Dulan la sposa: Valerio Binasco rilegge le relazioni amorose di Melania Mazzucco

I protagonisti di Dulan (ph: Luigi De Palma)
I protagonisti di Dulan (ph: Luigi De Palma)

In prima assoluta al Teatro Stabile di Torino, il dramma noir che fece vincere alla Mazzucco il Prix Italia 2001 per il miglior radiodramma europeo

La tragedia si è consumata e, a pochi minuti dall’inizio dello spettacolo, tutto è già svelato. Nessun effetto sorpresa. I ruoli appaiono subito chiari: c’è una giovane vittima (donna, straniera, bella, priva di documenti, priva di mezzi, priva persino di un nome), un carnefice (uomo, benestante, di mezza età, che per lavoro ha viaggiato molto, in procinto di sposarsi) e una donna (benestante anche lei, non più giovane) che, pur di non mandare all’aria il tanto atteso matrimonio, finge di non sapere, e tacitamente accetta il ruolo di complice.
Ci si appresta dunque, attraverso un lungo flashback, a ripercorrere gli eventi e i meccanismi che hanno determinato la tragedia, per scoprire poi che quei ruoli non sono così chiari e definiti.

“Dulan la sposa” è il testo della scrittrice Melania Mazzucco, scritto nel 2001 per la radio (e vincitore del 53° Prix Italia come miglior radiodramma europeo), nuova produzione del Teatro Stabile di Torino che ne ha ospitato il debutto, per la regia di Valerio Binasco.

L’uomo si trova a poco a poco invischiato in una relazione clandestina che, iniziata con grande leggerezza e fondata su giochi di sesso e potere, lo trascina progressivamente verso il fondo, lui che il fondo lo aveva già toccato anni prima – senza tuttavia serbarne neppure memoria -, abusando di una bambina indiana in uno dei suoi viaggi di lavoro.
La progressiva discesa di questo personaggio verso il Male, il suo disfacimento fisico e morale, il suo tormento e squallore sono mirabilmente restituiti dall’interpretazione di Valerio Binasco.

La ragazza, usata, abusata, umiliata, picchiata, violentata e infine annegata, mostra per il suo carnefice una tale abnegazione che non può spiegarsi se non con l’assoluta deprivazione di identità e volontà, salvo poi scoprire che quest’essere innocente ha compiuto scientemente un lungo viaggio con l’intento di ritrovare l’uomo che da piccola l’aveva violentata per farsi risarcire, diventando – anche se solo per gioco, anche se solo per un istante, anche se “non vale perché non ci sono i testimoni” – la sua “dulhan”, termine indiano che indica la sposa.
Il corpo è l’unica arma che possiede, e lei lo sa usare.
Cristina Parku veste i panni di questa ragazza con grande passionalità. Tuttavia disorienta, dal punto di vista drammaturgico, la scelta linguistica di attribuirle un italiano sgrammaticato e stereotipato, a tratti finto, dalle inflessioni più africane che indiane, come invece emerge dal testo e perfino dal titolo dello spettacolo.

La sposa “ufficiale” è un’ottima Mariangela Granelli. Difficile però sentire vicino il personaggio e quindi comprendere a pieno le ragioni che la guidano ad accettare l’accaduto.
La drammaturgia si conclude, in maniera forse un po’ ridondante e allo stesso tempo affrettata (ci sarebbe piaciuto uno sviluppo più articolato), con la riproposizione della scena iniziale, uguale e identica, e la scelta da parte della donna di stare accanto al suo novello sposo, nonostante si tratti molto probabilmente di un assassino, sicuramente di un mostro.
Binasco parla, nelle note di regia, di “tre diverse patologie dell’amore” e non a caso cita i “Frammenti di un discorso amoroso” di Barthes, una sorta di catalogo sulle figure dell’amore con riferimenti letterari, linguistici e psicanalitici volutamente frammentati ed incompleti, in cui emerge come – in una relazione – si proietti sull’altro/a un’immagine non reale che ci si è costruiti, e che si pretende di affibbiare all’altro/a.

Interessante ed elegante la scelta registica di coreografare alcune azioni, mimandole, senza l’appoggio di alcun oggetto concreto ma con il solo ausilio dell’immaginazione e di suoni fuori campo, come lo spogliarsi o il lavarsi nella vasca da bagno, o come la mise en place della tavola e, a seguire, la devastazione della stanza. In contrasto, tuttavia, con altri momenti in cui la scelta va in direzione opposta e si fa realistica, quasi cinematografica, con quel croissant vero, la bottiglia di whiskey, il materasso trascinato (inverosimilmente) per cinque piani dalla futura moglie…
Percepiti come veri, potentemente corporei e violenti, sono gli atti sessuali.

In tema l’allestimento scenografico di Maria Spazzi. Bianca l’elegante serie di cornici poste in prospettiva, che definiscono l’alloggio in cui la vicenda prende forma, bianca la porta in fondo, la sedia, bianco il divano a due posti, il tavolo, bianco l’abito da sposa, a sottolineare il candore di una coppia apparentemente “perbene”. E ad esaltare il noir di questo dramma senza tempo.

In scena dal 16 al 20 novembre al Teatro Sociale di Brescia per poi proseguire la tournée per l’Italia.

DULAN LA SPOSA
di Melania G. Mazzucco
con (ordine alfabetico) Valerio Binasco, Mariangela Granelli, Cristina Parku
regia Valerio Binasco
scene Maria Spazzi
costumi Katarina Vukcevic
luci Alessandro Verazzi
suono Filippo Conti
assistente regia Carla Carucci
assistente scene Chiara Modolo
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 29 ottobre 2022
Prima assoluta

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