Da Blessed di Meg Stuart a Events di Merce Cunningham. La chiusura di Equilibrio Festival

Blessed - Meg Stuart
Blessed - Meg Stuart
Blessed (photo: Chris Van der Burght)

Non chiamatela danza. In chiusura del festival romano Equilibrio, la coreografa americana Meg Stuart presenta “Blessed”, originalissima performance che ha come protagonista il corpo e i movimenti di Francisco Camacho, coreografo e ballerino portoghese già collaboratore della Stuart.

La scenografia iniziale è essenziale: una capanna, una palma e un cigno di cartone formano un immaginario di tranquillità in stile villaggio vacanze. Una situazione statica che ben presto si modificherà. Complice una pioggia incessante, i cartoni si frantumeranno pian piano creando una situazione di disagio dove il protagonista tenterà inutilmente di trovare certezze. Metafora del nostro mondo apparentemente perfetto ma fragile. L’uomo si dimenerà tra i cartoni fradici, tenterà di costruire rifugi, si addormenterà con una coperta di cartoni (immagine emblematica di tanti ‘homeless’ disperati nelle nostre metropoli).

Una messa in scena radicale che, grazie anche alle ambientazioni musicali minimaliste di Hahn Rowe, dona numerose suggestioni nella prima mezz’ora, ma crolla nella seconda parte, quando all’improvviso, da vero “coup de théâtre”, entra in scena il kitsch di una Moira Orfei dadaista orientaleggiante. In seguito il protagonista prima si farà vestire e spogliare da un assistente mettendo in scena gli stereotipi del glamour nostrano (figure da trendy gay e da rock star), poi compirà passi pregevolissimi di un cerbero postmoderno che vaga nel paesaggio desolato da fine del mondo.
Siamo al grado estremo della ricerca e del gesto: uno spettacolo non di danza ma di suggestioni, in cui il disagio del protagonista, inerme davanti alla pioggia battente e a cartoni che non danno nessun rifugio, diventa metafora di una distruzione, di un’autodistruzione, con cui tutti, prima o poi, dovremo fare i conti.

Lezione di storia della danza. Dagli Stati Uniti (nazione-guida di tutto il festival, che ha goduto dell’interessante apporto di novità della neo-direzione artistica di Sidi Larbi Cherkaoui) arriva quello che può essere considerato l’evento del festival. “Events”, presentato dalla mitologica Merce Cunningham Dance Company, è una performance fatta da brani di repertorio della compagnia ma che si sviluppa (da qualche anno) in situazioni ‘site specific’. Ecco dunque che i costumi, le luci e le scene si sposano a meraviglia con il giallo ocra della Sala Petrassi dell’Auditorium disegnato da Renzo Piano. Da questo impatto visivo abbagliante escono danzatori-marionette postmoderni con passi che sono l’abolizione della danza classica, o forse la sua ossessiva celebrazione.
La ricercata disarmonia dei performer, complice una musica di rottura (eseguita dal vivo) a tratti inquietante e fastidiosa (eredità del genio artistico di John Cage, cofondatore del gruppo e compagno di Cunningham per mezzo secolo), conducono il pubblico verso una sensazione di disagio e d’incertezza.

Questo è (o dovrebbe essere) anche il compito dell’arte: combattere la sensazione di sicurezza del conosciuto, tipico delle trasmissioni televisive. Il quadro finale di quest’esperienza scomoda rompe con ogni convenzione musicale e artistica del passato, richiama a concetti dada (Duchamp) e immagini metafisiche (De Chirico), anche se Merce Cunningham, coreografo e fondatore della compagnia recentemente scomparso, a proposito di “Events” ha affermato: “Non tanto un programma di danza, quanto piuttosto l’esperienza della danza in sé”. Uno spettacolo che è un cult: radicale e magnificamente stimolante.

Blessed
coreografia: Meg Stuart
creato in collaborazione con ed eseguito da Francisco Camacho & Kotomi Nishiwaki
musiche: Hahn Rowe
drammaturgia: Bart Van den Eynde
installazione: Doris Dziersk
costumi: Jean-Paul Lespagnard
luci: Jan Maertens
assistenza alla coreografia: Abraham Hurtado
direzione di produzione: Tanja Thomsen
coordinamento tecnico: Robrecht Ghesquière & Jan Maertens
audio: Vincent Malstaf
direzione di scena: Frank Laubenheimer
assistenza di scena: Ania Pas
durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 1’ 45’’

Visto a Roma, Auditorium Parco della Musica – Sala Petrassi, il 18 febbraio 2010
Prima nazionale

Events
coreografia: Merce Cunningham
con: Brandon Collwes, Dylan Crossman, Julie Cunningham, Emma Desjardins, Jennifer Goggans, John Hinrichs, Daniel Madoff, Rashaun Mitchell, Marcie Munnerlyn, Krista Nelson, Silas Riener, Jamie Scott, Robert Swinston, Melissa Toogood, Andrea Weber Musicisti Alvin Curran, John King, Takehisa Kosugi
scene: Marsha Skinner, “Change of Address” (1992)
luci: Christine Shallenberg
costumi: Anna Finke
durata: 1h 31’
applausi del pubblico: 2’ 21’’

Visto a Roma, Auditorium Parco della Musica – Sala Petrassi, il 25 febbraio 2010

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4 Comments

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  1. says: filippo de dominicis

    Nessun livore. Qualche dubbio sulla limpidezza dello sguardo. Nessuna precisazione su “postmoderno”. Dada uguale “un po’ no sense”, sei sicura?
    Frustrato che c’entra?
    Continuiamo così, facciamoci del male.

  2. says: Carolina Truzzi

    “entra in scena il kitsch di una Moira Orfei dadaista orientaleggiante”: mi immagino Moira, l’imperatrice del cattivo gusto come forma di successo. me la immagino un po’ no sense (dadaista appunto). Anche per me le parole sono importanti e queste mi descrivono bene la situazione che una persona preparata, attenta si è trovata davanti. E per fortuna che in giuria degli Ubu c’è gente che gli spettacoli li va a vedere tutti e sempre con sguardo limpido, mai frustrato.
    Che male c’è Filippo? Quanto livore… che peccato.

  3. says: filippo de dominicis

    Le parole sono importanti. Due volte ha usato l’aggettivo postmoderno (perché, in che senso?), e poi dada, kitch, cult e chi più ne ha più ne metta. Perché tanto spreco di parole? perché tanti significanti sparati alla rinfusa? Perché tanta ignoranza? Perché sfoggia termini che, evidentemente, non conosce se non superficialmente?
    Come può lei far parte di una giuria e contribuire alla scelta di artisti da premiare?