazioni dell’efficacissimo onanista-suicida Angelo Tantillo. In un accogliente camerino ci commuove sinceramente il racconto di una Vergine Maria invecchiata nel suo non poter essere madre (Sonia Barbadoro – La Grazia); nel sottopalco, tra odore di umido e macchine sceniche in disuso, lasciamo che Lo Stregone (Giuseppe Rispoli) riporti il sorriso sul nostro volto segnato, in un ripido disimpegno in seconda galleria scopriamo che si può essere stuprati a 12 anni e costruire su quello il proprio carattere (Veronica Gentili – La Mejo de gnente). Infine a scavarci il cuore è la straziante afasia di Cristina Golotta (La Carla), che ci restituisce la vera esperienza di una madre impazzita per aver perduto la custodia del figlio.

Non avrebbe senso parlare troppo nello specifico delle singole performance, ma piuttosto vale offrire un assaggio della serata come corpo unico, come mostro famelico, evento che divora i propri spettatori.
Seduto in un angolo a prendere qualche appunto, molto prima che l’evento mi inghiotta, mi rendo conto che per queste repliche nel “grande teatro romano” non è stato pensato un allestimento alternativo. Radicale magari sì, ma non alternativo. Sembra che Melchionna abbia capito che il suo è uno spettacolo pop. Eccessivo, ossessivo, commercializzato. L’essenza del prodotto globale. Alla radice del progetto di “DADP” c’è il tentativo di “restituire dignità all’attore e alla sua performance”, in qualche modo di riportare la gente a teatro, offrendo un contatto ravvicinato con gli attori e con il loro talento. Il lavoro che Melchionna conduce sul proprio materiale umano è davvero notevole, per quanto tutti i monologhi (alcuni scritti da lui, altri dagli attori, spesso rielaborando classici da Dostoevskij a Philip Roth) spingano per una buona riuscita sull’acceleratore dell’effetto prossimità. Niente da eccepire, è giusto così, è uno stile, una scelta.

Chi, tra gli spettatori, ha ben chiaro il lato in fondo “semplice” del monologo “Occhi-negli-occhi”, preferirà gustarsi quegli attori che scelgono le strade più impervie, dall’Onanista che non guarda mai negli occhi e sembra davvero chiuso in un bagno a masturbarsi allo Stregone che uno sguardo vero non ce l’ha, fino alla Carla che sceglie come medium la gola strozzata, i movimenti da dinosauro ferito, la fissità del corpo scenico, più interiore che esteriore. Molto sottile è il gioco che sta alla base di tutto: corre su un filo di anti-teatralità dall’equilibrio instabile, genere molto meticcio, tra l’avanspettacolo alla drag-queen, il cinema alla Pasolini e il teatro “in-yer-face” britannico. Il più delle volte le energie funzionano e reggono bene, per quanto a volte l’equilibrio di tutto l’evento profumi di fortuita casualità. Bisogna riconoscere che le ore volano e la mezzanotte arriva in un soffio.

Poi i clienti sopravvissuti – la gran parte – vengono radunati nuovamente nella sala. E qui inizia il “gran finale”. Quello che, per molti versi, rischia di rovinare il resto. Dopo la proiezione di un video istituzionale sul “riportiamo la gente a teatro”, sul palco sale Momo (cantautrice qui in veste anche di attrice) che ci regala qualche bel duetto con H.E.R. (artista eclettica dal violino etereo), poi interviene una rediviva Mariella Nava, che sbrodola troppo. È il turno di Cerebro (Gabriele Guerra, una delle maitresse) e tutto comincia a virare sull’avanspettacolo. Una coda interminabile di gag si protrae per un’ora abbondante, senza trovare davvero un proprio senso all’interno della serata. A freddo ne parlo con qualcuno degli attori, sento dire che è un modo per dimostrare che il teatro – anche quello delle grandi platee – non è più “ingessato”, che regna l’anarchia, lo spazio libero. Che è importante “l’alternanza tra riso e pianto”. Eppure questo compito era assolto già bene dai monologhi stessi, quell’alternanza resiste anche solo nello stacco (straniante) che c’è tra il momento delle performance e quello in cui gli attori accolgono i complimenti, se li incontri in corridoio a fumare una sigaretta. È tutto molto originale, ha tutto dentro, mentre un finale sguaiato mette a repentaglio quella magia meta-teatrale che rischiava di svanire già programmaticamente. O forse soltanto volevamo avere la libertà di tornare a casa con dentro gli occhi e il cuore qualcosa di diverso dallo spettacolo frontale, con cui il “gran finale” finisce per foderarci gli occhi e stancarci il cuore.
Esperienza comunque necessaria per chiunque ami il teatro di questa contemporaneità.

