Fattoria Vittadini e il Banchetto che non c’è

Banchetto - Fattoria Vittadini
Banchetto - Fattoria Vittadini
Banchetto – Fattoria Vittadini (photo: Atir Ringhiera)
Seconda tappa di Fattoria Vittadini al Teatro Atir Ringhiera di Milano, che ospita in residenza la giovane compagnia di teatrodanza fino a maggio.
Dopo “John Doe” e “Whatami”, presentati lo scorso novembre, a febbraio è stata la volta di un altro appuntamento doppio, con un breve studio a precedere lo spettacolo: una formula giusta per mostrare il lavoro in divenire del gruppo che unisce undici danzatori e con essi i semi plurimi di creazioni diverse, all’interno di una progettualità condivisa.

La serata comincia con “Never so close”, elaborato da MariaGiulia Serantoni e Gabriele Marra, in cui la vicinanza tra i due corpi è sempre dinamizzata e messa in discussione: l’unione è percorsa dalla fragilità, dalle controspinte nel contatto reciproco, dalla tensione nell’unisono. Il venir meno all’improvviso della danzatrice, ripresa e sorretta dal partner, segna una vertigine d’abbandono, in cui il soffio vitale sembra sospendersi e lasciare inerte la presenza femminile.

Bella la scelta che riconduce la fine all’inizio, proprio perché aggiunge un tassello imprevisto all’immagine dei ‘mancamenti’ di lei: nell’ultima caduta la presa si trasforma in un accompagnamento al suolo, anziché in un risveglio, con lui che adagia lei a terra per accasciarsi al suo fianco nella stessa posizione da cui i due erano partiti.

Anche se ancora molto breve, la costruzione coreografica tiene e coinvolge, con la sua dinamica di esplosioni e sospensioni ritmiche, e così la maggior parte del pubblico è rimasto ad assistere alle due esecuzioni previste in loop del pezzo.

Dopo il primo assaggio offerto con questo studio, la serata è dedicata a “Banchetto”, che vede in scena Fattoria Vittadini quasi al completo: sette danzatori agiscono nella coreografia di un altro membro del gruppo, Riccardo Olivier.

Al nostro rientro in sala i protagonisti ci accolgono aggirandosi tra scena e platea, come un gruppo di amici e coinquilini quando gli invitati si presentano a casa loro: nel contatto diretto con gli spettatori c’è chi offre i pezzetti di pollo che sta mangiucchiando, chi sale sulla gradinata, chi confida alle prime file che lo spettacolo è tutto merito suo, chi controlla che sia tutto pronto.

Il palco intanto resta vuoto e buio: sembra non ci sia nulla da darci in pasto, e allora “lo spettacolo potrebbe essere questo”, come propone MariaGiulia, subito zittita dal resto del gruppo. La coreografia si sviluppa infatti attorno alla mancanza e alla frustrazione dell’aspettativa di fronte a un piatto che si rivela vuoto. Il banchetto che non c’è, e il tentativo è di crearne uno: in sala come in scena è questo il nodo che oggi ci tormenta.

Sulle tavole del palcoscenico non resta che farsi ‘pietanza’, tra solitudine e coinvolgimenti euforici: così ciascun danzatore mette in atto il suo tentativo, abitando lo spazio oltre i confini del palco, privo di quinte e fondale.
L’azione sfrutta al meglio la conformazione del Teatro Ringhiera, con passaggi che toccano il corridoio superiore o il sottoscala, stanze ulteriori dove però non può esserci riparo definitivo. La struttura compositiva mette in scena fin dall’inizio la dimensione del gruppo in quanto tale, anche con la giusta dose di ironia; i danzatori si chiamano con il proprio nome, le scene si svolgono nella nudità dello spazio, senza musica. Ma la frammentarietà delle immagini rischia di far perdere lo spettatore, e sembra compromettere il senso di uno sviluppo tra i diversi momenti. Un rischio che è scongiurato solo quando le dinamiche individuali si ricompongono in una relazione collettiva, in cui distinguiamo i ribaltamenti e le trasformazioni di ognuno rispetto agli altri.

L’intensità di questi passaggi si unisce al piacere estetico per la bellezza della composizione coreografica: a poco a poco il conflitto tra i commensali cambia volto, sottovesti color pastello passano dall’unico uomo ai corpi delle danzatrici, la scena si fa chiara. E quando ci sentiamo ormai trasportati altrove, gli sguardi dei danzatori protesi verso l’alto in un istante si abbassano, tornano a guardarci in faccia al di là della finzione: non c’era nessun banchetto lassù, a parte loro.

BANCHETTO
coreografia di Riccardo Olivier
con: Chiara Ameglio, Cesare Benedetti, Noemi Bresciani, Pieradolfo Ciulli, Maura Di Vietri, Francesca Penzo, MariaGiulia Serantoni, Vilma Trevisan
scene: Irene Zardini
costumi: Giulia Zoggia
light design: Roberta Faiolo
durata: 50′
applausi del pubblico: 1′ 50”

Visto a Milano, Atir Ringhiera, il 4 febbraio 2012

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