Fabrizio Arcuri racconta il Trittico dantesco di Paravidino, Russo e Sinisi

I protagonisti di Trittico Dantesco (photo: Serena Pea)|Fabrizio Arcuri
I protagonisti di Trittico Dantesco (photo: Serena Pea)|Fabrizio Arcuri

Il Teatro Stabile del Veneto riapre il sipario del Teatro Maddalene di Padova con una nuova produzione ispirata alla Divina Commedia. Un “Trittico Dantesco” contemporaneo, dove Inferno, Purgatorio e Paradiso diventano rispettivamente i luoghi della memoria, della crisi degli intellettuali, e del desiderio come forma politica.
Un progetto importante con alle spalle una lunga gestazione, che ha coinvolto tre drammaturghi italiani nella scrittura di altrettanti testi originali, uno per ciascuna Cantica. Fausto Paradivino firma un inferno, Letizia Russo un purgatorio, e Fabrizio Sinisi un paradiso.
Un trittico curioso dal punto di vista intellettuale, complesso e ambizioso dal punto di vista interpretativo, su cui si sono misurati i dieci attori della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto: Emma Abdelkerim, Elena Antonello, Riccardo Cardelli, Federica Fresco, Michele Guidi, Imma Quinterno, Tommaso Russi, Andrea Sadocco, Elisa Scatigno, Alberto Vecchiato, qui alla loro prima esperienza professionale.
La regia è di Fabrizio Arcuri, e le musiche originali sono di Giulio Ragno Favero, ex bassista della alternative rock band veneziana Il Teatro Degli Orrori.

Una Comedìa, questa, al netto dell’aggettivo “Divina”, voluto a suo tempo da Boccaccio. Vengono meno infatti i significati cristiani e il rapporto privilegiato con il divino in cui è calata la Commedia dantesca, ma rimane la questione umana, e il “fatale andare”; spariscono gli endecasillabi, ma si rinnovano le rime; di Virgilio sembra non esserci traccia, e in un certo senso viene meno anche il sommo poeta, perché chi compie il viaggio – almeno nelle prime due cantiche – è una Lei, una donna, che non incarna la perfezione, e non ha niente a che vedere con la figura angelica di Beatrice.

“E’ stata di Fausto Paravidino l’idea di affidare a una donna il ruolo di “Dante” – ci ha raccontato Fabrizio Arcuri – Di fatto la Divina Commedia è un percorso interiore, un incontro attraverso una serie di tappe che è un classico del percorso dell’eroe all’interno di un’epica. Paravidino ha voluto mantenere questo tipo di struttura, e far sì che fosse una donna a fare questo percorso perché, in un contesto sociale come il nostro, mette più in evidenza certe questioni legate a una società che si è nutrita di patriarcato per molto tempo; e poi se è una donna che fa questo percorso diventano più evidenti certi inferni quotidiani, da quelli, diciamo, esterni, a quelli più personali”.

Fabrizio Arcuri
Fabrizio Arcuri

Del resto Dante è chiamato il poeta del mondo terreno, ed è in questa “aiuola che tanto ci fa feroci” che si cala il Trittico Dantesco diretto da Arcuri; tre testi che, andando a guardare dal vivo i “peccati” di oggi, “parlano di noi a noi”.

Il progetto rientra tra le iniziative di Visioni di Dante un programma ideato dal Teatro Stabile del Veneto con Arcuri e selezionato dal Progetto del MiBACT Dante 2021 – Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.
Come più volte, in questi anni, ci si è domandati – trovando sempre delle ottime risposte – “perché leggere oggi la Divina Commedia”, abbiamo chiesto ad Arcuri perché portare, oggi, la Divina Commedia in teatro.

