Čechov concertato da Fabiana Iacozzilli: luci e voci di un nuovo Gabbiano

Il Gabbiano (photo: Emanuela Bongiovanni)
Il Gabbiano (photo: Emanuela Bongiovanni)
Il Gabbiano (photo: Emanuela Bongiovanni)

A un amante della musica classica non dispiacerà ascoltare per la quindicesima o ventesima volta il Primo Concerto per pianoforte di Čajkovskij se potrà godere di un’orchestra rinomata, lasciarsi guidare dalla lettura di un direttore intelligente e sensibile, conoscere il tocco di un pianista-rivelazione, o riassaporare quello di una vecchia, solida gloria della tastiera.

In maniera analoga, in questo “Gabbiano” di Čechov, il direttore intelligente e sensibile è Fabiana Iacozzilli, giovane regista che può vantare già interessanti esperienze (con Pierpaolo Sepe e Luca Ronconi) e anche successi.

Iacozzilli veste i suoi attori e li fa agire con costumi e attrezzeria contemporanei, spesso volutamente volgari, ambientando i primi tre atti del dramma russo in uno spazio squartato, aperto fino ai muri di quinta e al retropalco dove, tra oggetti di risulta di altri spettacoli e intrusi simbolici posizionati ad hoc, accumula un ingombrante bric-à-brac, una pattumiera dei cervelli e del passato di casa Sòrin, ossia di quella tenuta estiva dell’ex impiegato statale attorno a cui sono ambientati i primi tre atti del testo.

L’ultimo atto, che il drammaturgo voleva separato di due anni, lasso che il giovane Konstantìn Gavrilovič Treplev – divenuto ormai uno scrittore misterioso e apprezzato – ripercorrerà narrandolo, torna ad essere incorniciato dalle quinte e dal fondale, issati in parte a scena aperta.
Si ricompone quindi alla bell’e meglio l’impietoso cedimento di ogni interiorità che i primi tre atti avevano saputo mostrare, così come l’esposizione dello squallore di ciascuno rientra in una più conveniente cornice.

Il pianista di questo concerto cechoviano, in parte rivelazione e in parte glorioso, è una compagnia di valore. Gli attori seguono perfettamente la linea, pur con differenze talvolta inaspettate negli esiti – si confronti lo stile di Benjamin Stender, un Konstantìn lineare e quasi paradossalmente rassicurante, con l’inquietante Trigorin di Paolo Zuccari, e ciascuno spettatore si chieda se la differenza sia spiegabile con un’interpretazione non del tutto condivisa o, al contrario, con un’operazione di scollamento volutamente ambiguo, a causa del quale gli attori, per brevi momenti, pare costruiscano la loro parte piuttosto che il dramma.

Francesca Farcomeni, come Irina Nicolaevna Arkadina, ottiene il risultato più convincente, facendosi centro di gravità della drammaturgia in scena: ogni vezzo, ogni debolezza, ogni rimorso e ogni squallido trucco psicologico, anche i più allignati in una quotidianità borghese ottocentesca, vengono tradotti – con una finezza spietata che rivela vista acutissima – in un atteggiamento naturalmente contemporaneo, comprensibile, grazie anche all’ambientazione e al costume, non esente da un citazionismo intelligente, ironico.

L’orchestra è qui rappresentata dal disegno illuministico che Hossein Taheri ha saputo concertare per la Iacozzilli, che seziona lo spazio dipingendo linee per tracciare separazioni, diluendo colori per far emergere inclinazioni, mostrando di conoscere bene la necessità di una tranquilla se pur non serena stasi: uno spazio che gli attori meritano non meno che l’accompagnamento di cui le parole abbisognano, punteggiandone lo sfondo affastellato di trovarobato, con macchie e striature simili alle inevitabili grinze che l’agire, il dover essere e il “destino” creano nella loro quotidiana collisione, costruendo tratti di spettacolo come una calcolata sinestesia, intraducibile, tra il vedere e l’udire. Per finire poi, solidale all’improvviso sprofondare degli eventi, in un buio improvviso sullo scoppio della rivoltella con cui Kostantin si ammazzerà. E un unico solitario fascio allungato su quello che, nel frattempo, da cadavere s’è fatto penoso “simbolo simbolista”: il gabbiano.

IL GABBIANO
di Anton Cechov
regia: Fabiana Iacozzilli
con: Simone Barraco, Jacopo Maria Bicocchi, Elisa Bongiovanni, Luigi Di Pietro, Francesca Farcomeni, Guglielmo Guidi, Anna, Mallamaci, Ramona Nardò, Benjamin Stender, Paolo Zuccari
collaborazione artistica Matteo Latino
regista assistente: Marta Meneghetti
aiuto regia: Giada Parlanti
assistente alla regia: Gabriele Paupini
scene: Matteo Zenardi
disegno luci: Hossein Taheri
costumi: Gianmaria Sposito
La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
in collaborazione con Compagnia Lafabbrica

durata: 120′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Roma, Teatro Vascello, il 22 gennaio 2015

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