Disintegrazione 2.0. Mescolare i linguaggi per scandagliare l’umano sentire

Ph: Marco Ghidelli
Ph: Marco Ghidelli

Il collettivo Electroshocktherapy (EST), dopo la Biennale di Venezia, arriva a Caserta

Gragnuola di suoni, parole, immagini, ombre, effetti, distorsioni: un loop ininterrotto di stimoli parcellizzati e indirizzati verso lo spettatore, tal che si ritrovi investito da una sequela di impulsi sensoriali. “Disintegrazione 2.0”, progetto del collettivo Electroshocktherapy (EST), prodotto con il sostegno di Mutamenti/Civico 14, questo è e questo dichiara di essere sin dal titolo, ovvero una elaborazione composita della poetica del frammento. Commistione di arti e generi, sintesi cercata tra musica, teatro, visual art, composizione scomposta e sminuzzata che agisce con l’intento d’entrare sottopelle, sfuggendo scientemente all’ipotesi di una decrittazione logica, sequenziale e immediata, e offrendosi invece ad interpretazioni a ventaglio, demandando alla sensibilità di ciascuno la significazione di segni e parole. Sicché, nell’infinita variabilità della soggettività, ogni sguardo e ogni sensibilità si può soffermare su un momento, su una frase, su un’immagine, su un passaggio sonoro; oppure lasciarsi avvolgere e trascinare dal procedere complessivo di quanto accade.

Già, ma cosa accade? Come si compone questa disintegrazione?
Partiamo dalla genesi: il progetto nasce in pieno lockdown pandemico (2020) e mette insieme, provando a portarle a sintesi, competenze artistiche tra loro contigue perseguendone l’ibridazione. Ne nasce una creazione spuria, di difficile catalogazione (e di conseguenza difficilmente distribuibile: è teatro? è musica? è video arte?), ma forse proprio per questo utile a suggerire – anche – una riflessione su una distinzione tra le arti che non continui ad essere troppo netta e marcata, ma anzi possa allargarsi, rinunciando al confino dei compartimenti stagni.
Dal proprio abbrivio lo spettacolo prende forma e vita, dapprima come studio, raggiungendo due volte la Biennale di Venezia (nel 2022 e nel 2023, in un formato di quindici minuti), per poi progressivamente acquisire struttura più corposa e conchiusa, pur concedendosi possibilità di cambiare e rimodularsi ad ogni replica.

Lo spettacolo: si entra in sala; un velatino già divide la scena dalla platea. Su di esso si proiettano accenni di psichedelia, mentre alle sue spalle si scorge una consolle; da lì opereranno Paky Di Maio e Francesco Zentwo Palladino, rispettivamente alla cura del suono e a quella del mapping; davanti a loro Ilaria Delli Paoli, performer a tutto tondo immersa in una mise dark, dalla cui voce s’irradierà il corredo sonoro della rappresentazione.
Le luci sono basse, l’atmosfera è fumosa d’avvolgente penombra, come a voler suggerire di socchiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da quell’ininterrotto flusso di suggestioni, miscuglio di suoni, sequenza d’immagini in sovrapposizione, combinazione di parole. Il tutto compreso nello spazio angusto e chiuso di un cubo scenico, facilmente leggibile come specola metaforica dell’umana interiorità.

Scandaglio del lato oscuro, cupo barbaglio di una o di tante anime immerse nella notte, nell’erebo angosciante dei pensieri più esiziali, “Disintegrazione 2.0” pulsa nella intensa interpretazione dell’attrice, che guida e gestisce in scena i tempi tecnici ed emotivi della rappresentazione. Le immagini in proiezione le si sovrappongono, mentre la voce si modula seguendo il flusso emozionale di ciò che esprime. Le parole sono tante (ma non troppe) e sono d’autore, spaziano da Giovanni Testori a David Bowie, da Mariangela Gualtieri ad Anne Sexton, dai Cure ai Joy Division e, a volervi riscontrare un rivolo carsico che le attraversa, appaiono imperniate su un’introspezione esistenziale volta a risvegliare incubi ancestrali per affrontarli, quasi per mettercisi in dialogo e catarticamente superarli.

In ciò la forza evocativa del frammento gioca un ruolo fondamentale per come sminuzza in brandelli ogni passaggio, ogni tormento espresso, ogni timore palese o latente, consentendo di assaporarlo e concedendogli di risuonare; viaggio dell’anima, che in scena non ha sembianza ma essenza, perché chi se ne fa veicolo e interprete non sta lì a costruire un personaggio, ma a farsi vettore di senso profondo, di inquietudini sottili e radicate (“L’unica cosa di cui aver paura è la paura”) che appartengono non ad un individuo, ma all’essere umano tout court.
C’è un che di doloroso e funesto che trapela dal procedere testuale, visuale e sonoro, venature grigiastre di una cupezza che permea l’atmosfera. Ma che pure finisce per lasciare, nel suo epilogo, una labile traccia di speranza per una possibile rotta verso un nuovo inizio.

Da “Disintegrazione 2.0” si esce frastornati, in preda ad una forma di spaesamento che sembra ingiungere allo spettatore il buon proposito di sospendere il giudizio e lasciar sedimentare il lascito della suggestione, concedendosi il margine di ascoltarne la risonanza in un tempo successivo e variabile. Potendoci ritrovare schegge di sé, schegge d’umano che si conservano ingabbiate nel profondo dell’anima.

Disintegrazione 2.0
un progetto di Electroshocktherapy (EST)
voce Ilaria Delli Paoli
progetto sonoro Paky Di Maio
visual Francesco Zentwo Palladino
scene Antonio Buonocore con Nicola Bove
costumi Alina Lombardi
tecnico audio Lorenzo de Gennaro
foto Marco Ghidelli
con il sostegno di Mutamenti / Teatro Civico 14

durata: 1h
applausi del pubblico: 2’ 40’’

Visto a Caserta, Teatro Civico 14/Spazio X, il 26 novembre 2023

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