“La Divina Commedia di fatto è l’espressione massima di una cultura nel suo apice poco prima del suo tramonto – ci ha risposto il regista – In qualche maniera quindi in questo senso ci assomiglia. Se allora era la religione, oggi è l’economia la vera disamina della società, la convenzione entro cui ci muoviamo. Viviamo in un’epoca assolutamente consumistica, tutto ruota attorno all’economia, e siamo ad un passo dal tracollo, perché è evidente che questo sistema non regge più. Le analogie sono strutturali, e poi Dante è un riferimento alto, ma è anche molto popolare, il nostro linguaggio è pieno di citazioni che arrivano dalla Divina Commedia. Togliendo la questione del peccato, e della religione, abbiamo cercato di capire su che cosa aveva senso parlare oggi, e cosa vuol dire, oggi, attraversare tutta una serie di situazioni”.

Un inferno, un purgatorio e un paradiso. Tre mondi diversi con una dimensione temporale diversa. Se l’Inferno affronta il passato attraverso la memoria come ricerca di una propria identità, ed è evidentemente un viaggio interiore, un percorso rivolto a ritrovarsi, a recuperare sé stessi, il Purgatorio (in scena fino al 16 maggio) guarda diritto al presente e all’incapacità della cultura e dei suoi rappresentati di avere, oggi, una voce in capitolo nel cambiamento sociopolitico del paese. Nel Paradiso distopico di Sinisi (in scena dal 19 al 23 maggio) si guarda invece a un futuro prossimo, a quella forma di immortalità che la scienza e la tecnologia – le grandi divinità di oggi – pensiamo possano darci.

“La dimensione della memoria e dell’identità in un inferno di Paravidino, che è tragico e grottesco allo stesso tempo, è in fin dei conti qualcosa che ci riguarda tutti – approfondisce Arcuri – Perché la nostra identità, e l’identità in generale, si fonda sulla memoria, su come vengono affrontate e narrate le cose. Di fondo la nostra identità è costruita su quello che, anche noi, ci raccontiamo. Succedono delle cose, e ce le raccontiamo lacanianamente, in un modo che ci aiuta ad affrontarle, e che spesso è lontano dall’oggettività di ciò che è realmente successo. Poi però arriviamo ad un certo punto che, per essercele raccontate così, e non averle mai affrontate, non ci riconosciamo più, o non ci riconosciamo più come pensavamo di conoscerci”.

Anche il Purgatorio è un viaggio interiore. “Letizia ha deciso di concentrasi sull’accidia, perché per noi prendere una posizione oggi è diventato qualcosa di sconveniente, non è più un peccato ma è diventato quasi un savoir-faire. Mantenere la distanza, non prendere una posizione chiara è qualcosa che oggi facciamo tutti per ragioni di convenienza, comodità, e per altri mille motivi. Nel Purgatorio Dante incontra Stazio, che è un poeta classico, e che gli rivela di essere stato salvato dalla poesia, perché lo ha aiutato a credere in Dio, cosa che in vita non è mai riuscito a dichiarare per paura delle ripercussioni. E questo dà a Dante l’occasione di iniziare una lunga riflessione sul ruolo della poesia e degli intellettuali e sul coraggio delle proprie scelte.
Da qui è nato il parallelismo con l’intellettuale contemporaneo, che di fatto non incide per nulla nella società; nessuno considera la cultura importante, perché effettivamente nessuno la usa come andrebbe usata”.

Infine il Paradiso, la cantica più complessa: “Sinisi ha cercato di restituire questa complessità costruendo un testo con più piani che si svolgono contemporaneamente, che vanno avanti e indietro nel tempo, e in realtà diverse che non dialogano tra loro. Come se ci si trovasse in una sorta di futuro possibile, in cui si sono avverate tutte le peggiori profezie, i peggiori malanni sull’ambiente, sul clima, sulle guerre. Da una parte c’è un mondo che sta collassando, e dall’altra ci sono dei luoghi in cui le persone facoltose si possono ritirare perché la loro ricchezza le protegge dal disfacimento del mondo. Il binomio desiderio e politica nasce invece dalla questione che il desiderio è indotto dal consumo, e che in fin dei conti siamo spinti a desiderare cose che in realtà non desideriamo affatto, ed è per quello che non siamo mai soddisfatti. Riappropriarsi del proprio desiderio è un atto politico nei confronti di una sistema che impone, suggerisce, costruisce un sistema di riferimento che intimamente non corrisponde a ciò che desideriamo davvero”.

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