DIGNITA’ AUTONOME DI PROSTITUZIONE (ed. 2010)
uno spettacolo di Luciano Melchionna
dal format di Elisabetta Cianchini e Luciano Melchionna
luci: Camilla Piccioni
costumi: Michela Marino
assistenti alla regia: Roberta Caldironi, Roberto Saura, Luca Setaccioli, Renata Malinconico
organizzatore: Antonio Cappelli
direttore tecnico: Manuel Pietrangeli
interpreti di questa edizione: Tiziana Avarista, Sonia Barbadoro, Stefania Bassino, Gaia Benassi, Lina Bernardi, Petronela Buchila, Giovanni Maria Buzzati, Elisabetta Cianchini, Domiziano Cristopharo, Gianluca D’Ercole, Sylvia De Fanti, Valentina De Giovanni, Clio Evans, Francesca Francofonte, David Gallarello, Veronica Gentili, Sandro Giordano, Cristina Golotta, Gabriele Guerra, H.E.R., Désirée Infascelli, Giulia Innocenti, Anna Maria Loliva, Luca Longobardi, Salvo Andrea Lucifora, Milena Mancini, Fabio Mascagni, Gianluca Merolli, Teresa Micarelli, Cristina Moglia, Momo, Valerio Morigi, Andrea Napoleoni, Massimiliano Nicosia, Emma Nitti, Federica Principi, Alvia Reale, Antonia Renzella, Giuseppe Rispoli, Paola Sambo, Federica Stefanelli, Sandro Stefanini, Angelo Tantillo, Adele Tirante, Nella Tirante, Silvia Torino

Visto a Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman, il 29 aprile 2010

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  1. says: Francesca

    ora mi è più chiaro, e ti ringrazio per la tua disponibilità al chiarimento….
    io c’ero quella sera al Quirino e non sapevo che ci sarebbe stata Mariella come ospite; ero capitata li un pò per caso, e francamente vista la poche apparizioni sue, sono stata piacevolmente sorpresa ed ho molto gradito; ma appunto perchè non mi capita MAI di vederla in giro….capisco che forse il contesto non era dei più consoni, ma probabilmente sono stata di parte nell’apprezzarla.

    Nel salutarti spero di leggere (prima o poi) qualche tua recensione che ponga l’accento sui tanti “redivivi” che non si meritano di essere tali….

