Nato dalla collaborazione con Flores Teatro Danza e Alex Chavez Flores, lo spettacolo arriva per la prima volta in Italia, ospite della rassegna Resistere e Creare del Teatro della Tosse di Genova
Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta.
Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce.
A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati.
A non divenire uno sgomitatore sociale a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo in questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente (figuriamoci il futuro), a tutti i nevrotici del successo dell’apparire del diventare.
A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde.
E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.
Pier Paolo Pasolini
Ogni uomo è solo sul suolo della terra e ogni uomo ha voglia di raccontare la propria storia; a volte il racconto è la storia di un successo, altre volte può essere un intreccio a lieto fine, altre ancora una vicenda tragica.
Il racconto de “El Gran Salto” è, invece, l’elogio della sconfitta, della rinuncia, della normalità.
In prima italiana il 30 settembre, “El Gran Salto”, di e con Manuel Ronda, è andato in scena al Teatro della Tosse di Genova all’interno della rassegna di danza contemporanea “Resistere e Creare”, alla sua ottava edizione, diretta da Marina Petrillo, Linda Kapatanea e Josef Fruceck.
Il solo di Manuel Ronda, danzatore-attore genovese classe 1977, già interprete di Ultima Vez di Wim Vandekeybus, nasce nel 2019 a Tijuana (Messico) come composizione per Alejandro Chávez Flores. «Ci eravamo conosciuti qualche anno prima, in un workshop per danzatori che io tenevo a Firenze; poi lui mi chiama e mi chiede di andare in Messico per fare un lavoro con lui. Ho pensato subito di costruire un assolo da potergli lasciare e da far circolare in Messico».
Così avviene; poi l’idea di portarlo nei palchi europei; passa una pandemia, arriviamo al 2022 e “El Gran Salto” arriva in Europa, con lo stesso Manuel Ronda come interprete.
«“El Gran Salto” rappresenta il percorso di una persona, un qualcuno, non io, all’interno della propria esistenza» racconta l’autore-interprete.
Manuel agisce in una scena nuda, completamente nera, camicia bianca, completo nero. Parla, recita, danza. La pièce apre nel ricordo di un’infanzia latte e miele, la casa, la mamma, l’albero di limoni da annaffiare, i pomeriggi passati a sputare giù dal terrazzo. E’ un ricordo dolce, idealizzato, incorrotto, puro. «Poi arriva “la follia” di Vivaldi [una sezione danzata nello spettacolo, ndr] un momento in cui volevo rappresentare la crescita e in cui si diventa impuri».
In questo momento coreografico Manuel corre in cerchio, salta, rotola, si spoglia completamente nudo poi si riveste, esibisce un’energia travolgente che spaventa e fa saltare lo spettatore sulla sedia; vediamo in lui la stessa energia di quindici anni fa, quando calcava i palchi mondiali con la compagnia Ultima Vez di Wim Vandekeybus, correndo e saltando forsennatamente su palco, lanciando e prendendo al volo i pesanti mattoni di gesso bianco dello spettacolo “Spiegel” del 2006: «L’etica del movimento che aveva in quegli anni Wim Vandekeybus con “Ultima Vez” è una cosa che mi ha influenzato molto, è una concezione a cui poi io ho sempre teso; l’etica del movimento che nasce proprio dal lanciarsi i mattoni, tu devi solo pensare a tirare il mattone e a prenderlo, poi la forma viene da sé, tu devi essere solo concentrato sull’intenzione. È questo il tipo di approccio che mi soddisfa di più, tanto nel teatro quanto nel testo».
Accade che, una volta cresciuto, l’uomo venga incoronato re, ma lui non vuole prendersi questa responsabilità, non ne ha voglia, non se la sente. «All’inizio del lavoro con Alejandro avevo ben chiara l’immagine di questo re in pigiama, che sostanzialmente non vuole esserlo, e quindi rinuncia». Da qui, l’elogio della rinuncia, il rinunciare a voler essere per forza qualcuno e a voler lasciare un segno nella storia e l’elogio di una vita piuttosto normale, ordinaria, in pigiama, appunto: «Inizialmente volevo intitolare la pièce “Il re in pigiama”». Un re metaforicamente impigiamato, ma nei fatti incoronato con un cesso: in una lunga sezione centrale, l’interprete si accuccia su un water e, come all’interno del bagno di casa, si auto-intervista: “Qual è stata la tua prima volta su un palco? Quali sono i segreti del tuo successo? Cosa puoi dirci del tuo ultimo album?”; il tutto proprio seduto sulla tazza del gabinetto.
Commenta Ronda: «Volevo qualcosa che rappresentasse il “risciacquo” che ci sarà prima o poi su tutto; indipendentemente dall’importanza di una qualsiasi persona, da Napoleone a Tutankhamen, l’acqua risciacquerà via tutto, l’acqua non lascerà più traccia. Mi piaceva l’idea di mettere questa celebrità lì seduta ad espellere materiale corporeo, che poi viene risciacquato e buttato via. Perché, in fondo, sono tutte cagate».
Eppure, in chiusura, l’uomo in scena rinasce, dopo essere nato povero, ricco, nessuno, ed esclama: “Oggi sono nato io, e anche io voglio essere ricordato!”. Un senso di trascendenza, di ossessione nel voler lasciare una traccia, la storia di un Signor Nessuno che vuole diventare un Signor Qualcuno che fa da perenne contrappunto a una materialità oggettiva elementare, che trova proprio nella semplicità e nella sua sincerità i suoi punti di forza: poche immagini, dirette, semplici, pulite e ridotte all’osso che diventano quasi iconiche nella memoria dello spettatore; il frutto di un limone, già frutto di montaliana fortuna, bello, perfetto, rotondo, semplice, giallo, che rotola in scena spuntando dal niente; un gabinetto bianco, lucente, scarno, ora trono ora sedia; un mazzo di fiori, consegnati sul palco all’interprete in una fittizia premiazione da Emmy Awards.
La gestualità dritta, priva di fronzoli e virtuosismi di questo spettacolo si riassume nella bellissima immagine dell’omino, mimato con le due dita – indice e medio – che camminano, compiendo un viaggio mitico sul pavimento, su spalle, braccia, gambe e che accompagna gli spettatori, con questo frame memorabile, come bambini davanti a uno spettacolo di marionette. Perché questo, noi tutti siamo: spettatori e protagonisti di una spasmodica conquista della celebrità, prima o poi tutti fermi davanti a un “grande salto” nelle nostre esistenze; quando poi, forse, il più grande salto mai compiuto è proprio quello di chi decide, combattuto, di non saltare.
EL GRAN SALTO
di e con Manuel Ronda
Flores Teatro Danza
Visto a Genova, Teatro della Tosse, il 30 settembre 2022
Prima nazionale