Nel fondo erano ignudi i peccatori;
dal mezzo in qua ci venien verso ‘l volto,
di là con noi, ma con passi maggiori,
come i Roman per l’essercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente per modo colto,
che da l’un lato tutti hanno la fronte
verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,
da l’altra sponda vanno verso ‘l monte.
È così che Dante (Inf. XVIII) descrive il flusso dei dannati nella prima delle nove sacche di Malebolge, ricordando il doppio senso dei pellegrini che attraversano il Tevere per raggiungere o lasciare San Pietro, sul ponte di Castel Sant’Angelo nell’anno del primo giubileo, quello indetto da Bonifacio VIII a cui, forse, partecipò.
È durante la lettura di questi versi l’unico momento in cui Chiara Guidi rompe, con il movimento di un braccio teso verso le finestre della sala, il guscio che avvolge lei e Francesco Guerri (violoncello), interpreti di quattro canti dell’Inferno nell’ambito della rassegna “A sé mi trasse Roma” – Dante a Castello, organizzata dalla Direzione Musei Statali della Città di Roma e dal Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo. Fino a quel momento, e da quel momento in poi, tutta la lettura era stata e sarebbe continuata, all’interno dell’uovo (“Uovo di bocca” quasi ci verrebbe automatico dire, in riferimento all’opera di Claudia Castellucci e insieme a una ricerca così concentrata nell’ambito vocale) dei canti I, V, XVII e XVIII della prima cantica.
Il lavoro di Guidi sui versi di Dante non è occasione legata al settecentesimo famigerato anniversario, prosegue anzi dal 2015.
Sinuosa cura del dettaglio orizzontale, precisione nella scrittura della partitura verticale, cioè nei percorsi di incontro tra voce, strumento e tecnologia, eclettismo libero e adattivo negli strumenti di analisi e resa: sono queste le caratteristiche dell’interpretazione della piccola-grande cesenate. L’opera restituita è anch’essa grande, meritevole di studio accurato, puntuale, non di sondaggi e note come quelle che seguono. Così come di una fissazione organica, perché gli Esercizi sono già saggio di lettura.
Nell’antitesi significato/significante, appare subito evidente come sia il secondo a essere privilegiato da Guidi. Ciò non significa sacrificare la comprensibilità, perché ogni parola è perfettamente condotta a destinazione. Il rifiuto è quello di un approccio esplicativo che abbia nella trasmissione del contenuto, della trama, il suo obiettivo primo.
Ci si attenderebbe, di conseguenza, un automatico appoggio della lettura sopra la misura dell’endecasillabo, come scansione non solo del ritmo ma anche garanzia della linearità sintattica del dettato dantesco.
Così non è. La ricerca di rispondenze foniche, di forme performative talvolta anche brutalmente sovrapposte, travolge ed evade da quella splendida gabbia del verso. Il risultato è una resa attenta a costruire un discorso musicale/strumentale in cui le logiche strutturali si trovino a emergere autonomamente, indipendentemente dal senso.
Questo punto, cioè l’indipendenza dal contenuto, è soggetto a gradi diversi di intensità che, nel loro alternarsi, devono tener conto dell’arco lungo del singolo canto, della necessità, di tanto in tanto, di riprendere le fila. Ad esempio la nota anafora nell’incipit del discorso di Francesca nel V canto
Amor c’al cor gentil ratto s’apprende […] Amor, ch’a nullo amato amar perdona […] Amor condusse noi ad una morte […]
non resiste ad attrarre a sé uno stesso piccolo tema musicale, anch’esso triplicato – simile nella forma (per quanto antitetico, appunto, nel senso) a quello in cui si canta il confronto Giasone/Isifile/Medea nel XVIII.
E, sempre dal punto di vista musicale, il discorso di Venedico Caccianemico è ingabbiato come in un inflessibile pattern ritmico strutturato dal contrappunto del violoncello. Ma di contro, inaspettatamente, il come corpo morto cade che chiude il V canto non rifiuta il ricorso a un marcato motivo discendente, quasi un esplicito madrigalismo, mentre il catalogo delle anime nello stesso canto, quello che comincia
La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper […]
è puro melologo, voce su violoncello.
Il lavoro vocale di Guidi non è poi del tutto estraneo a uno studio che, sempre in senso puramente fonico, affronti il tema del personaggio. Quello di Virgilio, per esempio, ha un secondo microfono dedicato (così come tutti i dannati ne hanno un terzo, tutto loro), e la tessitura in cui la sua voce si muove è più acuta rispetto a quella del Dante-personaggio, quasi a voler tradurre nel campo del registro l’indicazione dantesca
chi per lungo silenzio parea fioco
in cui quell’essere “stimbrato”, schiarito nella voce è reso con un parlare più alto. Ancora, sempre sul personaggio: le parole dell’adulatore Alessio Interminelli nell’ultimo scorcio del canto XVIII è condensato in sentenze di ghiaccio, taglienti, solide, l’esatto opposto della melassa a cui la lingua dell’anima dannata era abituata da viva, e della merda nella quale ora si dibatte – contrappasso guidiano sul contrappasso dantesco.
C’è la parte letteralmente strumentale, poi, sulla quale non si possono fare che pochi accenni. Il violoncello “entra in scena” solo nel V canto, ovvero solo quando i personaggi sono sprofondati nella terra: nel primo la voce di Chiara Guidi è accompagnata dai suoni rotti – com’è rotto il percorso di perdizione di Dante, e la sua inutile salita al colle, impedita dalle tre fiere – di una chitarra da spaghetti, di quelle che usavano le nostre nonne, preparata, cioè “sporcata” nella vibrazioni da coppette e spatole metalliche appoggiati su di esse. Come se la voce scura del violoncello fosse stigma timbrico dell’atmosfera infera, correlativo uditivo di quell’aura senza tempo tinta.
Insomma questo piccolo repertorio di esempi si chiude dove si era aperto: la lettura, ri-creazione del testo dantesco, densa ma leggera (basta ascoltare Nel mezzo del cammin di nostra vita…, che corre impavido sopra sette secoli di maniera attoriale), merita un perimetro più largo e più strutturato, un progetto di lettura completa, una registrazione, una sua forma che la ponga a completamento di quell’altra “Divina Commedia” della Socìetas: una visiva, l’altra uditiva; quella proiezione esplosa del testo dantesco, questa spinta dentro, tra sillaba e sillaba.
Esercizi per voce e violoncello sulla Divina Commedia di Dante
di e con Chiara Guidi (voce) e Francesco Guerri (violoncello)
composizione vocale di Chiara Guidi
musiche di Francesco Guerri
suono Andrea Scardovi
cura Elena de Pascale
produzione Societas
durata: 55′
Visto a Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, il 13 giugno 2021
A sé mi trasse Roma – Dante a Castello