  2. says: sergio

    carissima francesca
    assolutamente d’accordo con te quando dici che “esiste molta più qualità in chi non si vede mai (come la rediviva) che in chi calca palcoscenici e trasmissioni di ogni tipo”.
    secondo me davvero non hai capito il senso di quello che ho scritto.
    Io non so se c’eri quella sera al Quirino, ma davvero l’intervento di Nava – ma in generale tutta la coda, da lei in poi – era “in più”. Quando dico che “sbrodola troppo” non do necessariamente la responsabilità a lei, artista di tutto rispetto alla quale è stato chiesto di fare un intervento. In uno spettacolo come DADP do quasi tutta la responsabilità a Melchionna, che ne è (fin troppo accreditato, dal momento che gli attori stessi lo nominano e lo chiamano in causa ogni due per tre) ideatore, regista, architetto, chiamiamolo come vogliamo. Ne ho discusso anche con lui direttamente, lo ripeto qui: se uno spettacolo funziona fino alla fine e proprio alla fine rovina un equilibrio difficile da raggiungere ma conquistato con unghie e denti (come in questo caso) solo per voler a tutti i costi aggiungere degli inserti che – c’è poco da fare – sono “in più” come qui era tutta la coda finale, la responsabilità è del regista.
    Se parlavo nel dettaglio degli interventi di Momo, di Nava e del resto degli artisti protagonisti di questa “coda” di spettacolo non era per mettere sotto processo le loro qualità di artisti (tutte rispettabili), bensì la scelta del regista di inserirli in un momento sbagliato e dando ai loro interventi uno sbagliato peso.
    Capisci? Non c’è assolutamente niente di fuori luogo in Mariella Nava (se non forse la durata del proprio intervento anche solo in rapporto a quelli che l’avevano preceduto), se la chiamo “rediviva” è perché è da molto che non sta sulla cresta dell’onda mediatica. Sono il primo a preferire l’arte di Nava a tanti pupazzi russi che ciondolano in tv (per quel poco che la guardo) e a teatro (per quel molto che vedo). Ti direi piuttosto che, con una messa in gioco del genere, non le si faceva certo un favore. Ho visto più di un gruppo di persone sbuffare durante i 7 minuti di uno dei suoi pezzi. E non semplicemente perché non gradissero il brano (un paio non sono piaciuti nemmeno a me), ma perché il suo intervento era I N T E R M I N A B I L E . E in uno spettacolo corale come questo la colpa non del singolo artista, ma del direttore.

  3. says: Francesca

    …scusa ma dall’articolo non si capisce assolutamente che non è riferito a Mariella Nava nè come artista nè come persona; e non credo di essere stata l’unica ad aver capito “male”….. 🙂
    come amante della musica d’autore mi piacerebbe vedere valorizzato lo spessore dei veri artisti, a prescindere dal gusto personale e dal furor di popolo (e reality)….
    esiste molta più qualità in chi non si vede mai (come la rediviva) che in chi calca palcoscenici e trasmissioni di ogni tipo; e mi rivolgo a giornalisti come te perchè siete voi ad avere la possibilità di farlo; ed esistono persone come me che sono “stanche” di dover subire ciò che “funziona” meglio…
    …mi sembri un professinista che tratta eventi particolari e poco mediatici, e quindi quale cosa migliore che far perno su chi “pesca” nella qualità delle cose per dar voce al popolo della nicchia?
    …grazie per l’ascolto 🙂
    ps: mi fa piacere che Mariella ti piaccia….

  4. says: sara

    Bè, io direi che GAS era molto buono, ho visto Dignità Autonome di P e devo dire che “la Grazia”l’ho trovata una delle pillole migliori. Scritta ottimamente, intrepreatzione eccelsa. E’ scritta credo dalla donna dalla Cianchini e si vede… nel senso che ha una “lettura” del vissuto di una donna diverso e più vero… volevo vedeere Anya, appunto ma è sempre piena. Credo che l’operazione sia geniale e che Melchionna “funzioni” e la gente ci va e da altri spettatori so che ormai è una specie di “cult” sempre pieno. Insomma se dovesse servire a riportare le persone a teatro… perché no??Si, il finale un po’ patethic… era meglio finire prima… ma tutto non si può volere… si va via prima!!
    ; )

  5. says: sergio

    Carissima Francesca, mi dispiace tu abbia preso così male il mio commento. Penso fosse chiaro a tutti che non era riferito a Nava come artista (che può piacere o non piacere… a me ad esempio piace e che è indubbiamente un’artista degna di questo nome), mi riferivo al suo intervento “nell’economia dell’evento Dignità”.
    Non Trovo fosse un commento poco professionale, dal momento che assolutamente non attaccava la professionalità della cantautrice.

  6. says: Francesca

    ….una rediviva Mariella Nava che sbrodola troppo?!?!?!…sarebbe stato meglio che non la chiamasse neanche in causa piuttosto che “scrivere” un commento così poco professionale e totalmente privo di fondamento….
    ce ne fossero di più di professioniste come lei!!!

