L’Enrico IV di Carlo Cecchi si tinge di melò

Da sinistra Angelica Ippolito
Da sinistra Angelica Ippolito

«Non per commozione cerebrale ma per vocazione teatrale». Nell’“Enrico IV” diretto da Carlo Cecchi, la follia pirandelliana trascende la tradizionale connotazione patologica, diventa scelta consapevole e si riempie di contenuti artistici. Insieme al protagonista si materializza il fantasma di un Amleto intriso d’ironia.
Due facce della stessa medaglia, l’essere e l’apparire. E il nascondersi. Dietro la lucidità sferzante e insinuante. Oppure nell’alienazione. Dentro un mondo ovattato e solipsistico, in un’epoca remota della storia. Oppure dietro le tante maschere che indossiamo anche senza definirci attori.

La sinossi in Pirandello è questa: un uomo cade da cavallo durante un corteo in costume mentre impersonava l’imperatore di Germania Enrico IV. In seguito al trauma, crede di essere veramente il personaggio che rappresentava. Per anni vive una vita patinata e fiabesca con l’aiuto di quattro uomini pagati per fingersi suoi consiglieri segreti. A un certo punto egli riconquista la ragione. Tuttavia continua a fingersi pazzo. Osserva così, da fuori, la grande sceneggiata predisposta per lui, che coinvolge anche la donna che amava, Matilde Spina, l’amante di lei Tito Belcredi, un dottore che vuole provocargli uno choc per farlo rinsavire.

Adattatore, regista e attore proprio nei panni del protagonista, Cecchi non si prende per niente sul serio e procede a una sforbiciata radicale del proprio personaggio: un po’ per eliminare qualche ridondanza e obsolescenza del testo pirandelliano; un po’ per sdoganare ruoli e dinamiche degli altri personaggi. Con questo escamotage drammaturgico Cecchi raggiunge anche il fine, come attore, di non appesantirsi di lunghi monologhi da mandare a memoria. E per le proprie battute snellite, recitate all’interno di una struttura collettiva, si fa aiutare proprio dai consiglieri, qui ridotti al più prosaico ruolo di suggeritori.
Potenza dei miti, cui tutto si perdona. Cecchi riesce brillantemente a usare finzione e umorismo ai fini di un gioco che avviluppa, spiazza, confonde lo spettatore: è per certi versi l’esasperazione del pirandellismo.

Sui temi più consueti della poetica dell’autore di “Uno, nessuno e centomila” – l’intreccio di normalità e follia, la perdita d’identità, il rapporto tra reale e maschere che indossiamo o che gli altri ci costringono a indossare, il fallimento della scienza, la rinuncia alla vita per non affrontare la sofferenza, la follia come fuga e rifugio – qui aleggiano la mascherata e il teatro nel teatro. È una continua oscillazione, un gioco delle tre carte che mette lo spettatore sotto scacco ogni volta che s’illude di aver pescato la soluzione giusta. Qui la scelta della follia da parte di Enrico è immediata e consapevole. Cecchi si diverte e riveste la figura dell’artista di una patina caricaturale.

Il restyling attualizza anche la lingua e ridicolizza i potenti, che in questa “commedia umana” non hanno scettro né corona: sono quelli che con supponenza s’illudono di poter tutto governare e manipolare. E invece non la fanno franca: Matilde (Angelica Ippolito) non è in grado di dissimulare neppure i segni del tempo che scorre inesorabile; il dottore (Gigio Morra) è sbugiardato dal tentativo di guarire un paziente più sano di lui; Tito (Roberto Trifirò) prova a imporre la propria verità e finisce per rimetterci la pelle.

La tragedia si chiude in farsa. La potente macchina del teatro continua. Torniamo a casa con la certezza di un Pirandello ribaltato, meno angoscioso, più pazzo dell’originale. E gli applausi a un cast solidissimo con Dario Iubatti, Federico Brugnone, Remo Stella, Chiara Mancuso, Matteo Lai e Davide Giordano di supporto agli inossidabili Cecchi, Ippolito, Trifirò e Morra.

ENRICO IV
di Luigi Pirandello
adattamento, interpretazione e regia Carlo Cecchi
con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò Dario Iubatti, Federico Brugnone, Remo Stella, Chiara Mancuso, Matteo Lai, Davide Giordano
scene Sergio Tramonti
costumi Nanà Cecchi
assistente alla regia Dario Iubatti
produzione MARCHE TEATRO

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 2’ 55”

Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 17 novembre 2017

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