Fra morale e tragedia, Laura Marinoni è la Fedra di De Rosa

Marinoni
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Ifigenia e Antigone sono ancora, oggi, compagne di viaggio del nostro sentire? Perché ancora oggi riusciamo a condividere la loro sofferenza considerandola come fosse nostra?
Forse, banalmente, perché le azioni, le passioni degli uomini, i loro errori, sono ancora gli stessi dopo più di duemila anni…

Le stesse azioni, passioni ed errori animano anche “Fedra”, la cui vicenda abbiamo visto in tournée a Como (a febbraio era stata anche al Piccolo di Milano) nell’edizione curata da Andrea De Rosa con Laura Marinoni come protagonista, che prende le mosse dalla “Phaedra” di Seneca, con estratti dall’Ippolito di Euripide e dalle Lettere dello scrittore latino.

Sposa del re di Atene Teseo, Fedra è al contempo presa da furore amoroso per il figlio di primo letto del marito, Ippolito, che però non la segue nel suo pazzo desiderio, devoto com’è alla caccia e distaccato dai legami familiari. Terribile sarà la vendetta della donna, che spingerà l’ignaro marito ad uccidere il figlio. La tragedia dunque si compie con la morte di Ippolito e il suicidio di Fedra.

E’ una strana narratrice (Anna Coppola) quella che, di lato, vestita di rosso e dalla femminilità ambigua e ancestrale, fra un drink e l’altro, ci affabula la storia, riempiendola anche di rumori e atmosfere. E’ Artemide o Diana? O forse nessuna delle due?

Il centro della scena è dominato da un enorme cubo di vetro, una gabbia trasparente simbolo dell’impotenza dei personaggi riguardo alle loro pulsioni, a cui però gli spettatori assistono manifestatamente e con forte partecipazione. Al suo interno infatti si accendono le passioni che percorrono la tragedia: il furore amoroso di Fedra; l’opposto, recalcitrante, diniego del figliastro (Fabrizio Falco); la rabbia anch’essa furente dell’ignaro Teseo (Luca Lazzareschi), che giunto dall’Ade solo alla fine conoscerà dalla moglie la verità di un incesto non consumato. Un Teseo che fino a quel momento si era mosso come ombra, muovendosi in disparte fra aste, lumini e le maschere vuote dell’oltretomba: un oltretomba che accoglierà anche Ippolito, il cui corpo – nella messa in scena di De Rosa – sarà disseminato in pezzi per la scena.

Solo una ragazza (Tamara Balducci), l’unica che sopravviverà alla morte e allo strazio che popolano lo spettacolo, cerca di riportare il tutto ad un minimo di razionalità, assecondando il pensiero della morale di Seneca: “Non c’entrano gli Dei, è l’uomo l’artefice delle proprie passioni; quando, e se, riesce a rendersene conto, solo allora, può imparare a controllarle”.

Lo spettacolo vive attraverso una teatralità che usa sapientemente ogni suo mezzo. Le sciabolate di colore, l’intensità ora soffusa ora accecante delle luci di Pasquale Mari, l’amplificazione delle parole, il rumore dei grilli e delle bestie notturne (il suono è curato da Gup Alcaro) sono fondamentali alla scena curata da Simone Mannino, e restituiscono con forza significante il furore di Fedra, la libertà dei sentimenti di Ippolito e la rabbia di Teseo, caratteri che tutti gli interpreti rendono con pertinente efficacia.
E’ un mondo in cui gli Dei non esistono, come ci ripete alla fine, ancora una volta, la narratrice: “Io non sono niente… Non ci sono Dei in Seneca. Il Dio è in te, è dentro di te, e come tu lo tratti egli ti tratta”. Una lezione di alta moralità proveniente da duemila anni fa, che ancora oggi il teatro è capace di restituire in tutta la sua forza.

Fedra
dalla Phaedra di Seneca (con estratti dall’Ippolito di Euripide e dalle Lettere di Seneca)
adattamento e regia Andrea De Rosa
con Laura Marinoni, Luca Lazzareschi, Anna Coppola, Fabrizio Falco, Tamara Balducci
scene e costumi Simone Mannino
luci Pasquale Mari
suono Gup Alcaro
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fondazione Teatro Stabile di Torino

durata: 1h 15′

Visto a Como, Teatro Sociale, il 4 aprile 2017

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