  7. says: Bruno Bianchini

    Caro mejoInanimo.
    Abbiamo riflettuto per un po’ sull’eventualità di lasciare inalterato o censurare del tutto il tuo commento (cosa che KLP non ha mai fatto). Alla fine abbiamo deciso di lasciare solo la parte pertinente all’ambito prettamente artistico. Tutto ciò che riguarda altre argomentazioni, politiche o personali che siano, per quanto condivisibili possano essere, potrai tranquillamente scriverle all’interno del tuo blog, denunciarle alla pubblica autorità o in qualsiasi altra sede che non sia questa, in particolar modo se ti prendi la libertà di dare del “criminale” a qualcuno mantenendo un rassicurante anonimato. Con un commento del genere (non firmato e dunque non riconducibile a nessuno) l’unico soggetto a cui puoi creare dei problemi è questa testata.
    Ma ti dirò di più. Personalmente (non è questo il caso anche perchè non ho mai visto lo spettacolo in questione), sarei pronto a dare cinque stelle ad uno spettacolo meraviglioso ed urlare al miracolo (ripeto, non è questo il caso ed è un’opinione strettamente personale) anche fosse stato finanziato dalla Sacra Corona Unita, da Bin Laden o da Topogigio.

  8. says: mejoInanonimo

    …uno spettacolo che non invente nulla e che propone per la maggior parte testi brutti(scritti da lui) e attori non tutti all’altezza -ma questo capita e puo’ capitare.
    Luciano Melchionna con i soldi pubblici del ministero dei beni culturali ha realizzato due orrende orribilanti pellicole al secolo ” GAS e Ce n’è per tutti” questo ultimo entrato nella classifica dei film /flop più brutti dell’anno (o della storia?)


    Il signor Luciano Melchionna è realmente un povero incapace (artisticamente).
    Mi spiace che un blog/sito / o gionale possa gioire di un modello di teatro anni 70 totalmente copiato e inpopolare per il pubblico che è costretto a pagare un biglietto iniziale di 15 euro per poi essere costretto a dover “ricaricare di dollarini ” il credito per non vedersi costretto ad uscire dopo aver visto al massimo solo 20 minuti!
    Lo trovo detestabile.

  9. says: mejoInanonimo

    Che miseria che un criminale come Luciano Melchionna possa essere lodato per uno spettacolo che non ha inventato ma copiato che non invente nulla e che propone per la maggior parte testi brutti(scritti da lui) e attori non tutti all’altezza -ma questo capita e puo’ capitare.
    Luciano Melchionna con i soldi pubblici del ministero dei beni culturali ha realizzato due orrende orribilanti pellicole al secolo ” GAS e Ce n’è per tutti” questo ultimo entrato nella classifica dei film /flop più brutti dell’anno (o della storia?)
    Luciano Melchionna fa parte del giro di indagati ( non ancora lui direttamente ma non ci vorrà molto -spero) che ha visto coinvolti Il sig. Angelo Balducci ( di cui il figlio Lorenzo gia’ protagonista dei due preziosi film di Melchionna incarna bene fin qui le orme paterne- Diego Anemone e tanti altri…oltre a risultare nelle intercetazioni che vedono da Leone (RAI -cinema)
    I suoi film sono stati indiscutibilmente finanziati dallo stato per scambi di favori fatti ai piani altissimi tra l’ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ( Angelo Balducci) e i vari signori signorini che capeggiavano negli uffici del ministero dei beni culturali, scopo di questi favori era mettere Il figlio Lorenzo come protagonista ed in cambio ottenere l’ingresso nel glan dei favoriti per le costruzioni le case gli arredamenti e tutto cio’ che compne un vero e proprio clan che forse ora sta venendo fuori.
    Oltre tutto questo, il signor Luciano Melchionna è realmente un povero incapace (artisticamente).
    Mi spiace che un blog/sito / o gionale possa gioire di un modello di teatro anni 70 totalmente copiato e inpopolare per il pubblico che è costretto a pagare un biglietto iniziale di 15 euro per poi essere costretto a dover “ricaricare di dollarini ” il credito per non vedersi costretto ad uscire dopo aver visto al massimo solo 20 minuti!
    Lo trovo detestabile.